Dopo aver pranzato, durante una pausa al lavoro o la sera davanti a uno spritz con gli amici. Per un fumatore, il momento di accendersi una sigaretta è sempre quello buono. Ma le conseguenze sulla salute potrebbero non essere da poco.
La consuetudine al fumo di tabacco, prolungata nel tempo, è in grado di incidere infatti sulla durata della vita media oltre che sulla qualità della stessa: secondo i dati del Ministero della Salute, 20 sigarette al giorno riducono di quasi cinque anni la vita media di un giovane che inizi a fumare a 25. Il consumo di tabacco è considerato uno dei principali problemi di sanità pubblica a livello mondiale: stando ai dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità, causa ogni anno più di otto milioni di decessi, dei quali 1,2 milioni sono dovuti all’esposizione al fumo passivo. Oltre l'80% degli 1,3 miliardi di consumatori di tabacco nel mondo vive in Paesi a basso e medio reddito e qui si verificano anche la maggior parte dei decessi. Nell’Unione Europea, in particolare, il consumo di tabacco causa 700.000 morti all’anno.
Per quel che riguarda più nello specifico il nostro Paese, stando a uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità svolto in collaborazione con l’Istituto Farmacologico Mario Negri, a maggio 2021 la prevalenza di fumatori in Italia è del 26,2% (circa 11,3 milioni) di cui il 25,7% sono uomini (5,5 milioni) e il 26,7% sono donne (5,8 milioni). L’indagine ha messo in evidenza dunque un graduale aumento dei fumatori da aprile 2020 a maggio 2021, dopo la riduzione registrata invece nei mesi precedenti al lockdown (a gennaio i fumatori erano il 23,3% contro il 21,9% di aprile).
Il Center for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti ha individuato ben 27 malattie fumo-correlate. Il fumo infatti è uno dei maggiori fattori di rischio per lo sviluppo di malattie neoplastiche, cardiovascolari e respiratorie. È associato, notoriamente, al cancro al polmone, ma anche ad altri tipi di tumore, come quelli del cavo orale e della gola, dell'esofago, del pancreas, del colon, della vescica, della prostata, del rene, del seno, delle ovaie e ad alcune leucemie. Ancora, chi fuma ha un rischio di mortalità, causata da coronaropatia, superiore da tre a cinque volte rispetto a un non fumatore.
L’esposizione cronica al fumo, inoltre, può aumentare il rischio di impotenza negli uomini, soprattutto in presenza di malattie cardiovascolari e relativi trattamenti farmacologici, e causare menopause precoci nelle donne, poiché il fumo influisce sulla normale produzione di ormoni sessuali femminili. Senza contare che una fumatrice in gravidanza ha un rischio maggiore di aborti, di bambini nati morti e di partorire neonati sottopeso. In generale, sulla gravità dei danni fisici dovuti all’esposizione anche passiva al fumo di tabacco incidono fattori come l’età in cui si è iniziato a fumare, il numero di sigarette giornaliere, l’inalazione più o meno profonda del fumo e il numero di anni di fumo.
Con Paolo Spagnolo, direttore della Scuola di specializzazione in Malattie dell’apparato respiratorio dell’Università di Padova, parliamo nello specifico di patologie respiratorie fumo-correlate: “Gli effetti del fumo a livello del polmone sono molteplici - spiega il docente -, ma essenzialmente di due tipi: da una parte il fumo provoca un’infiammazione cronica a livello delle vie respiratorie, che si traduce nella produzione di muco: il muco è responsabile della tosse che, a sua volta, è uno dei sintomi cardine delle malattie respiratorie. Dall’altra questa infiammazione e la ipersecrezione di muco provocano una riduzione al flusso aereo, responsabile invece dell’altro sintomo cardine che è l’affanno, cioè la mancanza di respiro. L’altro grosso effetto è una riduzione dei meccanismi di difesa a disposizione dell’apparato respiratorio”.
Spagnolo spiega che per alcune malattie respiratorie l’effetto del fumo è particolarmente importante, come nel caso del tumore al polmone: “L’80-90% della mortalità per tumore polmonare è legata al fumo di sigaretta”. Proprio il fumo di sigaretta aumenta di 25 volte, sia nell’uomo che nella donna, il rischio di sviluppare tumore polmonare nei fumatori rispetto ai non fumatori. “Ovviamente il numero di sigarette e la durata dell’abitudine tabagica influiscono negativamente, come pure la compresenza di altri fattori di rischio, per esempio l’inalazione contemporanea di sostanze tossiche che avviene in alcune attività lavorative. L’abitudine tabagica quindi è il più chiaro, il più stretto fattore di rischio per tumore polmonare”.
Intervista completa a Paolo Spagnolo. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Elisa Speronello
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) poi – una delle più comuni patologie respiratorie caratterizzata da un'ostruzione irreversibile delle vie aeree – è un altro esempio classico di malattia fumo-correlata e la stragrande maggioranza dei pazienti sono fumatori.
“Ovviamente questo vale per i Paesi sviluppati, industrializzati, perché in parti più svantaggiate del mondo la causa principale (di queste malattie, ndr) non è tanto il fumo di sigaretta, quanto invece l’air pollution, l’inquinamento all’interno dell’abitazione, che deriva dalla cottura dei cibi o dal riscaldamento domestico in ambienti scarsamente ventilati”. Esistono inoltre patologie rare fumo-correlate, come la fibrosi del polmone (la fibrosi polmonare idiopatica in particolare), che colpiscono prevalentemente la popolazione anziana.
Al professor Spagnolo abbiamo chiesto poi qualche considerazione in merito all’abitudine tabagica nelle donne e alle conseguenze che questa può avere sulla salute. “I dati più recenti dicono che la suscettibilità ai danni del fumo di tabacco è maggiore nei soggetti di sesso femminile. È difficile dire perché ciò accada, ma probabilmente vi sono dei motivi di tipo anatomico-strutturale: le vie aeree delle donne sono un po’ più piccole rispetto a quelle dell’uomo, quindi la concentrazione di sostanze tossiche, di sostanze dannose e irritanti a livello dell’albero respiratorio è maggiore. Potrebbero essere coinvolti anche fattori biologici o genetici, per esempio l’azione degli estrogeni che potrebbero in qualche modo stimolare, favorire la crescita della neoplasia. Infine potrebbero contribuire anche dei fattori sociali, quindi uno stile di vita diverso”. Tra le donne che hanno un tumore polmonare circa il 20% non ha mai fumato, contro invece l’8-10% dei soggetti di sesso maschile, e questo secondo il docente, starebbe a sottolineare una maggiore predisposizione ai danni del fumo.
Per quel che riguarda i più giovani invece, un altro studio condotto dall’Istituto Superiore di Sanità riferisce dati poco confortanti, secondo cui un adolescente su tre tra i 14 ed i 17 anni ha già avuto un contatto con il fumo di tabacco e quasi il 42% con la sigaretta elettronica. L’indagine, condotta su un campione di 2.775 studenti frequentanti la scuola secondaria di secondo grado, mette in evidenza inoltre che il 43,4% dei ragazzi e ragazze considerati avrebbe iniziato a consumare tabacco alle scuole medie e il 4,1% addirittura alle elementari. Tra i fumatori di sigarette tradizionali, il 26,3% fuma dieci o più sigarette al giorno e tra questi l’1,5% ne fuma più di 20.
“Questo è un dato preoccupante - commenta Spagnolo -, perché la fascia di età tra i 14 e i 17 anni è la fase in cui il polmone è in piena crescita. Fino a 20-25 anni il polmone continua a crescere, dunque i danni del fumo sono amplificati. Le conseguenze possono essere un ridotto sviluppo del polmone e una maggiore tendenza a sviluppare tutte quelle patologie che si riscontrano in fasce di età più avanzate, dunque una più precoce tendenza a una bronchite cronica oppure alla limitazione al flusso aereo. A ciò si aggiunga che ci sono dati secondo cui più precoce è l’abitudine tabagica più difficile è poi smettere di fumare”.
E a proposito di sigarette elettroniche - che tra il 2017 e il 2020 hanno visto un incremento delle vendite del 616% - Spagnolo fa qualche precisazione: “Ci sono alcuni miti da sfatare. Il primo è che le sigarette elettroniche non siano dannose. Fino a febbraio del 2020 negli Stati Uniti sono stati riportati 3.000 casi fra ospedalizzazioni e decessi dovuti alle sigarette elettroniche. Chiaramente il fumo di sigaretta è più dannoso, ma ciò non significa che le sigarette elettroniche non lo siano. Il secondo mito da sfatare è che le sigarette elettroniche siano efficaci nel favorire la cessazione del fumo di tabacco: l’FDA dice chiaramente che non ci sono dati robusti in tal senso, quindi la sigaretta elettronica non favorisce la cessazione dell’abitudine tabagica”.