Cambiano i tempi, ma la storia rimane sempre la stessa: spunta fuori una pubblicità sessista secondo alcuni, ironica secondo altri e di pessimo gusto secondo quasi tutti. La pubblicità diventa virale e su Facebook arrivano frotte di esperti di marketing, quelli che il lunedì a ora di pranzo smettono di fare gli allenatori perché il campionato va in pausa e devono trovarsi un'altra occupazione: una settimana saranno epidemiologi o comunque esperti di vaccini, quella dopo dotti linguisti e quella dopo ancora tornano ct perché c'è l'Italia in campo nel turno infrasettimanale. Complice l'ultimo post virale su Facebook, questa settimana tocca agli esperti di marketing.
Sulla qualità e sulla sottigliezza semantica dell'allusione, ognuno potrà trarre le sue conclusioni (ma ci permettiamo di suggerire che era tutto chiarissimo anche senza l'aggiunta fuori contesto sulla destra). Lo ha fatto anche il sindaco di Aversa Alfonso Golia, che ha parlato di "messaggi desolanti, equivoci, che vanno stigmatizzati e condannati", mentre la consigliera comunale Caterino ha espresso la volontà di rivolgersi alla polizia municipale. Al di là delle singole opinioni, però, ce n'è una che ricorre molto spesso nei commenti al post, e anche, soprattutto, in quelli della pagina dell'esercizio commerciale: molti utenti del web ritengono che il marketing abbia centrato l'obiettivo, perché "bene o male, l'importante è che se ne parli."
"Purché se ne parli è un vecchio preconcetto che trovava riscontro un tempo, quando la pubblicità era a portata di pochi – dichiara Vittorio Montieri, professore di comunicazione pubblicitaria all’università di Padova – ma da decenni le cose sono cambiate: gli aspetti di reputazione in un'epoca social come la nostra diventano preponderanti e più della quantità conta la qualità dell'opinione pubblica. Questo concetto, quindi, è diventato inattuale e controproducente, ma probabilmente per i profani rimangono quelle tre o quattro regole che si sono sedimentate nel tempo diventando, per loro, granitiche. Il purché se ne parli era un concetto che avevo affrontato da studente e prevedeva che, se qualcosa diventava noto, con il tempo si dimenticava il motivo per cui era successo. Teoricamente, quindi, rimaneva una memoria vivida del prodotto e non dello scivolone: poteva al limite funzionare quando non c’era Internet: adesso ci sono mezzi migliori per farsi ricordare, per esempio la qualità del messaggio". Anche perché qualcuno, dello scivolone, ha sicuramente fatto uno screenshot e sarà pronto a tirarlo fuori in ogni momento.
Purché se ne parli deve averlo pensato anche lo staff di Amica Chips, quando nel 2006 ha filmato Rocco Siffredi che andava in giro per una piscina vezzeggiando alcune donne e dicendo che lui di patatine se ne intendeva.
Solo che poi il Giurì ha stabilito che la pubblicità violava gli articoli 9 e 10 del codice di Autodisciplina Pubblicitaria (rispettivamente violenza, volgarità, indecenza e convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona) e quindi l'hanno dovuta ritirare, sicuramente con un danno economico visto che gli spazi televisivi erano già stati acquistati. Ci hanno riprovato qualche mese fa, con un'altra versione con Siffredi sul cui gusto si può discutere, ma che è più soft della precedente: almeno il gioco di parole è declinato al maschile.
Comunque non è un caso isolato, come conferma il professor Claudio Riva, sociologo dei media e presidente della triennale in scienze sociologiche a Padova: "Avendo la necessità di comunicare velocemente e a livelli privi di ambiguità, la pubblicità agisce semplificando la realtà sociale, rappresentando tipi sociali astratti e non persone definite con precisione. Come direbbe Erving Goffman, la pubblicità realizza forme iper-ritualizzate di comunicazione, in cui le pose, i comportamenti e le situazioni vissute dai soggetti tendono a gradi elevati di standardizzazione.
In questo quadro, gli stereotipi sul maschile e il femminile abbondano. Molto spesso, gli uomini sono ritratti come molto più alti e più forti delle donne, nell’atto di offrire protezione o di svolgere un ruolo dirigenziale, con l’assistenza di una donna; le donne sono spesso mostrate mentre cullano o accarezzano un oggetto, con un approccio estetico e contemplativo verso cose che, per gli uomini, sono invece strumenti per raggiungere uno scopo. Le donne e i bambini sono spesso rappresentati stesi sul pavimento o su un letto, così da simboleggiare una posizione di inferiorità, con l’uomo che guarda la donna mentre la donna guarda altrove. Sono forme ritualizzate di presunte caratteristiche che la pubblicità riferisce al genere femminile: fragilità, vulnerabilità, gentilezza, ingenuità e via dicendo."
Potrebbe sembrare una cosa innocua, come quando al cinema vediamo Superman che vola su e giù ma non per questo ci tuffiamo dal primo cornicione che troviamo. Purtroppo non è cosi: "Non sono esercitazioni coreografiche prive di conseguenze reali - continua Riva - perché assegnano a uomini e donne una posizione ben definita all’interno della struttura sociale. Una posizione che, ripetuta continuamente, è funzionale al mantenimento della subordinazione del femminile rispetto al maschile, perché è di questo che si tratta."
Ma allora perché non si prende atto della situazione e si prova a immaginare qualcosa di diverso? Perché il purché se ne parli, se non è troppo smaccato, talvolta funziona nel brevissimo termine. Detto in altre parole, purché se ne parli va bene se vuoi chiudere in pochi mesi, arraffare il bottino e darti alla fuga. Chiaramente, questo non è l’obiettivo dell’azienda media: ma in una società lavorativamente fluida, i manager zompano senza pace da un’azienda all’altra, e spesso hanno degli obiettivi numerici da raggiungere in breve tempo e ad ogni costo. In quest’ottica di irrimediabile turnover, il lungo termine passa in secondo piano, come conferma Montieri: “È difficile guardare al lungo termine quando hai la responsabilità dei bilanci di fine anno, e poi dopo tre anni vai a lavorare da un’altra parte, dove magari per selezionarti guardano solo i numeri fatti in precedenza. Però è necessario sforzarsi di più, perché la scelta di un prodotto viene ormai fatta quasi sempre anche sulla base delle affinità di valori che abbiamo con l’azienda.” E pochi vorrebbero sentirsi maschilisti o sessisti quando possono comprare il pollo da qualsiasi altra parte. E poi, diciamocelo, chi è irrimediabilmente sessista delega l’approvvigionamento del cibo a una donna, che si guarderà bene dal frequentare questa girarrosteria, se non altro perché per avere delle patatine gratis bisogna comprare ben due polli.