La recente valanga di insulti e prese in giro nei confronti di Armine Harutyunyan, la modella armena finita al centro del mirino dei sempre affamati odiatori da tastiera, ci porta ancora una volta a confrontarci con dei limiti culturali ancora fortemente radicati nella nostra società.
Le reazioni di Harutyunyan nelle interviste sono state senza dubbio esemplari, ma parlare di inclusione non fa mai male. Ed ecco perché, anche in questo caso, occorre riflettere su tutto quello che c'è dietro agli insulti e alle prese in giro che hanno come oggetto l'aspetto fisico di una persona. In altre parole: il famigerato body shaming.
Ne abbiamo discusso con la professoressa Laura Nota, docente del dipartimento di filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata dell’università di Padova e delegata del Rettore in materia di inclusione e disabilità.
“Il body shaming viene definito come l'atto di deridere una persona per una o più caratteristiche del suo aspetto fisico. Questo spesso avviene in particolare tramite il web e i social network”, spiega la professoressa Nota.
“Sono diversi gli aspetti che possono essere presi di mira: la magrezza, l'altezza, la bassezza, la peluria, la muscolatura, il colore dei capelli... Lo scopo però è sempre quello di indurre la persona a vergognarsi di qualche particolare del suo corpo.
Si tratta quindi di un problema di mancata inclusione per diversi motivi: agendo in questo modo, infatti, si manca di rispetto alla persona che viene derisa e si ignora il suo diritto ad essere trattato o trattata come essere umano.
Tramite il body shaming sono evidenziati aspetti di una persona che vengono etichettati come negativi, e messi al centro dell'attenzione a discapito di tutto il resto, facendo sparire la persona con tutte le sue altre doti. Viene dato valore a un sistema di comparazione e di confronto con una norma, processo che anche alla base dei sistemi di competizione.
Anche nel caso del body shaming il confronto viene imposto senza una condivisione della norma, ma in modo prepotente e aggressivo. Qualcuno si arroga infatti il diritto di decidere quale sia la norma e stabilire un punto di riferimento, che diventa l'unico preso in considerazione, mentre in realtà nel mondo ce ne sono tanti altri.
Questo modo di procedere porta a una visione riduzionistica dell'essere umano, eliminandone le complessità e inducendo la persona in questione a vergognarsi e a guardare, a sua volta, solo quell'elemento di sé che viene preso in considerazione, spesso non accorgendosi dell'errore che c'è alla base della critica, che è sviluppata in modo sbagliato e basata su un unico sistema di riferimento. Tutto questo è tipico della vergogna. Tutto questo è l'opposto di inclusione”.
Perché gli episodi di body shaming sembrano avvenire, nella maggior parte dei casi, nei confronti delle donne, per le quali i commenti sull'aspetto fisico vengono spesso accompagnati da insulti sessisti?
“Il body shaming è un fenomeno che può colpire tutti, ma non possiamo negare che avvenga più frequentemente nei confronti delle donne”, conferma la professoressa Nota. “C'è sicuramente una visione patriarcale e basata su canoni di sessismo che è ancora radicata nella società occidentale. Per ragioni storiche, infatti, siamo ancora legati a una visione dove il maschio bianco benestante si trova in una posizione dominante. I pregiudizi e gli stereotipi che si sono evoluti nel corso del tempo hanno perciò radici lontane, ma di fatto sono ancora presenti e vivi, e anche nei processi educativi di socializzazione si continuano a perpetuare forme di oppressione.
Questo meccanismo basato sulla svalutazione e sul confronto con una norma presa come unico punto di riferimento si ripropone anche in altri casi, come ad esempio nei confronti di persone che hanno disabilità o che hanno storie di immigrazione.
Bisogna diventare capaci di mettere in luce questo meccanismo di denigrazione che punta a mettere ai margini. Imparare a riconoscerlo può favorire anche delle forme di alleanze tra gruppi che difficilmente si uniscono per agire insieme”.
Al contrario, unirsi al coro di insulti senza riflettere su ciò che si sta dicendo, o anche semplicemente ridere davanti a un meme o a un post cattivo sui social, non fa altro che rafforzare lo stereotipo. Sono comportamenti dei quali magari non ci rendiamo conto, che consideriamo quasi innocui, ma che non sono di certo di aiuto nella costruzione di una società davvero inclusiva.
“Sicuramente a volte tutto questo avviene a causa di preconcetti di fondo dei quali non si è del tutto a conoscenza”, commenta la professoressa Nota. “La figura maschile a volte fatica a capire che determinati atteggiamenti possono trasformarsi in un'azione svalutativa nei confronti del genere femminile. In altri casi, però, tali comportamenti sono invece delle scelte consapevoli e vengono messi in pratica a ragion veduta proprio per mantenere la situazione così com'è.
Per questo sono necessarie delle forme di sensibilizzazione e di educazione che puntino ad aumentare la consapevolezza di questi meccanismi di fondo e stimolare la capacità di riflettere su quello che accade intorno a noi”.
“Stanno prendendo corpo alcuni filoni di ricerca che si occupano dello sviluppo della coscienza critica”, continua la professoressa Nota. “Uno degli asset di intervento educativo, sia in ambito di inclusione, sia di progettazione del futuro lavorativo e formativo, è proprio quello di favorire forme di consapevolezza. Ci sono strumenti e percorsi in fase di sperimentazione i cui primi risultati sono piuttosto interessanti.
Questi studi possono aiutarci a capire come fare a crescere in una cultura più inclusiva e attenta, e come pensare a modalità che permettano alle persone di riscoprire la complessità della natura umana ma anche una realtà che può essere guardata, giudicata, analizzata da punti di vista diversi e in cui anche i canoni di bellezza sono molteplici.
È necessario infine far arrivare il messaggio a tutte le componenti della società, anche a quelle produttive. Dietro a situazioni come quelle di body shaming ci sono spesso dei guadagni enormi da parte dell'industria della bellezza. Per costruire una cultura inclusiva, occorre comprendere anche questo genere di meccanismi in modo da poter ragionare su quali sono le forze che stanno mantenendo lo status quo o se ci sono forze vitali nuove, anche a livello produttivo, che vogliono realmente cambiare la situazione. Raggiungere un'idea di bellezza davvero inclusiva e coronata da sostenibilità sociale significa costruire un modo diverso di guardare la bellezza in cui anche l'industria della bellezza dovrebbe fare la sua parte, inserendosi quindi in una cornice culturale ed educativa costruita prima di tutto attraverso le forze indipendenti della scuola e dell'università”.
Ma è realmente possibile costruire una realtà davvero inclusiva?
“Dobbiamo sempre tenere di fronte a noi, come obiettivo, un'utopia inclusiva e sostenibile. Arrivarci, probabilmente è un viaggio che non avrà fine. Questo però non deve bloccare i nostri sforzi, ma stimolarci a ideare e attuare nuove traiettorie e vie diversificate per coinvolgere, nella costruzione di una cultura inclusiva, il più ampio numero possibile di persone”, conclude la professoressa Nota.