SOCIETÀ

Rifiuti urbani: in Italia cresce la raccolta differenziata e si producono meno scarti

In Liguria ogni abitante spende più di 260 euro all’anno per gestire l’igiene urbana. Non va meglio in Toscana con 236 euro o nel Lazio con 226. Tutti costi pro-capite, quindi valutati sulle tasche di ogni cittadino e riferiti ai servizi di spazzamento e lavaggio delle strade, raccolta e trasporto dei rifiuti urbani, gestione tariffe e rapporti con gli utenti, trattamento e recupero dei rifiuti urbani e trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani. Il costo totale di gestione dei rifiuti urbani sostenuto da tutti i 6.259 Comuni italiani si attesta, nel suo complesso, su 9,5 miliardi di euro. 

 

Tutti dati che escono da quella che potremmo considerare la Bibbia dei rifiuti urbani, cioè il rapporto che l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale redige ogni anno. Nell’edizione del 2021 si vede come, nell’anno precedente, la produzione nazionale dei rifiuti urbani si sia stata di 28,9 milioni di tonnellate. Un dato in calo del 3,6% rispetto al 2019. 

Il Rapporto Rifiuti Urbani poi, fornisce tutti i dati aggiornati sulla produzione, sulla raccolta differenziata, sulla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di imballaggio, compreso l’import/export, a livello nazionale, regionale e provinciale.

Le 28,9 milioni di tonnellate di rifiuti urbani prodotte significano che mediamente la produzione pro-capite in Italia nel 2020 è stata di 488 chilogrammi di rifiuti, contro una media europea di 496.

Ogni cittadino italiano produce 488 chilogrammi di rifiuti all’anno

Se poi si vanno ad analizzare i rifiuti urbani che sono stati trattati, in alcuni Paesi si notano delle discrepanze. Come si legge nel report Ispra “il totale di RU trattati nel 2019, nell’UE27, è pari a circa 220 milioni di tonnellate, in aumento, rispetto al 2018, del +1,3% (2,9 milioni di tonnellate). Per il triennio 2019-2017 l’aumento è di 3,1 milioni di tonnellate (+1,4%). I principali incrementi percentuali di rifiuti urbani trattati riguardano Lettonia (+26,3%, +178 mila tonnellate), Malta (+17,7%, +53 mila tonnellate) e Slovenia (+9,1%, +72 mila tonnellate)”. In termini quantitativi, invece, i principali aumenti si registrano in Francia (+851 mila tonnellate, +2,1%), Germania (352 mila tonnellate, +0,7%) e Polonia (268 mila tonnellate, +2,1%). L’Italia invece fa registrare un aumento dello 0,4% corrispondente a 119 mila tonnellate. 

 

Ci son poi Paesi che hanno ridotto la quantità di rifiuti trattati. La Romania con -127 mila tonnellate trattate è al primo posto, con una percentuale di -2,5%, seguita dall’Estonia con -47mila tonnellate (-9,3%) e Cipro con -22 mila tonnellate (-4,5%).

Facendo invece un focus solo sul nostro Paese vediamo come a livello territoriale la produzione più elevata sia stata quella dell’Emilia Romagna, con 640 chilogrammi per abitante mentre la minor produzione pro capite si è registrata in Basilicata (345 chilogrammi per abitante), in Molise (368 chilogrammi) e in Calabria (381 chilogrammi). 

A livello regionale invece, ad eccezione della Valle d’Aosta, la cui produzione di rifiuti è rimasta stabile, tutte le regioni italiane hanno fatto rilevare un calo significativo dei rifiuti prodotti. Tra le regioni settentrionali, il calo maggiore si osserva per il Trentino Alto Adige (-6,3%), l’Emilia Romagna (-3,9%) e la Liguria (-3,7%); al Centro per il Lazio (- 5,6%) seguito dalle Marche (-5,4%) e dalla Toscana (-5,4%), e al Sud per la Calabria (-6,7%) e la Basilicata (-4,3%). 

Un aspetto interessante che emerge dall’elaborato dell’Ispra è il fatto che se si analizza la produzione dei rifiuti unita ad altri indicatori socioeconomici esiste una sorta di disallineamento. In particolar modo, consci del fatto che PIL e spesa per i consumi finali sono calati nell’anno preso in considerazione, vediamo come la produzione dei rifiuti urbani abbia fatto registrare un calo più contenuto rispetto a questi due parametri (-3,6% rispetto al–8,9% e -11,7%).

Mentre cala mediamente la produzione dei rifiuti urbani, in Italia cresce quella della raccolta differenziata, anche se ancora con un andamento non estremamente marcato. Nel 2020 infatti la percentuale di raccolta differenziata si è attestata al 63% della produzione nazionale, con una crescita di 1,8 punti rispetto al 2019.

Una crescita che è sicuramente non incisiva ma sulla quale pesa la zavorra dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Per lunga parte del 2020 in alcune zone e per determinate fasce della popolazione (i positivi da Sars-Cov-2) la raccolta differenziata di fatto è stata bloccata, con l’obbligatorietà di conferire i rifiuti urbani tutti nell’indifferenziato. 

Nel 2020 comunque, raggiungono o superano l’obiettivo del 65% di raccolta differenziata, fissato dalla normativa per il 2012, ben 9 regioni: “Veneto (76,1%), Sardegna (74,5%), Lombardia (73,3%), Trentino Alto Adige (73,1%), Emilia Romagna (72,2%), Marche (71,6%), Friuli Venezia Giulia (68%), Umbria (66,2%) e Abruzzo (65%). Sono prossime all’obiettivo Piemonte (64,5%), Valle d’Aosta (64,5%), mentre la Toscana si attesta al 62,1%. Al di sotto del 50% si colloca solo la Sicilia (42,3%) che, tuttavia, fa registrare un aumento di 3,8 punti rispetto alla percentuale di raccolta differenziata del 2019 (38,5%). In questa regione, in particolare, nel quinquennio 2016-2020, la percentuale di raccolta differenziata risulta quasi triplicata”.

 

Se si analizza la percentuale di raccolta differenziata a livello provinciale invece si nota che le percentuali più alte si trovano nella provincia di Treviso, che nel 2020 si attesta all’88,3%, seguita da Mantova (87,1%), Belluno (84,6%) e Reggio Emilia (82%). In fondo a questa classifica ci sono le province di Palermo (29,4%), Crotone (32,7%), Foggia (36%), Catania (36,8%), Messina (38,6%) e Reggio di Calabria (39,6%). Dati non certo confortanti quelli di queste province con percentuali di raccolta differenziata inferiori al 40%, ma che, a voler vedere qualcosa di positivo, sono tutte in leggera crescita rispetto all’anno precedente.

Anche analizzando i comuni capoluogo con percentuali di raccolta differenziata più elevate si ritrova sempre Treviso al primo posto, con una percentuale dell’87,5%. Al secondo posto troviamo Ferrara con l’87,3% e Pordenone con 87,2% mentre tra le città di maggiori dimensioni, cioè con più di 200 mila abitanti, i maggiori livelli di raccolta differenziata si osservano per Parma, Venezia e Milano con percentuali pari, rispettivamente, all’82,7%, al 66% e 62,7% seguite da Padova, con il 60%, e Bologna, 55,5%. 
 

Che cosa si differenzia

Ma se queste solo le percentuali è interessante capire anche che cosa viene differenziato. Al primo posto com’è normale che sia troviamo, con il 39,9% del totale, il rifiuto organico.

Il 68,4% del totale, cioè un totale di 4,9 milioni di tonnellate, di questo rifiuto organico non è altro che la frazione umida da cucine e mense. Il 27,1%, cioè 1,9 milioni di tonnellate, è rappresentato dai rifiuti biodegradabili provenienti dalla manutenzione di giardini e parchi, il 3,8% (275 mila tonnellate) dai rifiuti avviati al compostaggio domestico e lo 0,7% (circa 49 mila tonnellate) dai rifiuti dei mercati. 

Carta e cartone invece rappresentano il 19,2% del totale della raccolta differenziata mentre il vetro e la plastica rappresentano rispettivamente il 12,2% e l’8,6%. 

Ciò che non viene gestito o riciclato finisce in discarica o nell’inceneritore. Nel primo caso lo smaltimento in discarica rappresenta il 20% dei rifiuti urbani. In termini quantitativi stiamo parlando di circa 5,8 milioni di tonnellate. Un dato importante che però è in riduzione del 7,4% rispetto al 2019. Nell’ultimo decennio poi, il ricorso alla discarica si è ridotto del 56%, passando da 13,2 milioni di tonnellate alle attuali 5,8 milioni di tonnellate. 

Il 18% dei rifiuti urbani prodotti infine è incenerito. Anche in questo caso parliamo di un quantitativo non indifferente che supera le 5,3 milioni di tonnellate ma che, conferma dell’andamento di diversi indicatori, è un dato in diminuzione del 3,6% rispetto al 2019.

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