CULTURA

Quale normalità?

Quanto spesso sentiamo fare riferimento al concetto di “normalità”, in questo periodo, quando si parla di ripartenza dopo lo stop dovuto alla pandemia?
Parlare di “ritorno alla normalità” sembra avere su molti un effetto rassicurante, richiamando il ricordo di una quotidianità più serena. Come dar torto a questa idea? Dopotutto abbiamo nostalgia di quella parte della nostra vita ferma alla fine di febbraio 2020, quando potevamo abbracciarci, spostarci dove volevamo senza rendere conto a nessuno e non igienizzare compulsivamente la spesa, le scarpe, e tutto ciò che aveva avuto un contatto con il mondo esterno.

Una delle caratteristiche della filosofia è la libertà di fare domande su qualsiasi cosa. Perché non provare a indagare sui diversi significati di questo concetto e cercare di capire com'è intesa quella normalità di cui tanto sentiamo la mancanza?
Abbiamo perciò chiesto aiuto al professor Umberto Curi, docente di storia della filosofia all'università di Padova, per approfondire la questione ed evidenziare i molteplici utilizzi che facciamo di questo termine quando riflettiamo, parliamo, o esprimiamo un giudizio. Tutto questo, a partire dall'origine del termine “normalità”.

In latino, la norma è la squadra che serve per misurare gli angoli retti. Di qui il significato derivato di regola, nel senso che i prodotti artigianali che siano realizzati conformemente alla norma sono considerati “regolari”, mentre ove si discostino dalla norma sono “ir-regolari””, spiega il professor Curi. “Interessanti implicazioni emergono anche dalla radice etimologica nella lingua greca. Norma deriverebbe, infatti, dal verbo ghnorizein, che significa “conoscere”, e che si ritrova anche all’origine del verbo latino noscere. Secondo questa genesi, la norma serve per definire e far conoscere una regola, per evidenziare un “modello” che possa essere imitato. Di qui anche l’espressione “a regola d’arte”, dove la conformità ad una norma garantisce la corrispondenza ad un “modello” preventivamente fissato.

Nell’uso corrente, il concetto di normalità ha conservato solo in parte il riferimento alla nozione originaria di norma, assumendo un significato derivato, tendenzialmente coincidente con un’ampia gamma di significati. Più in particolare, il termine “normale” si caratterizza specificamente per la relazione con ciò che si assume come “altro”, dando luogo ad una molteplicità di polarità.
Ad esempio, dal punto di vista epistemologico, lo storico della scienza americano Thomas Kuhn ha impiegato l’espressione “scienza normale” per alludere all’insieme di conoscenze accolte da una comunità scientifica e costituenti nel loro insieme il paradigma dominante. In questo caso, l’altro termine della polarità è “straordinario”. Fase di ricerca straordinaria – e cioè non corrispondente ad una norma preesistente – è quella che si apre quando il paradigma condiviso dai membri di una comunità scientifica decade e entra in crisi, e si assiste ad una proliferazione di ricerche, dalle quali scaturirà un nuovo paradigma alternativo a quello precedentemente in vigore.
Nettamente diverso è il significato che il termine “normale” può assumere se è posto in relazione alla sua pura e semplice negazione, espressa dal termine “a-normale” o “ab-norme”. In questo caso, infatti, la polarità si regge sulla distinzione e la contrapposizione fra ciò che è conforme ad una norma ( nel significato latino originario), e ciò che invece viola ogni “regola” costituita, ed è dunque non riconducibile ad una misura”.

Qual è allora l'uso per il quale il termine normale viene utilizzato per esprimere un giudizio di valore? Ciò che è normale, infatti, non viene spesso associato a ciò che è “migliore”, o “preferibile”?
Come spiega il professor Curi, “si è soliti attribuire al termine “normale” un'ulteriore accezione in sede etica. In questo caso, infatti, la “normalità” è costituita dall’osservanza di un complesso di precetti e di regole di condotta, mentre il termine opposto è impiegato per indicare una condotta eticamente censurabile perché sottratta dall’osservanza del codice di comportamento universalmente o maggioritariamente condiviso.

Vi è, infine, ancora una diversa sfumatura di significato, quando si adoperi la nozione di “normalità” in relazione antinomica con il termine “eccezione”, dove quest’ultimo compare non come smentita, bensì come conferma della validità della norma. Come è noto, infatti, l’eccezione non ha un valore autonomo, ma serve prioritariamente – e talora esclusivamente – per confermare indirettamente il valore della regola. L’espressione “stato di eccezione” viene usata da Carl Schmitt, certamente uno fra i maggiori politologi e giuristi del XX secolo, per indicare la situazione in cui si assiste ad una sospensione della legislazione in vigore, alla quale subentra un regime di deroghe sistematiche dalle norme precedentemente vigenti”.

A quale di questi diversi significati facciamo dunque riferimento, nella situazione in cui ci troviamo in questi giorni, in cui la quotidianità inizia gradualmente (e lentamente) ad avvicinarsi a quella “normalità” che tanto ci manca? Cosa sarebbe più verosimile immaginare (o non immaginare) pensando a come sarà la vita dopo l'emergenza sanitaria?

“In questo quadro generale, qui per brevità semplicemente abbozzato, si colloca anche il riferimento alla normalità, auspicata e invocata come fuoriuscita dal quadro drammatico conseguente alla pandemia in atto. A questo riguardo, è possibile sottolineare che da un lato il termine “normalità” viene ad assumere insieme pressoché tutte le accezioni che sono state in precedenza richiamate. Dall’altro lato, nella situazione specifica in atto da circa due mesi, normalità suona come ripristino di una condizione originaria assunta come intrinsecamente positiva, e ora messa in pericolo per la minaccia del virus.
Viene così emergendo una nozione di normalità caratterizzata dalla stabilità, dalla permanenza (o dal ritorno) di una realtà preesistente, de-stabilizzata dai rapidi e pervasivi mutamenti indotti dal diffondersi della malattia. Da notare, infine, che il persistere per un periodo sufficientemente lungo di anomalie tende a costituire una nuova normalità, intesa come instaurazione di una situazione stabile, caratterizzata da nuove regole e nuovi valori”, conclude il professor Curi.

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