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In Salute. Disturbi spettro autistico: l’importanza di interventi precoci e individualizzati

È impossibile prevedere con precisione il margine di miglioramento di un bambino o una bambina a cui è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico. Per quanto negli ultimi decenni siano state definite nuove ed efficaci possibilità di intervento un tempo inesistenti, bisogna sempre ricordare che ogni paziente è unico, così come le difficoltà che affronta nella vita di tutti i giorni. Esistono infatti molte forme di autismo, ognuna delle quali è associata a un diverso quadro clinico ed è determinata da diverse alterazioni dello sviluppo neurobiologico. Per questo motivo, diagnosi precoci e interventi mirati, progettati cioè sulla base delle esigenze specifiche della persona, sono fondamentali per la gestione di questi disturbi del neurosviluppo che in Italia interessano circa un bambino su 77 e che comportano, come sintomi caratteristici, difficoltà e disinteresse verso le relazioni con le altre persone e l’ambiente circostante, ipersensibilità ad alcuni stimoli sensoriali e limitate capacità comunicative.

Affrontiamo questo tema in occasione della settimana mondiale del cervello con la neuropsichiatra infantile Paola Visconti, direttrice dell’Unità operativa Disturbi dello spettro autistico dell’Istituto delle scienze neurobiologiche – IRCC ospedale Bellaria di Bologna.

“Fino a pochi anni fa, i disturbo dello spettro autistico venivano diagnosticati a partire dal secondo o dal terzo anno di vita”, racconta Visconti. “Oggi è possibile effettuare diagnosi molto più precoci, in alcuni casi persino entro il primo anno di vita. Alcune manifestazioni caratteristiche dell’autismo possono essere rilevate infatti anche da parte dei pediatri, tramite la somministrazione ai genitori di un questionario diagnostico chiamato M-CHAT, che permette di accertare l’eventuale presenza di alcuni comportamenti, soprattutto quelli relativi alla comunicazione e all’interazione sociale del bambino, osservabili anche dopo 18 mesi dalla nascita.

Alcuni studi hanno anche suggerito la possibilità di diagnosticare il disturbo in età ancora più precoce (addirittura tra i sei e i dodici mesi di vita) basandosi sull’osservazione del comportamento motorio del bambino. Sembra infatti che la tendenza a muoversi in modo particolarmente lento, a scatti oppure in maniera asimmetrica possa essere correlata a questo genere di disturbo. È possibile, inoltre, rilevare alcuni segnali indicativi della presenza di autismo relativi alla sfera sensoriale, in particolare all’ambito visivo. I bambini con disturbi dello spettro autistico talvolta faticano a inseguire con lo sguardo un corpo in movimento, non riescono a spostare velocemente l’attenzione da un oggetto all’altro e hanno la tendenza a fissare lo sguardo su alcuni specifici elementi del paesaggio, come ad esempio le luci al neon”.

L'intervista alla neuropsichiatra infantile Paola Visconti. Montaggio di Barbara Paknazar

È difficile identificare con precisione le basi genetiche dei meccanismi neurobiologici che causano l’insorgenza dei disturbi dello spettro autistico. Di questo filone di ricerca fa parte un recente studio condotto da alcuni genetisti dell’università di Torino, i quali hanno rilevato una mutazione genetica – relativa, in particolare, a un gene chiamato CAPRIN1 – associata a una rara forma di autismo.

“Le basi genetiche dei disturbi dello spettro autistico sono oggetto di indagine a partire dalla fine del secolo scorso, in particolare grazie agli studi del neuropsichiatra Anthony Bailey”, spiega la dottoressa Visconti. “Bailey si basò sui risultati di due studi sperimentali che coinvolgevano coppie di gemelli. Le ricerche in questione mostravano che nelle coppie di gemelli omozigoti esisteva una percentuale significativamente maggiore di “allineamento” rispetto alla diagnosi di autismo: ovvero, nella maggior parte dei casi nessuno dei due, oppure entrambi, ma molto raramente uno sì e l’altro no, sviluppavano forme di autismo. Al contrario, nelle coppie di gemelli eterozigoti veniva più spesso riscontrata la presenza di questo disturbo in uno solo dei fratelli.

Tali evidenze dimostravano che la componente genetica giocasse un ruolo più importante rispetto al contesto ambientale nell’eziologia dei disturbi dello spettro autistico, per quanto oggi sappiamo che anche alcuni fattori ambientali possano interferire con i meccanismi neurobiologici coinvolti nello sviluppo di diverse forme di autismo. Alcune condizioni che alterano l’equilibrio dell’ambiente uterino come, ad esempio, un problema di vascolarizzazione, oppure la presenza di inquinanti ambientali, come pesticidi e onde elettromagnetiche, possono infatti impattare sullo sviluppo cerebrale del nascituro.

Negli ultimi anni è stato ipotizzato che siano moltissimi i geni (addirittura tra gli 800 e i 1000) coinvolti nei meccanismi di sviluppo cerebrale e associati, quindi, a diverse forme di autismo. In particolare, il gene CAPRIN1 è implicato in alcuni meccanismi neurobiologici responsabili della plasticità cerebrale e della sinaptogenesi (il processo di formazione dei collegamenti tra i neuroni), che oggi sono sempre più spesso oggetto di indagine nella ricerca delle basi biologiche di alcune specifiche forme di autismo. Le forme di cui stiamo parlando sono quelle definite “sindromiche”, poiché accanto alle manifestazioni caratteristiche del disturbo autistico comportano anche una costellazione di altre condizioni, come la presenza di anomalie scheletriche e uditive, disturbi dell’alimentazione, della respirazione o oftalmologici.  Queste forme, però, rappresentano solo il 15% dei casi di autismo”.

Il fatto che ancora non si conoscano con precisione le basi biologiche dell’autismo è il motivo per cui la ricerca di una terapia farmacologica è ancora molto indietro. Infatti, come spiega Visconti, “Non esistono, ad oggi, sostanze segnalate con chiara e sufficiente evidenza come in grado di agire con il core centrale della sintomatologia autistica”.

Al momento, le possibilità di trattamento per la gestione dei disturbi dello spettro autistico si basano perciò sulla terapia cognitiva-comportamentale. “Negli ultimi anni sono stati sviluppati alcuni interventi particolarmente efficaci, come ad esempio il Denver Model e i metodi ABA, che aiutano a mediare la relazione tra genitore e bambino supportando quest’ultimo nell’acquisizione di quegli schemi sociali che spontaneamente non riconosce”, continua Visconti. “L’efficacia dei trattamenti in questione è ben accertata per quanto riguarda il miglioramento delle competenze sociali a breve termine, lo è verosimilmente per il medio termine, mentre ancora è presto per conoscere gli effetti a lungo termine. Dopodiché, tutto è relativo: ogni bambino autistico è diverso dagli altri e perciò necessita di un intervento individualizzato sia dal punto di vista della tipologia di trattamento proposta, sia della durata”.

È difficile, perciò, progettare strategie univoche per una così ampia variabilità di situazioni. Ciò che però può fare la differenza, come abbiamo detto, è la diagnosi precoce del disturbo.

“È fondamentale rilevare i primissimi segnali, per quanto talvolta siano molto sfumati, che possono suggerire la presenza di un disturbo dello spettro autistico”, afferma Visconti. “Ottenuta la diagnosi, viene avviata una serie di interventi che hanno come target neurobiologico la stimolazione della plasticità cerebrale e, come target comportamentale, l’acquisizione di quelle capacità sociali e comunicative che nella maggior parte dei soggetti privi di autismo sono intuitive e spontanee. Infatti, nonostante i pazienti con disturbi dello spettro autistico non mostrino lesioni cerebrali identificabili tramite la risonanza magnetica, non possiedono alcune competenze generalmente innate che riguardano in particolare l’intersoggettività e l’empatia e quindi la capacità di relazionarsi con gli altri.

È bene ricordare che i pazienti che riescono a fuoriuscire dalla diagnosi di autismo (ovvero che migliorano a tal punto da non rientrare più nella descrizione clinica del disturbo presente nel DSM-5 o nell’ICD-10) sono molto pochi. Questo non vuol dire che non siano stati sottoposti a interventi efficaci, ma ci ricorda quanto sia complesso il quadro clinico dell’autismo.

La buona notizia è che, a differenza di quanto accadeva nel secolo scorso, quando i bambini capaci di padroneggiare il linguaggio e acquisire capacità comunicative erano molto pochi, oggi è possibile ottenere miglioramenti significativi in questo ambito soprattutto grazie all’implementazione della comunicazione aumentativa alternativa, (una pratica clinica che serve a costruire e potenziare canali comunicativi alternativi in persone che non riescono a esprimersi oralmente, ndr). Interventi di questo genere permettono anche di conservare il potenziale cognitivo di base dei pazienti, che rischia di essere perso se non li si incoraggia a interagire con l’ambiente esterno”.

Imparare a conoscere le difficoltà e le potenzialità specifiche di ogni bambino con autismo è fondamentale per supportarlo nella costruzione di una quotidianità serena e, soprattutto, di valore.

“Bisogna innanzitutto cercare di capire quali sono le specifiche difficoltà che affronta il bambino in presenza di alcuni stimoli sensoriali”, riflette Visconti. “Va osservato, ad esempio, in quali occasioni si tappa le orecchie, se rifugge il contatto con certi tessuti o ha una selettività alimentare. Sono comportamenti che vanno capiti e non puniti, proprio perché l’ipersensibilità sensoriale è centrale nella manifestazione del disturbo. Imparare a capire come un bambino reagisce agli stimoli sensoriali esterni è fondamentale per comprendere quali sono le situazioni che lo mettono più a suo agio e quelle in cui si trova in difficoltà. In alcuni casi, ad esempio, è meglio non essere prolissi e non utilizzare un linguaggio troppo verboso quando ci si rivolge a loro, perché possono faticare a comprendere il discorso nella sua interezza.

Oltre a questo, è importante voler loro bene per quello che sono e saper riconoscere quello che dimostrano. Quando si fa una diagnosi di autismo non si sa mai quanti progressi potrà fare la persona. È importante, in ogni caso, adeguarsi alle sue esigenze e ai suoi comportamenti con grande umiltà, ricordandosi cioè che i disturbi dello spettro autistico sono basati su meccanismi neurobiologici molto complessi e altrettanto complessa è la loro manifestazione”.

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