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In Salute: Insonnia, il disturbo della nostra epoca

Negli ultimi cento anni abbiamo perso oltre un’ora di sonno per ogni notte. Sovraccarichi di stress e impegni e travolti dagli stimoli forniti dai dispositivi tecnologici non riusciamo a dedicare al riposo notturno l’attenzione e la cura che invece meriterebbe. Siamo più sensibili rispetto ai temi legati alla salute e all’alimentazione, cerchiamo di tenerci in forma e di praticare almeno un po' di movimento, ma continuiamo a trascurare la qualità del nostro sonno, pur consapevoli della sua centralità nel mantenimento del benessere psicofisico complessivo.

Sporadicamente nel corso della propria esistenza una persona su tre soffre di insonnia, almeno per un periodo. Può accadere come conseguenza di un evento traumatico come un lutto, la fine di una relazione importante o la perdita del lavoro, oppure può accadere di non dormire un numero sufficiente di ore per una circostanza specifica come un viaggio intercontinentale o lo svolgimento di un lavoro che prevede un impegno notturno.

Ma se occasionalmente a ognuno di noi può capitare, per svariati motivi, di non dormire un numero sufficiente di ore, il discorso cambia quando questo tipo di esperienza non è transitoria e assume i connotati dell’insonnia cronica. Colpisce quasi una persona su cinque ed è il più diffuso dei disturbi del sonno, con una tendenza all’aumento, insieme ad ansia, depressione e disturbi alimentari, a causa dell'impatto della pandemia sulla nostra sfera emotiva e psicologica, oltre che sullo stravolgimento delle nostre abitudini di vita.

Se non si corre ai ripari il rischio che il disturbo progredisca e diventi a lungo termine è concreto. E le conseguenze sono rilevanti sia per quanto riguarda gli effetti sul nostro sistema cognitivo, con una diminuzione della capacità di concentrazione e di memoria, sia per lo sviluppo di disturbi legali al tono dell'umore. Ma quando per lungo tempo non si dorme abbastanza a risentirne è l'intero organismo e aumenta in modo considerevole il rischio di patologie gravi, soprattutto per quanto riguarda il sistema cardiovascolare e il funzionamento del metabolismo. 

Fino a qualche anno fa si riteneva che nel nostro paese l'insonnia cronica colpisse tra circa il 10-15 per cento della popolazione generale. Gli ultimi dati mostrano però numeri in aumento, in linea con quanto sta accadendo anche a livello europeo. Attualmente si stima che a soffrire di insonnia a lungo termine siano tra i 9 e i 12 milioni di italiani - vale a dire tra i 15 e il 20 per cento della popolazione totale, un dato in linea con quello europeo - ma è probabile che siano cifre da ritoccare al rialzo. 

Lo scorso 19 marzo, in occasione del World Sleep Day 2021, l'Associazione italiana di medicina del sonno ha riunito i principali esperti italiani del settore in un webinar che ha assunto la forma di una maratona video della durata di oltre 10 ore: un quadro particolarmente completo ed accurato sui meccanismi di regolazione del sonno, sulle basi fisiologiche, sulle disfunzioni e sulle possibilità terapeutiche.

L'evento si svolge tradizionalmente a ridosso dell'equinozio di primavera e in passato in questa giornata i centri del sonno rimanevano aperti in una sorta di open day. L'appuntamento, hanno sottolineato gli organizzatori, è diventato ancora più importante, proprio in considerazione del fatto che la pandemia ha portato ad un incremento del numero di persone che soffrono di disturbi del sonno e ha aggravato i sintomi di chi già ne era colpito in precedenza. 

In passato si pensava che l’insonnia si manifestasse in conseguenza di altre patologie. Oggi invece questa concezione è stata superata a favore di una visione che inquadra l’insonnia come un disturbo a sé stante, sebbene possa naturalmente essere anche collegato ad altre condizioni cliniche. Inoltre per arrivare a una diagnosi di insonnia cronica oggi il riferimento non è più solo la durata del disturbo a livello temporale combinato alla frequenza settimanale delle notti in cui non si riesce a chiudere occhio. Questi sono senz’altro parametri importanti a cui però va aggiunto l’impatto dei sintomi che un soggetto insonne può presentare durante il giorno. In questo senso l’insonnia è considerata una patologia da sottoporre a una valutazione quando implica una compromissione delle attività diurne, provocando ad esempio difficoltà di attenzione, concentrazione e apprendimento, o un’alterazione del carattere o dell’umore.

A favorire l’insorgere del disturbo di insonnia, ha spiegato la psichiatra Laura Palagini, responsabile dell’ambulatorio per il trattamento dei disturbi del sonno dell’Azienda universitsario-ospedaliera pisana, può essere un temperamento che rientri nello spettro dell’ansia, ma ci sono anche fattori comuni rappresentati dalla fascia di età, dal sesso (con una maggiore predisposizione femminile in tutte le fasi della vita), da condizioni che alterano il ritmo circadiano, come il jet lag o il ricoprire occupazioni lavorative che richiedano lo svolgimento di turni di notte. Inoltre, a partire dai 50 anni si osserva una riduzione fisiologica della produzione di melatonina e ciò aumenta il rischio di sviluppare l’insonnia.

Una manifestazione acuta dell’insonnia è spesso collegata a specifici fattori stressanti, i cosiddetti fattori precipitanti. Si tratta di situazioni traumatiche come eventi luttuosi, gravi difficoltà familiari, lavorativi o scolastici, ma anche problemi fisici o la presenza di sintomatologia dolorosa. Una volta che si è stabilita l’insonnia acuta "la probabilità che evolva in forma cronica è molto elevata perché si stabiliscono dei pensieri e dei conseguenti comportamenti che tendono a sostenere e perpetuare l’impossibilità di dormire", ha sottolineato Laura Palagini. 

Ma a tutto questo si aggiungono anche fattori sociali e stili di vita. Nel libro “I tre fratelli che non dormivano mai”, il professor Giuseppe Plazzi, neurologo, presidente dell’Associazione italiana di medicina del sonno e responsabile dei laboratori per lo studio e la cura dei disturbi del sonno dell’università di Bologna, definisce l’insonnia “il motore di questo secolo che non dorme mai” e si sofferma su un elemento che ci accomuna tutti, almeno nel mondo occidentale, e cioè un “tempo preso d’assalto dalla frenesia del lavoro, dalla dipendenza dai social, dalla necessità di essere rapidi e multitasking in qualsiasi attività ci sia richiesta di compiere”. Il risultato è la diffusa difficoltà che incontriamo nel dormire.

 


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E poi abitudini errate che ci portano spesso a fare della camera da letto un prolungamento del soggiorno e non un luogo da dedicare al riposo e da cui le apparecchiature elettroniche dovrebbero essere escluse. Per non parlare della tentazione di guardare lo smartphone pochi istanti prima di provare a chiudere gli occhi, magari cercando le ultime notizie sulla pandemia e aggiungendo così sulla notte in arrivo un ulteriore carico di pensieri. La presenza della luce artificiale proveniente dai dispositivi tecnologici produce infatti meccanismi che possono ostacolare un sonno di buona qualità. Molte ricerche scientifiche sono concordi su questo punto ed evidenziano come sia preferibile rinunciare agli stimoli luminosi provenienti da televisori, tablet e smartphone a partire da almeno mezz'ora prima rispetto a quando si ha intenzione di andare a coricarsi. All'argomento qualche tempo fa ha dedicato uno speciale anche il New Yorker, attraverso una serie suddivisa in tre episodi. Dormiamo molto meno rispetto al passato e la ragione, sottolinea l'approfondimento, non è che ci svegliamo prima al mattino. I cambiamenti hanno a che vedere con quando e come decidiamo di andare a dormire e tra i fattori che più incidono sulla velocità in cui si può sperare di addormentarsi c'è proprio la luce: il nostro ritmo circadiano finisce per essere ingannato dall'emissione luminosa proveniente dai dispositivi elettronici e il cervello riceve in ritardo il segnale che è ora di dormire. 

"La luce è preziosissima di giorno ma per un buon sonno serve il buio perché in caso contrario non viene prodotta una quantità sufficiente di melatonina che è l’ormone del sonno", conferma a Il Bo Live il professor Giuseppe Plazzi. Insieme a lui abbiamo passato in rassegna quali sono le corrette abitudini che possono contrastare l'insonnia, quali percorsi terapeutici possono essere efficaci e che tipo di indagini possono monitorare la qualità del sonno di una persona.

L'intervista completa sull'insonnia al professor Giuseppe Plazzi, presidente dell'Associazione italiana di medicina del sonno. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"L’insonnia - introduce il professor Giuseppe Plazzi - viene valutata in base ai sintomi notturni che sono un sonno scarsamente ristoratore, un sonno frammentato, ritardato come inizio o un risveglio precoce. Oggi però si prendono in considerazione anche i sintomi diurni: l’insonnia, cioè la sensazione di dormire poco o male, o entrambe le condizioni, deve essere associata a dei disturbi che si manifestano durante il giorno, a livello cognitivo, di attenzione, di memoria o una vera e propria sonnolenza, ma anche a disturbi sulla sfera dell’umore, come l’irritabilità".

Per poter definire una persona insonne è dunque necessario che difficoltà del sonno e compromissione dell’attività diurna coesistano. E questa visione, che scaturisce dalla terza edizione della classificazione internazionale dei disturbi del sonno, effettuata nel 2014 dall'American Academy of Sleep Medicine, è stata accompagnata anche dal superamento della categorizzazione che distingueva tra insonnie primarie e secondarie. 

"E’ difficile affermare in modo preciso quante persone soffrono di insonnia poiché deve essere valutata su basi cliniche" puntualizza il presidente dell'Associazione italiana di medicina del sonno che però non ha dubbi nel confermare che questo disturbo sia in crescita. "Sappiamo che il 15 e il 20% della popolazione europea e italiana soffre di insonnia cronica. Numeri che purtroppo negli ultimi tempi sono molto aumentati", spiega Giuseppe Plazzi aggiungendo che molti studi hanno ormai accertato l'impatto negativo della pandemia su tutti i disturbi del sonno. E non vanno poi affatto trascurate le ripercussioni neurologiche delle persone che hanno affrontato Covid-19. Da questo punto di vista un lavoro uscito su nel novembre scorso The Lancet Psychiatry e relativo a oltre 60 mila pazienti ha posto l'insonnia al secondo posto, dopo il disturbo d'ansia, tra le sequele psichiatriche collegate alla malattia. 

Ma la pandemia ha avuto un suo effetto sul sonno anche attraverso lo stravolgimento dei ritmi di vita, le forti limitazioni alla dimensione sociale, il peggioramento del benessere mentale e l'aumento dei livelli di stress e ansia, come evidenziato da Giuseppe Plazzi anche in occasione dell'ultimo congresso nazionale della Società italiana di neurologia

Questo aspetto - precisa il professore - è particolarmente preoccupante alla luce dei risultati di uno studio canadese, pubblicato su Jama Open, secondo cui l'insonnia, a prescindere dalle cause che portano al suo esordio, tende spesso a diventare una condizione permanente. E questa cronicizzazione può rappresentare una minaccia concreta per il nostro stato di salute.

"I principali rischi di un’insonnia cronica riguardano il sistema cardiovascolare e l’insorgenza di disturbi metabolici. Contrariamente a quanto si pensava in passato l’insonnia può determinare un aumento di peso e anche una resistenza all’insulina, condizione che favorisce l'insorgenza del diabete", spiega il professor Giuseppe Plazzi aggiungendo che "ci sono inoltre dei rischi dal punto di vista cognitivo con minori capacità per la memoria" e che "un sonno scarso o di cattività qualità può favorire l’accelerazione di processi neurodegenerativi".

"Nonostante questo il sonno non viene curato come dovrebbe essere: oggi è maturata una maggiore sensibilità per la cura del nostro corpo e della nostra salute ma lo stesso non è accaduto per il sonno", osserva Plazzi che sottolinea poi l'importanza di adottare quelle abitudini corrette che possono aiutarci a dormire in modo soddisfacente. "Coricarsi nel proprio letto e non sul divano, avere orari abbastanza regolari, non mangiare subito prima di andare a letto, evitare l’assunzione eccessiva di alcolici. La stanza in cui dormiamo deve inoltre essere idonea al sonno, senza apparecchi che illuminano e dispositivi elettronici e la regolazione della temperatura deve essere appropriata. Ed è importante cercare di dormire lo stesso numero di ore, circa sette ogni notte, evitando sia le privazioni di sonno che le scorpacciate di recupero". 

Quanto ai bambini "hanno bisogno di stare a letto un numero superiore di ore rispetto all’adulto, non devono andare a letto troppo tardi nè svegliarsi troppo tardi al mattino. Anche in questo caso è molto importante il luogo dove si dorme e bisogna dormire al buio", spiega il presidente dell'Associazione italiana di medicina del sonno che insiste però su un punto: "non costringerli ad avere gli stessi ritmi di vita degli adulti".

Il fabbisogno di sonno varia a seconda delle età e tende a diminuire nel procedere della vita. Lo ha evidenziato anche la National Sleep Foundation statunitense elaborando una tabella suddivisa in nove gruppi di età, dai neonati tra 0 e 3 mesi alle persone al di sopra dei 65 anni. Ma più che contare il numero di ore dormite bisogna analizzare se il modo in cui si vivono le attività giornaliere sia condizionato in modo negativo da un sonno insufficiente o di scarsa qualità. 

"Quando l’insonnia diventa un problema e si associa a un problemi diurni - afferma il professor Plazzi - come primo passo bisogna fare un controllo della propria gestione del sonno. Se il disturbo persiste bisogna parlarne con il medico e la buona notizia è che ci sono molti studi scientifici che dimostrano come anche il solo approccio psicologico, la terapia cognitiva comportamentale specifica per l’insonnia, riesce ad ottenere un successo non inferiore a quello dell’uso di ipnotici. Ed è un percorso che richiede solo poche settimane". Il ricorso ai farmaci deve essere effettuato con cautela e soprattutto non deve mai avvenire al di fuori di una valutazione medica. 

Giuseppe Plazzi da oltre 20 anni è anche responsabile dei laboratori per lo studio e la cura dei disturbi del sonno dell'università di Bologna, che hanno sede all'ospedale Bellaria del capoluogo emiliano. "Esistono diversi gradi di complessità negli studi sul sonno. Il più semplice consiste nel monitorare il ritmo sonno-veglia o con un diario che diamo al paziente o con l’actigrafo, uno strumento che si mette al polso e che è di fatto un sensore di movimento. Questo strumento dà una buona approssimazione del ritmo sonno-veglia e aiuta il medico a capire come dorme e quanto dorme il paziente. Al tempo stesso è utile anche per il paziente perché spesso esiste una dispercezione del nostro sonno. Ci sono poi i livelli di studio più complessi che sono rappresentati dalla polisonnografia che consente di monitorare molti parametri: dall’elettroencefalogramma, che ci consente di capire cosa succede al nostro cervello e che è indispensabile per caratterizzare il sonno, fino al respiro o i movimenti durante il sonno", approfondisce il docente.

E in una fase in cui il coronavirus oltre a stravolgere il modo in cui viviamo ha finito per insinuarsi anche nelle nostre notti l'Associazione italiana di medicina del sonno ha messo a punto un servizio di consulenza e ascolto via mail e via Skype. Lo sportello di ascolto è attivo dallo scorso dicembre e vuole rappresentare un supporto per le tante persone che in questo periodo hanno sviluppato alterazioni del ritmo sonno-veglia. "Il servizio è ancora attivo e ha avuto un discreto successo. Spero che sia stato utile per dare una mano alle persone che soffrono di disturbi del sonno", commenta il professor Plazzi.


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Oltre ad essere un medico il professor Plazzi è anche un velista e nel suo palmares vanta cinque titoli italiani e la partecipazione a tre campionati del mondo. Una passione trasmessa al figlio Jacopo che dopo essere entrato a far parte del team di Luna Rossa ha recentemente disputato la sua prima America's Cup nelle acque di Auckland. Come noto ad aggiudicarsi la storica competizione di vela è stata New Zealand ma siamo certi che il presidente dell'Associazione italiana di medicina del sonno, che ha portato i propri studi anche a bordo dell'imbarcazione, avrà fatto il tifo in tutta la serie di regate (trasmesse alle 4 del mattino, ora italiana). Una momentanea eccezione alla regolarità dell'orario in cui dormire ma giustificata da un motivo eccezionale, in attesa che l'impresa venga nuovamente tentata il prossimo anno. 

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