MONDO SALUTE

In Salute. Disturbi del comportamento alimentare: conoscerli e curarli (senza stigmi)

Il Bo Live inaugura un nuovo ciclo di approfondimento dedicato alla medicina e alla sfera della salute. Lo facciamo perché siamo convinti che sia estremamente importante conoscere meglio alcune malattie, approfondendo insieme agli esperti i percorsi diagnostico-terapeutici, ragionando sulla prevenzione e superando quei preconcetti che purtroppo ancora accompagnano alcune tipologie di disturbi.

Sarà un approccio legato anche all’attualità: la pandemia sta avendo un impatto molto forte sulla sanità, in termini di visite specialistiche rimandate, accesso ai programmi di screening, limitazioni nella diagnosi precoce, restituendoci una sensazione di fragilità che ci fa sentire più soli e spaventati. A farne le spese è spesso anche il nostro benessere psichico con ripercussioni sulla qualità della vità e delle relazioni. In questo spazio non parleremo però del coronavirus: naturalmente la ricerca su SARS-CoV-2 prosegue e tutti gli articoli pubblicati dal nostro giornale nell’ultimo anno, e quelli che continueremo a realizzare, potrete trovarli qui, nella sezione l’Onda Covid.

Ma la pandemia ha finito anche per togliere spazio e attenzioni alle altre patologie, sui media come nelle strutture sanitarie e fanno riflettere le parole di Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici che commentando il rapporto di Istat sulla mortalità nel 2020, da cui risulta che l'Italia ha avuto circa 30 mila morti in più rispetto a quelli attribuiti a Covid e a quelli attesi per le altre patologie, ha affermato che “il dato ci preoccupa, perché può essere la conseguenza finale anche delle cosiddette malattie trascurate causa pandemia”.

Ci concentreremo allora sulle patologie cardiovascolari ed oncologiche, il cui esito è spesso strettamente legato alla tempestività dell’intervento e della diagnosi, ma anche su depressione, disturbi del comportamento alimentare e alterazioni del sonno, altra famiglia di malattie che tende ad aumentare in momenti di forte crisi. Cercheremo inoltre di focalizzarci anche su patologie meno note, come le malattie rare, o quelle di cui si parla ancora troppo poco, come l’endometriosi sulla cui diagnosi grava un ritardo medio di 8-9 anni, con conseguenze in termini di sofferenze prolungate per le pazienti. Durante la stagione primaverile proveremo poi a scoprire qualcosa di più sulle allergie respiratorie, che rappresentano la forma più diffusa di allergie in Europa e nel mondo, e in vista dell’estate dedicheremo attenzione alla salute della pelle e delle ossa. Queste sono solo delle piccole anticipazioni. Il nostro obiettivo è far crescere questo spazio affinché possa diventare un punto di riferimento che chi è interessato al tema della salute e cerca un’informazione accurata, lontana da sensazionalismi e nel maggiore rispetto possibile per ogni persona che affronta una malattia.

Inauguriamo questo ciclo affrontando il tema dei disturbi del comportamento alimentare: il 15 marzo è la decima giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, riconosciuta istituzionalmente come momento di sensibilizzazione e informazione. E' nata nel 2012 per iniziativa di un papà che ha perso la figlia di 17 anni per bulimia mentre era in attesa di ricovero in una struttura specializzata e ricorre nel giorno della scomparsa della ragazza. Giulia non ha fatto in tempo ad essere ricoverata e proprio la disomogeneità territoriale nella presenza di una rete completa di assistenza compromette non di rado l'appropriatezza e la tempestività delle cure. 

In Italia sono circa 2 milioni e mezzo le persone che soffrono di un disturbo alimentare, in prevalenza sono donne ma il fenomeno riguarda anche gli uomini. E cala l'età media in cui iniziano a manifestarsi alterazioni nel rapporto con il cibo, al punto che si registrano casi anche al di sotto dei 10 anni. Adolescenti, se non addirittura bambine, in lotta con il proprio corpo e le proprie emozioni. Il cibo che diventa un nemico da allontanare e su cui esercitare il controllo più estremo. Oppure una valvola di sfogo in cui trovare un temporaneo rifugio attraverso l'assunzione di quantità smodate di alimenti. Un profondo disagio personale che può avere diverse radici, in alcuni casi legate ad eventi traumatici, e su cui si innestano anche le pressioni di una società che ha elevato l'immagine e la perfezione del corpo a condizione quasi indispensabile per sentirsi accettati. 

Ogni anno sono circa 8.500 le nuove diagnosi di disturbi del comportamento alimentare. Ma questa cifra si riferisce solo ai casi più gravi, senza comprendere forme più lievi, di ordine subclinico, che implicano però ugualmente molta sofferenza per le persone che li affrontano e per le famiglie. Senza dimenticare che si tratta di disturbi in cui il rischio di progressione è elevato e che, se si protraggono nel tempo, possono avere gravi ripercussioni sulla salute, arrivando a mettere a rischio la vita.

Abbiamo affrontato il tema insieme al professor Umberto Nizzoli, presidente della Società italana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare e membro dell'Academy of Eating Disorders, per capire meglio quali sono le principali manifestazioni che rientrano in questa tipologia di disturbi e su quali piani occorre agire per essere di aiuto alle persone che ne sono affette. 

 

L'intervista completa al professor Umberto Nizzoli, presidente della Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"Nei disturbi del comportamento alimentare - introduce il professor Umberto Nizzoli - è inclusa una serie di manifestazioni piuttosto vasta: i sintomi variano a seconda dei vari quadri a cui vogliamo dedicare attenzione ma hanno in comune la difficoltà nel rapporto con il cibo, a cui spesso si aggiungono criticità con il peso e con l’immagine corporea, logicamente quella percepita. Come per tutte le patologie vi è una diversa intensità dei sintomi, molte forme possono essere considerate più striscianti, di ordine subclinico, ma fanno soffrire ugualmente le persone e spesso sono la premessa che porta all’esordio di una patologia più franca. Riuscire a intercettare queste manifestazioni che non sono ancora così severamente organizzate è un punto molto importante perché facilita il trattamento e impedisce che le persone diventino poi vittime, come spesso succede, delle malattie da cui sono affette. 

Se consideriamo comulativamente tutti i disturbi dell’alimentazione e di qualsiasi severità, comprendendo quindi le forme cliniche lievi ma non il disagio sfumato, in Italia arriviamo a un universo di oltre 2 milioni e mezzo di persone. Gli 8.500 nuovi casi all’anno si riferiscono alle forme più severe, quelle restrittive, che sono anche quelle che colpiscono più spesso l’immaginario delle persone perché sono associate alla magrezza estrema". 

E la pandemia, irrompendo in modo profondo nelle nostre abitudini e nei nostri stati emotivi, ha determinato conseguenze molto pesanti anche sui disturbi del comportamento alimentare: mettendo a confronto i numeri del primo semestre del 2019 con quelli dei primo del 2020 si è registrato un incremento del 30 per cento dell’incidenza delle patologie. "Il tasso di stress è aumentato - conferma Nizzoli - e si sono diffuse le patologie da ansia e gli stati depressivi. Adesso che sono passati diversi mesi in alcuni paesi sono state effettuate delle ricerche longitudinali, seguendo in maniera molto regolare ampi gruppi di popolazione, e sono stati osservati dei fenomeni che possiamo considerare suggestivi, se non omologhi, della nostra realtà. Nel primo periodo della pandemia si è innescata una condizione di aumento della sofferenza generale e della severità delle sofferenze in essere. Questo è accaduto in modo trasversale per tutte le categorie sociali e tutte le patologie di cui si ha cognizione. In una fase più recente è accaduto che per alcuni gruppi di popolazione c’è stata un'ulteriore crescita della sofferenza e mi riferisco ai giovani, soprattutto tra i 15 e i 22 anni, che hanno aumentato severamente il loro tasso di crisi, ansia, stati depressivi, perdita di controllo degli impulsi, ma anche ai care givers e alle persone vulnerabili, già affette da patologie precedenti.

Nel nostro specifico settore abbiamo osservato che chi aveva già disturbi dell’alimentazione in gran parte li ha visti aggravarsi e hanno iniziato a manifestarsi anche in molte persone che precedentemente non ne soffrivano. Anche perché, di fronte alle condizioni di stress, le forme per modulare questa tensione sono gli psicofarmaci, il consumo di alcool e le perdite di controllo nel rapporto con il cibo. I disturbi alimentari sono quindi uno degli strumenti patologici e autolesivi di modulazione della sofferenza provocata dalla tensione legata alla pandemia", spiega il presidente della Sidca.

Anoressia e bulimia

Nel linguaggio comune quando si parla disturbi del comportamento alimentare il pensiero va subito all'anoressia e alla privazione di cibo spinta oltre ogni limite. Secondo la definizione che ne dà l'Istituto superiore di sanità "una persona diventa anoressica quando, riducendo o interrompendo la propria consueta alimentazione, scende sotto l’85% del peso normale per la propria età, sesso e altezza". A caratterizzare questo disturbo è un'alterazione nel modo in cui viene percepito il proprio corpo, accompagnata da un'intensa paura di vedere la bilancia salire anche quando si è sottopeso. Un fenomeno che sta emergendo da alcuni anni è l'aumento dei casi di anoressia tra la popolazione maschile. "Se prendiamo i dati relativi alla California, che negli ultimi 60 anni è stata spesso stata l’area dove sono nati i comportamenti e le tendenze che si sono poi diffuse nel resto della cultura occidentale, vediamo che non ci sono più differenze di genere rispetto alla prevalenza di questa malattia. In Italia si reputa che il trend di crescita tra gli uomini sia molto inferiore, ma se una volta il rapporto era di 10 a 1, oggi si ritiene che sia di 8 a 1", afferma Nizzoli, aggiungendo che si sta registrando un aumento acuto dei disturbi dell’alimentazione tra i maschi e che il binge eating disorder, di cui parleremo in seguito, colpisce in modo prevalente gli uomini. 

Anche la bulimia ha una notorietà abbastanza elevata ma tra i disturbi del comportamento alimentare è quello di più difficile individuazione. "Nonostante nel sapere collettivo sia diffuso che cosa sia la bulimia, in realtà rendersi conto di quali siano le persone affette da bulimia nel proprio contesto familiare, sociale e lavorativo è tutt’altro che agevole. Il motivo è che le persone affette da bulimia provano una condizione di enorme sofferenza interiore di cui si vergognano profondamente e cercano in tutti i modi di tenerla segretata. Molte volte non hanno nemmeno la confidenza di dirlo al proprio partner o ai propri genitori e ricorrono a delle forme tattiche di copertura. Hanno questo tipo di condotta perché, sentendosi così precarie, osservate e inadeguate, ma anche profondamente arrabbiate perché non sono ascoltate nei loro bisogni e nelle loro esigenze affettive, lavorative e sociali, ricercano una perfetta normalizzazione sia nel mantenimento del peso corporeo sia nella condotta e nell’aspetto. Sono invece persone che vivono con la propria patologia, in un dramma interiore che vorrebbero non venisse conosciuto da nessuno e sperando di dominarlo. Non riuscendo invece a farlo la persona bulimica ha dei momenti di perdita del controllo che induce a eccessi smodati di cibo, consumato in un tempo estremamente veloce, a cui fa seguito il bisogno di eliminare questa enorme assunzione ricorrendo al vomito o all’uso di diuretici oppure ricorrendo a restrizioni successive o a forme intensissime di attività fisica", spiega il presidente della Società dei disturbi del comportamento alimentare.

Binge eating

Tra gli altri disturbi del comportamento alimentare una forma molto diffusa è il binge eating. "Le differenze rispetto alla bulimia - precisa il professor Umberto Nizzoli - sono che l’assunzione di cibo non avviene in maniera nascosta e che non vi è il ricorso a condotte di eliminazione. Anche nel caso del binge eating avviene una perdita di controllo, associata a una grande disperazione perché le persone mentre lo fanno hanno dei vissuti soggettivi molto contraddittori, che vanno dallo stato di grandissima eccitazione al senso di disgusto e disapprovazione più totale per se stessi. Vi è una forma di resa che molto spesso si traduce nell’obesità. E sono forme di obesità psicogene che sono accompagnate da conseguenze rilevanti, come problemi metabolici, diabete e disturbi circolatori.

Una larga parte dei casi di obesità è sorretta dal binge eating che ha poi un’ulteriore forma di espansione, ancora più drammatica, quando si arriva a forme di food addiction. In questi casi il cibo diventa una droga, la più lecita delle droghe possibili, e vi sono persone che hanno un rapporto con il cibo caratterizzato da una ricerca compulsiva, maniacale, inarrestabile. Sono circostanze in cui l’ideazione della persona si concentra talmente tanto sul cibo da renderlo l’unica ragione di vita e per il cibo sono disposte a perdere molte dimensioni di sé e molte relazioni umane e sociali".

Ortoressia

Un disturbo alimentare che ha conosciuto una recente fase di espansione è l'ortoressia e può essere definita come l'ossessione verso il mangiare sano, accompagnata, come sottolineava il professor Paolo Spinella qualche tempo fa su Il Bo Live, da una convinzione fideistica nelle proprie scelte.

"L’ortoressia è la più moderna delle alterazioni nel rapporto con il cibo", conferma Nizzoli. "Per molte persone il cibo è diventato una specie di panacea, quasi uno strumento divino con delle proprietà salvifiche. Questo porta a voler mangiare solo alimenti che si considerano sani, prendendone invece altri come bersaglio e ritenendoli vergognosi e disdicevoli, seguendo però delle filosofie che sono delle autoproduzioni ideologiche e a volte delle fissazioni soggettive. Sono dittature interiori, sostenute purtroppo da molti movimenti. E questa idea del contatto con la natura come se fosse salvifico è alla base della formazione delle idee di tipo ortoressico".

Grazing, ruminazione, night eating disorder e disturbo evitante/restrittivo

La sfera dei disturbi del comportamento alimentare comprende anche manifestazioni meno note. Tra queste il grazing che è "caratterizzato da uno spizzicare piccole quantità di cibo quasi costantemente. E’ un’altra declinazione di food addiction - spiega il professor Nizzoli - ma sbriciolata durante l’intero arco del giorno e a volte anche della notte, con brevi interruzioni durante il sonno". Oppure "il disturbo da ruminazione con il cibo che viene rigurgitato e rimasticato, in un passaggio tra la gola e l’epigastrio". Ma ci sono anche forme in cui l’assunzione di cibo smodata avviene durante la notte. "E’ il caso del night eating disorder dove vengono messi in discussione i cicli circadiani e che si manifesta con dei risvegli notturni, che possono essere di crisi ansiosa incipiente, sedati attraverso l’assunzione di cibo", continua l'esperto. 

Una categoria, diffusa in particolare tra i bambini, è quella a cui ci si riferisce con il termine Arfid (Avoidant restrictive food intake disorder), ed è il disturbo evitante/restrittivo "caratterizzato dalla convinzione di poter mangiare solo alcuni tipi di cibi. Diventano delle piccole dittature domestiche che però ovviamente non sorgono in modo indipendente dalle dinamiche familiari. Lo stesso vale per l’obesità infantile dove il rapporto con il cibo non riguarda mai solo il bambino ed è chiaro che ci sono spesso problemi a livello di stile gastronomico e scelte alimentari, anche laddove i genitori non hanno problemi di peso. Non è raro, ad esempio, vedere situazioni in cui c’è una grande preoccupazione per il bambino obeso ma il resto della famiglia continua a mangiare come se il bambino non lo fosse, immaginando che debba essere lui a trattenersi e autolimitarsi. In questo modo viene invece messo di fronte a una serie di stimoli che lo espongono al rimanifestarsi della sua sofferenza", osserva il presidente della Sisdca.

Molte volte queste forme patologiche si muovono tra il devastare la qualità della vita della persona e nello stesso tempo essere strumenti che consentono alle persone di non vivere quelle circostanze così drammatiche che temono potrebbero vivere.

Il percorso terapeutico

Dai disturbi del comportamento alimentare si può guarire e le probabilità di remissione completa dei sintomi aumentano tanto più si interviene tempestivamente. In Italia le strutture per la cura dei Dca, pubbliche o private convenzionate, sono poco meno di 150 ma sono dislocate in modo molto irregolare sul territorio nazionale, con un'ampia disomogeneità tra i servizi che è possibile ricevere nelle diverse regioni. La pandemia anche in questo caso ha aggravato la situazione rendendo più complesso l'accesso alle rete di assistenza e agli ospedali. E, come per altri tipi di supporti psichiatrici e psicoterapici, anche nel caso dei disturbi alimentari molti percorsi di cura ambulatoriali hanno dovuto spostarsi su piattaforme virtuali. 

Ma come dovrebbe essere strutturato un piano di assistenza e di cura? Secondo il professor Nizzoli il punto centrale è "intercettare il più alto numero di casi, senza lasciarli navigare nel sottosuolo delle paure e delle fobie" e per fare questo occorre "avere un’idea epidemiologica più corretta della diffusione del fenomeno, includendo gli insegnanti, i pediatri, i medici di medicina generale, ma anche singoli specialisti come dentisti, ginecologi e cardiologi: questo consentirebbe loro di porre delle semplici domande ai pazienti per avere una prima idea e iniziare a capire se c’è un problema". 

"La seconda operazione da fare è entrare a contatto con questo tipo di popolazione facendo un’opera di sensibilizzazione e formazione. Il terzo elemento chiave è riuscire ad avere un’intercettazione precoce perché tutte le ricerche hanno dimostrato che se la presa in carico del paziente avviene non più tardi di tre o quattro mesi dall’insorgenza dei sintomi il tasso di successo è estremamente più alto. Il quarto aspetto è far capire alle persone e alle famiglie che in caso di necessità bisogna chiedere aiuto. Qui subentra però uno scoglio: nel nostro paese figure professionali e servizi specializzati non sono disponibili in modo omogeneo a livello territoriale. Una volta completati questi percorsi si arriva al momento della valutazione della persona. Il paziente deve conquistare l’idea di avere una patologia, senza provare vergogna o rifiuto. La consapevolezza della malattia è importante, così come accettare di aver chiesto aiuto. Per questo motivo è importante il colloquio motivazionale ed è anche il momento di inizio di una relazione che consente di valutare il percorso più appropriato. Esistono cure molto diverse - domiciliari, ambulatoriali, ospedaliere, in centro diurno o in residenza comunitaria - e vanno indirizzate sulla base della severità e dell’organizzazione dei sintomi. Dopo aver restituito alla persona una valutazione si propone un piano assistenziale e qui ci si accorge che ci sono diversi modelli clinici che hanno un soddisfacente livello di efficacia", continua il presidente della Sisdca.

Se si riuscisse a far sì che di questo problema se ne potesse parlare in maniera aperta, semplice, senza vergogna e come una delle condizioni difficili della modernità, questo abbasserebbe le forme di discredito, aggressione, derisione e bullismo

Entrando nel dettaglio delle opportunità terapeutiche "è possibile trattare le persone con modelli di tipo cognitivo-comportamentale: in Italia abbiamo un importante autore che ha diffuso la CBT-E, un modello specifico funzionale per i disturbi dell’alimentazione. Ma vengono utilizzate anche terapie interpersonali, terapie dinamiche o di tipo sistemico, come la terapia della famiglia al cui interno esiste uno specifico modello per i disturbi del comportamento alimentare. Ci sono poi altri modelli di cura, come la Dialectical Behaviour Therapy (DBT), che sono molto indicati soprattutto per i pazienti che hanno patologie concomitanti, dove il disturbo alimentare si associa al disturbo di personalità. Nel fare le diverse scelte bisogna considerare l’ambiente di vita della persona e quindi è importante coinvolgere sempre i familiari e i partner, non solo quando si fanno terapie family based. E questo accade in due momenti, il primo è di tipo formativo mentre il secondo consiste in un vero e proprio ingaggio nel trattamento che comprende momenti di incontro e discussione con il professionista", approfondisce Nizzoli. 

Il percorso, precisa lo psicologo clinico e psicoterapeuta, deve sempre essere accompagnato da una valutazione nutrizionale e dalla possibilità di misurare le possibilità di accesso al cibo. "Da questo punto di vista ci possono essere esperienze di gruppo molto intense, dove si consumano i pasti insieme, in una condizione che consente di sperimentare il modo di cucinare e assumere il cibo non solo in relazione con il proprio terapeuta ma anche con altri pazienti. Le modalità di intervento sono quindi diverse ma è chiaro che in situazioni critiche, quando emergono patologie dismetaboliche gravi che mettono in discussione la sopravvivenza della persona, diventa necessario il ricovero ospedaliero. E qui purtroppo quando in condizioni emergenziali ci si rivolge a un pronto soccorso, magari per uno scompenso dislipidico acuto, si scopre che non sempre all’interno degli ospedali ci sono competenze professionali specifiche e procedure messe a punto per questo tipo di pazienti.

Laddove ci sono genitori organizzati che fanno pressione anche le istituzioni si muovono. Dove manca l’azione delle famiglie se c’è qualche gruppo operativo molto motivato accade, altrimenti no. C’è un grande problema di governance. Ma dobbiamo anche ringraziare molto le associazioni dei familiari perché quando sono presenti sono un partner politico-sanitario importante".

Gli stereotipi da evitare 

I disturbi del comportamento alimentare sono ancora soggetti a visioni distorte da stereotipi. Nonostante siano stati compiuti dei passi in avanti non si è infatti ancora del tutto affermata la consapevolezza che non si tratta di una scelta individuale ma di una patologia. E permangono degli stigmi sociali, diffusi peraltro all'intera sfera delle malattie psichiatriche e delle alterazioni nel rapporto con le proprie emozioni

Anche per questo motivo la Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare ha pubblicato sul proprio sito le "nove verità" sui disturbi alimentari: un documento che vuole contribuire a sradicare idee errate e pregiudizi che ostacolano la comprensione del fenomeno e la possibilità di apertura e dialogo da parte delle persone che ne sono colpite. 

"Intanto una malattia è una malattia. Come tale non si può essere ritenuti responsabili e bisogna evitare ogni tipo di stigmatizzazione. E’ inoltre errato accusare le famiglie: probabilmente le dinamiche familiari partecipano alla costruzione della malattia ma attribuire una responsabilità causale ai genitori è sbagliato. Oggi poi sappiamo che, come per tutte le patologie, esistono anche dei sottostanti genetici: sono predisposizioni, delle vulnerabilità che prescindono dalle possibilità di opzione soggettiva", spiega al riguardo il professor Nizzoli.

E poi tenere sempre ben presente che la remissione completa di un disturbo alimentare è possibile ma la diagnosi precoce e la qualità dell'intervento sono molto importanti. "Dobbiamo facilitare un percorso di empowerment da parte dei pazienti e delle famiglie, consegnando loro convinzioni e potere", aggiunge Nizzoli precisando che "al cittadino che si rivolge a una struttura deve essere garantito almeno un servizio confacente ai requisiti minimi. E’ una grande opera di democrazia culturale".

E le pressioni sociali che ruolo hanno?

Abbiamo tenuto questa domanda per ultima ma una riflessione sull'influenza delle pressioni sociali nello sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare è inevitabile, oltre che doverosa. Incolpiamo spesso il mondo della moda perché porta sulle passerelle indossatrici dai corpi ossuti ma al tempo stesso siamo pronti a deridere una conduttrice non appena prende qualche chilo. E poi il fenomeno del body shaming con parole di insulto e derisione che viaggiano attraverso i social network, prendendo di mira una persona, generalmente una donna, per qualche caratteristica del suo aspetto fisico.

"Non ci sarà mai nessuna circostanza in cui si potrà dire in maniera seria che una persona ha sviluppato un disturbo alimentare severo a causa delle modelle e dei media che ti espongono a questo tipo di immagine. Tuttavia - precisa il professor Nizzoli - anche se non c’è una causalità così cogente è un fattore favorente, un humus valoriale e culturale che facilita un sviluppo successivo dei disturbi alimentari. E’ come se aprissero le finestre a un’iperstimolazione per farti osservare il tuo corpo e diventare più ossessivo nel controllo della tua immagine. E’ ovvio che se questa ipersollecitazione impatta con una condizione di vulnerabilità soggettiva o con un’esperienza traumatica personale può tradursi in un disturbo dell’alimentazione", conclude il presidente della Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare.

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