Come viene elaborata l’assenza di suoni dal nostro cervello? In altre parole: riusciamo a “sentire” il silenzio? Il dibattito scientifico e filosofico è diviso su questo argomento da molto tempo. Sostanzialmente, le due tesi contrapposte che animano la questione sono, da una parte, quella della teoria percettiva – stando alla quale noi siamo in grado, per quanto controintuitivo, di “ascoltare” il silenzio – e quella cognitiva, secondo cui classifichiamo e riconosciamo il silenzio semplicemente quando giudichiamo che ci sia una mancanza di rumore. La domanda in questione ne presuppone in realtà una ancora più complessa a monte: esiste il silenzio? Se esso è solo l’assenza di rumore, e dunque non esiste di per sé, allora è impossibile che si riesca a percepirlo con i sensi. Speculazioni filosofiche a parte, resta comunque di fatto che noi riusciamo benissimo a riconoscere le pause di un brano musicale, l’interruzione di un rumore o quei lunghi momenti di silenzio imbarazzante quando una conversazione langue.
Tre ambiziosi studiosi afferenti ai dipartimenti di filosofia e psicologia cognitiva della Johns Hopkins University hanno provato a risolvere questa annosa controversia tramite un approccio sperimentale che ha coinvolto un totale di 1000 partecipanti. Secondo i risultati dello studio – pubblicato di recente sulla rivista scientifica PNAS – il modo in cui elaboriamo il silenzio è molto più simile di quanto pensiamo a quello in cui percepiamo i suoni.
The sound of silence: Humans actually hear silence, rather than simply infer it from the lack of sound, according to a set of experiments using auditory illusions. In PNAS: https://t.co/6lbdkdMuyP pic.twitter.com/Z57VtkXHew
— PNASNews (@PNASNews) July 13, 2023
Un processo basilare nella nostra esperienza uditiva è la comprensione della durata di uno stimolo acustico, che aiuta a riconoscere, ad esempio, se un rumore è continuo o intermittente e quanto si prolunghi nel tempo. Questa capacità è fondamentale per l’interpretazione di tutto ciò che ascoltiamo nella quotidianità: la musica, il parlato e persino i segnali acustici più fastidiosi come allarmi, suonerie e notifiche.
Questo processo così fondamentale per la nostra elaborazione del suono può però essere ingannato da alcune illusioni uditive costruite ad hoc. Proprio come le illusioni ottiche sono elaborazioni grafiche nate con il preciso scopo di ingannare la mente attraverso gli occhi – tra le più famose possiamo ricordare, ad esempio, quelle in cui un medesimo soggetto viene mostrato con due diversi sfondi, apparendoci erroneamente più grande o più piccolo a seconda del caso – allo stesso modo le illusioni uditive sono progettate per alterare la nostra percezione acustica, facendoci credere di aver sentito qualcosa che non è esattamente ciò che in realtà è stato riprodotto.
In alcune ricerche precedenti mirate allo studio della percezione acustica sono state sviluppate e utilizzate delle illusioni uditive che servivano, in particolare, ad alterare la percezione del tempo: all’ascoltatore sembrava che lo stesso identico input sonoro, a seconda che venisse spezzettato e inframmezzato con dei rumori di fondo, ed esempio, apparisse più breve rispetto a quando veniva riprodotto tutto di seguito, senza interruzioni.
I tre autori dello studio recentemente pubblicato su PNAS hanno rimaneggiato le elaborazioni sonore in questione sostituendo il silenzio al suono (e viceversa) per creare delle “illusioni uditive del silenzio”. In altre parole, mentre le illusioni uditive originarie erano costituite da silenzi interrotti da impulsi acustici intermittenti o continui, in quelle progettate dagli autori accadeva il contrario: un sottofondo sonoro (come il frastuono di un ristorante affollato, lo scrosciare della pioggia o il rumore di un treno in viaggio) veniva arrestato temporaneamente da un unico silenzio prolungato oppure da due momenti di silenzio inframezzati da un breve rumore. Lo scopo era quello di capire se anche in questo caso fosse possibile osservare quell’effetto di deformazione temporale descritto precedentemente che si ottiene con le illusioni uditive.
I partecipanti allo studio sono stati sottoposti, in particolare, a un totale di sette esperimenti in cui sono state proposte, attraverso diverse modalità, tre illusioni del silenzio ispirate ad altrettante illusioni uditive precedentemente utilizzate in letteratura (chi volesse ascoltare con le proprie orecchie le tre illusioni in questione e cimentarsi con gli esperimenti progettati dagli autori, può farlo a questo indirizzo: https://www.perceptionresearch.org/silence/. Per una corretta esperienza è necessario l’uso degli auricolari).
La demo della prima delle tre illusioni utilizzate nello studio, chiamata "One silence is more"
La prima illusione del silenzio (chiamata One silence is more) – ovvero quella spiegata poc’anzi, che mirava a far percepire un silenzio continuo più lungo rispetto a uno intermittente – ha ottenuto il risultato sperato, mostrando come i partecipanti allo studio tendessero a percepire un unico periodo di silenzio più duraturo rispetto alla stessa sequenza di silenzio spezzata in due parti.
Nella seconda illusione progettata dagli autori (definita Silence event-based warping) i partecipanti udivano due diversi segnali acustici uno dopo l’altro e dovevano stimare quanto tempo fosse passato tra il primo e il secondo. Anche quando l’intervallo di tempo tra i due suoni era lo stesso, i partecipanti tendevano a percepirli più distanziati quando prima e dopo la riproduzione di questi ultimi sentivano del rumore ambientale rispetto a quando li ascoltavano in assenza di altri suoni.
Per testare la terza e ultima illusione (quella dell’Oddball silence), gli autori hanno immerso i partecipanti in un paesaggio sonoro in cui venivano riprodotte, contemporaneamente, due “colonne sonore”: il suono di un organo e il rombo di un motore. In questo caso, lo scopo era quello di studiare la percezione dei “silenzi parziali”, ossia generati dalla sospensione temporanea di uno solo dei due suoni, mentre l’altro continuava. I risultati dell’esperimento dell’Oddball silence hanno mostrato che, se per quattro volte di fila veniva interrotto lo stesso suono (ad esempio, l’organo), quando poi veniva interrotto “a sorpresa” l’altro (il rombo del motore), la durata di quest’ultima pausa sembrava più prolungata rispetto a quelle precedenti, nonostante non lo fosse.
Per riassumere, tutte e tre le illusioni del silenzio costruite dagli autori sono riuscite a trarre in inganno i partecipanti, deformando in diversi modi la loro percezione temporale, proprio come accade con le illusioni uditive classiche. Sulla base di questa evidenza, gli autori sostengono l’esistenza di un’analogia tra il modo in cui il nostro cervello elabora i suoni e il silenzio.
Insomma, anche l’esperienza del silenzio sembra rappresentare, per certi versi, una forma di ascolto, supportando così la teoria percettiva. Per quanto questo risultato sembri ossimorico (e comunque, chiariamolo, non definitivo), esso suggerisce che gli esseri umani riescano, in qualche modo, a “sentire” il silenzio, che costituirebbe perciò un vero e proprio oggetto della nostra esperienza sensibile, e non solo il concetto teorico che usiamo per indicare la mancanza di suono.
Resta tutto da capire cosa sia esattamente il silenzio nella nostra percezione. Se siamo in grado di identificare un suono perché ne riconosciamo altezza, intensità, timbro o durata, come riconosciamo un momento di quiete? L’ipotesi degli autori è che il silenzio venga recepito dal nostro cervello come se fosse un “blank file”, ovvero un oggetto digitale privo di contenuto, come ad esempio un documento di testo in cui non è stata scritta alcuna parola. La questione, naturalmente, non è affatto chiusa una volta per tutte e, come sottolineano gli autori stessi, l’approccio più proficuo per continuare ad approfondire la complessità della nostra esperienza uditiva è quello basato sulla collaborazione interdisciplinare tra studiosi di filosofia e psicologia della percezione.