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In Salute. L’elisir di lunga vita? Non esiste, ma le buone pratiche sì

Nel 2023 la speranza di vita in Italia risulta in aumento rispetto all’anno precedente ed è pari a 83,1 anni, recuperando in questo modo quasi del tutto i livelli del 2019. Permangono le differenze tra popolazione maschile e femminile: se nel primo caso la vita media attesa è di 81,1 anni, nel secondo è di 85,2. Nonostante le donne siano più longeve, sono gli uomini a trascorrere un numero maggiore di anni in buona salute: nel 2023 la speranza di vita in assenza di malattia alla nascita è pari a 60,5 anni per i primi e 57,9 per le seconde. Vivendo più a lungo, le donne trascorrono un tempo maggiore in condizioni fisiche non del tutto buone (circa 27 anni contro i 20 degli uomini). L’invecchiamento della popolazione dunque continua. Al primo gennaio 2024 le persone con 65 anni e oltre nel nostro Paese  sono 14 milioni 358 mila (il 24,3%, in aumento di 5,1 punti percentuali rispetto al 2004) e di questi oltre la metà oggi ha 75 anni e più. I dati che emergono da due recenti documenti Istat, rispettivamente il rapporto su Benessere equo e sostenibile in Italia e il Rapporto annuale 2024, offrono lo spunto per qualche riflessione. 

Innanzitutto, quali sono i fattori che incidono sul processo di invecchiamento? E poi, a cosa si deve la differenza tra uomini e donne in termini di longevità? E infine, quali sono più in generale le buone pratiche da seguire?Abbiamo rivolto queste domande ad Aurelia Santoro, professoressa di patologia generale e immunologia all’università di Bologna, che da tempo si occupa di biologia molecolare dell'invecchiamento e nelle malattie legate all'età.

Intervista ad Aurelia Santoro, università di Bologna. Servizio e montaggio di Monica Panetto

Non tutti invecchiamo allo stesso modo

“Non tutte le persone invecchiano allo stesso modo – esordisce Santoro –. L'invecchiamento è un processo dinamico ma anche molto eterogeneo, soprattutto con l'avanzare dell'età. E soprattutto non riguarda soltanto le persone da una certa età in poi, ma interessa tutto l'arco della vita a partire da quella in utero: si accumulano dunque una serie di esperienze positive o negative che complessivamente portano a fenotipi diversi. Contrariamente a quando si è bambini, man mano che si va avanti con l’età le differenze diventano maggiori e quindi le traiettorie dell'invecchiamento si diversificano. Per questo persone di 60, 80, anche 100 anni ed oltre sono molto eterogenee per una serie di fattori che possono essere esterni o interni al nostro organismo”. 

Tra i fattori esogeni, conta innanzitutto l’ambiente in cui si vive: incide in modo diverso sull’organismo abitare in una città particolarmente inquinata, o invece al mare, in montagna o ancora in campagna. Influisce vivere in un’area del mondo dove si può andare incontro con più facilità a infezioni, perché magari mancano opportuni sistemi di prevenzione. E conta anche lo stress fisico o psicologico a cui si è sottoposti e la professione che si svolge, più o meno faticosa. E conta lo stile di vita. Ci sono poi fattori endogeni come il patrimonio genetico di ogni persona e le sue varianti, da cui può dipendere una maggiore o minore predisposizione ad ammalarsi fin da giovani per esempio. La docente sottolinea che la genetica influisce sul processo di invecchiamento per circa un 25%, mentre l’ambiente ha un impatto maggiore.

Quello stato di infiammazione cronica che avanza con l’età  

Un altro elemento chiave associato all’invecchiamento è l’inflammaging, concetto introdotto negli anni Duemila dall’immunologo Claudio Franceschi, che combina i termini inflammation (infiammazione) e aging (invecchiamento). “L’inflammaging – spiega Santoro – è uno stato di infiammazione cronica di basso grado, sterile, non dovuto cioè alle conseguenze di un'infezione o di altro danno, che progredisce con l'avanzare dell'età ed è alla base delle patologie età-correlate”. Se questo livello di infiammazione cronica è elevato o perdura per troppo tempo, può essere un fattore di rischio per patologie cardiovascolari, cancro, diabete, artrite, malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Non si deve pensare però che abbia solo effetti negativi: “Se lo stato infiammatorio viene tenuto sotto una certa soglia da uno stile di vita corretto, un buon livello di sonno, un’adeguata attività fisica, un'alimentazione corretta, è in grado di irrobustire il nostro organismo, perché scatena una risposta adattativa dei meccanismi antinfiammatori del nostro corpo”.

Ci sono numerosi fattori che possono contribuire all’inflammaging: lo stress ossidativo per esempio – cioè quello squilibrio tra la produzione di radicali liberi e la capacità del corpo di neutralizzarli con gli antiossidanti – può provocare danni cellulari che inducono una risposta infiammatoria continua; cambiamenti nella composizione del microbiota intestinale con l'età possono produrre lo stesso effetto, al contrario un microbiota intestinale sano è importante per prevenire l'infiammazione; ancora, una dieta ricca di zuccheri, grassi saturi e alimenti trasformati, come pure la mancanza di attività fisica sono associati a un aumento di inflammaging; e anche il patrimonio genetico può avere un peso.

Differenze tra uomini e donne

Discorso a parte merita il divario tra popolazione maschile e femminile: “L'aspettativa di vita alla nascita al 2023 è diversa per gli uomini e le donne e la differenza è quasi di cinque anni: 85,2 per le donne, 81,1 per gli uomini. I centenari in Italia al 2023 sono circa 20.000 di cui quasi 17.000 sono donne e solo 3.000 sono uomini. Quindi sicuramente ci sono differenze importanti tra i sessi in termini di invecchiamento, aspettativa di vita e salute”. Ribadisce Santoro: “Sebbene le donne vivano più a lungo, trascorrono anni non in ottime condizioni fisiche. Mentre gli uomini che raggiungono i 100 anni di età sostanzialmente hanno una salute buona durante tutto l'arco della vita, le donne fanno più esperienza di malattia”. 

Le donne tendono ad avere un sistema immunitario più attivo rispetto agli uomini, e quindi anche la risposta infiammatoria è diversa: se da un lato dunque possono risultare meno suscettibili a certi tipi di infezione, dall’altro possono avere un rischio maggiore di contrarre patologie autoimmuni. Nella regolazione del sistema immunitario gli estrogeni, i principali ormoni femminili, hanno un ruolo importante e sono capaci di indurre una risposta contro i virus più efficace rispetto a quanto avviene negli uomini. “Andando avanti con l'età le differenze tra popolazione maschile e femminile aumentano. Il periodo della menopausa per la donna rappresenta un cambiamento molto importante a livello ormonale”. E il calo degli estrogeni le espone in misura maggiore a patologie di vario tipo. 

Tuttavia anche se tendono a invecchiare peggio, le donne come si è detto sono in media più longeve e sulle ragioni di questo “paradosso” – non ancora del tutto chiarite – sono state fatte alcune ipotesi. “Si suppone che i cambiamenti associati al periodo della menopausa possano avere anche un effetto tale da irrobustire l’organismo. Le cellule T delle donne over 65 producono più interleuchina 10 rispetto alle donne più giovani e agli uomini, in grado di neutralizzare gli effetti negativi dell'infiammazione con l’età”. 

Le patologie correlate all’età, inoltre, sono diverse nella popolazione maschile e femminile: gli uomini  tendono a morire prima delle donne soprattutto a causa di patologie cardiache, tumori e incidenti stradali. Nelle donne invece sono malattie come disturbi depressivi, lombalgie, cefalee, ansia, disturbi muscoloscheletrici, malattia di Alzheimer a incidere sulla perdita di salute. Si tratta evidentemente di condizioni che tendono a diventare croniche e debilitanti ma non mortali.  

A ciò si aggiunga che le donne sono culturalmente più attente al proprio stile di vita e allo stato di salute, sono più inclini a visitare il medico e a seguirne i consigli, e questo può portare a diagnosi precoci e trattamenti efficaci.

Non esiste l’elisir di lunga vita, ma buone pratiche sì

Poste queste premesse, Aurelia Santoro raccomanda alcune buone pratiche: “Il consiglio che do è quello di seguire uno stile di vita il più sano possibile, scegliendo innanzitutto un'alimentazione corretta, preferibilmente basata sulla dieta mediterranea, dunque ricca di nutrienti. È utile fare un'attività fisica moderata, perché anche gli eccessi possono innescare una risposta pro-infiammatoria; al contrario un'attività motoria adeguata a tutte le età induce quei meccanismi antinfiammatori che possono irrobustire il corpo. Anche la qualità e la quantità del sonno sono importanti: bisognerebbe dormire almeno sei, otto ore a notte e più o meno negli stessi orari, mantenendo dunque sempre le stesse abitudini”. Se questi sono i tre pilastri, la docente sottolinea che è buona pratica anche non avere eccessi e non esporsi a fattori di rischio noti come il fumo e l’alcol.  

Un peso altrettanto significativo hanno le relazioni interpersonali e la vita sociale. “Dal punto di vista culturale per esempio, la dieta mediterranea presuppone la consuetudine di mangiare insieme, quindi di fare un pasto sano a tavola in compagnia, e questo stimola l’attenzione dal punto di vista cognitivo. Quando invece si mangia da soli si tende a scegliere cibo meno ricco di nutrienti e dunque ad alimentarsi peggio”. Ancora, uscire con altre persone e passeggiare insieme, fare giochi di società aiuta a mantenersi attivi. Al contrario isolarsi o limitarsi a guardare la televisione aumenta il rischio di deterioramento cognitivo e fisico. Va detto infine (ma il tema sarebbe ampio) che anche il grado di istruzione è associato a uno stile di vita migliore che si ripercuote sullo stato di salute. 

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