SCIENZA E RICERCA

Perché alcune lingue non si pronunciano seguendo la grafia

Magari sei tra quelle persone che hanno seguito il consiglio di imparare l’inglese partendo dalle canzoni. A livello mnemonico, in effetti, può aiutare, ma capiterà di sicuro di confrontarsi con versi impronunciabili, con la vaga sensazione che, oltre alle efelidi delicate, l’isola regali anche la tendenza a mangiarsi le parole. Le cose non stanno proprio così, e c’è di più: se la stessa persona volesse usare lo stesso metodo per imparare il finlandese, in breve tempo scoprirebbe che si riesce a cantare agevolmente le canzoni in quella lingua anche senza aver aperto il libro di grammatica. Il finlandese, infatti, è una lingua trasparente, mentre l’inglese è una lingua opaca.

Ma cosa significa questo? In soldoni, il finlandese si legge come si scrive. “Sul piano tecnico – spiega invece Matteo Santipolo, docente di didattica delle lingue moderne all'Università di Padova – una lingua trasparente è quella in cui c'è una stretta, anche se quasi mai assoluta, corrispondenza tra grafemi e fonemi: si è cercato di avvicinare il più possibile l’alfabeto ai suoni”. Un grafema è un segno grafico (che può essere una lettera ma anche un insieme di lettere, come il ch in italiano per pronunciare la C dura), mentre il fonema è il singolo suono associato al grafema o, in altre parole, un singolo suono distintivo che, se cambiato, può alterare il significato di una parola: chi conosce bene l’inglese avrà già capito la questione.

Santipolo rileva che non ci sono lingue perfettamente trasparenti o completamente opache, ma ogni lingua può situarsi su una scala in una posizione più vicina o più lontana dai due estremi. L’italiano, per esempio, è una lingua tendenzialmente trasparente, ma non quanto il finlandese. Le regole di pronuncia sono piuttosto semplici: per esempio, la lettera "a" si pronuncia sempre /a/, la "e" si pronuncia /e/ o /ɛ/ (chiusa o aperta) a seconda del contesto, ma queste variazioni sono regolari e piuttosto prevedibili, come sa chi ha frequentato corsi di dizione. Questo rende la lettura e la scrittura dell'italiano un processo relativamente lineare.

Quando la corrispondenza tra grafemi e fonemi invece è bassa, e quindi siamo di fronte a una lingua opaca, la pronuncia di una parola non può essere facilmente dedotta dalla sua scrittura, e viceversa. E il problema non è solo per quelli che studiano quella lingua, ma anche per i parlanti nativi stessi, a cui capita spesso di fare errori quando si trovano di fronte a una parola che non conoscono. Santipolo spiega che il metodo per apprendere una lingua opaca è del tutto differente da quello che si usa nel caso di lingue trasparenti: “Le lingue trasparenti si imparano di solito attraverso un’associazione tra grafema e fonema, mentre le lingue opache invece si imparano a leggere soprattutto attraverso la memoria visiva. Quando impari una lingua sillabica, il metodo migliore è quello fono sillabico che si basa sulla decodifica del grafema e della sua associazione con il rispettivo fonema. Con le lingue opache invece bisogna trovare altri metodi, per esempio in inglese il bambino può imparare a leggere associando la parola al suono e spesso vengono utilizzate rime e filastrocche, senza concentrarsi sulla grafia di per sé. Certo è che non è ancora stata trovata una soluzione unica ed universale per cui la difficoltà data dalla struttura delle lingue opache si risolvano: ci si avvicina a tentativi e tutto questo naturalmente comporta un allungamento dei tempi e la maggiore possibilità di commettere errori”.

Un procedimento più complicato che spiega anche perché il numero di persone che soffre di dislessia o disgrafia è maggiore nel caso delle lingue opache. “Facciamo solo un esempio – prosegue Santipolo – in italiano abbiamo una trentina di fonemi che trovano riscontro in 21 grafemi (le lettere dell’alfabeto), che si combinano per dare conto dei fonemi privi di corrispondenza grafica: ed ecco gn, gl, ch e tutti gli altri. In sostanza ci sono solo 30 cose da imparare mentre, semplificando, nel caso dell’inglese bisogna imparare quasi ogni singola parola, perché su circa 700.000 parole in inglese i riscontri che dobbiamo trovare sono nell’ordine delle decine di migliaia”.

Ed ecco spiegata la presenza di gare di spelling nelle serie tv americane: se il nostro pensiero fosse stato “ma davvero danno premi per ‘sta roba?”, ora sappiamo che una ragione c’è, anche se è difficile da comprendere per chi parla lingue in cui la prevedibilità delle regole ortografiche riduce la necessità di memorizzazione e consente un apprendimento più intuitivo. Al contrario, le lingue opache come l'inglese richiedono un maggiore sforzo di memorizzazione e pratica, e di gare di spelling, perché la pronuncia delle parole non può essere facilmente dedotta dalla loro grafia e gli studenti devono affrontare numerose eccezioni e irregolarità, il che può rallentare il processo di acquisizione delle competenze linguistiche: “Alla fine della prima elementare – dice Santipolo – un bambino italiano è in grado di leggere abbastanza correttamente, mentre a un bambino anglofono servono altri tre o quattro anni per padroneggiare la stessa competenza”.

Ma se imparare una lingua trasparente è più veloce e meno impegnativo di impararne una opaca, per madrelingua e non, perché queste ultime si sono sviluppate? Se la lingua funzionasse con lo stesso principio della selezione naturale, sarebbe davvero incomprensibile, ma così non è.
Il punto è che una lingua non nasce opaca, ma lo diventa durante il suo sviluppo. Considerando quelle che usano l’alfabeto latino e semplificando molto, si può dire che le lingue romanze sono rimaste tendenzialmente fedeli alla corrispondenza grafema e fonema (francese e portoghese meno di tutte le altre, se dovessimo stilare una classifica), e questo è successo anche a lingue non romanze come, appunto, il finlandese. In altri casi le cose sono andate in modo molto diverso, a causa di vari fattori, come per esempio influenze straniere e modifiche interne della pronuncia che poi entrano nell’uso.

“Quando l’alfabeto latino non è più sufficiente a rappresentare la pronuncia – spiega Santipolo – ogni lingua escogita dei sistemi per supplire alla mancanza: ne sono un esempio i diacritici, come l’umlaut del tedesco, i due puntini sopra le vocali a, o, u. A mano a mano che il latino si evolve o comunque nascono altre lingue che decidono di adottare sempre l’alfabeto latino, è chiaro che si trovano a dovere utilizzare un sistema che è come un'arma spuntata che va perfezionata”. A volte le modifiche richieste sono poche (ed è il caso delle lingue tendenzialmente trasparenti), in altri casi non è così.

Prendendo l’esempio dell’inglese, che è il caso più studiato, tra il 1400 e il 1700 subì una trasformazione radicale nella pronuncia delle sue vocali lunghe, un fenomeno noto come Great vowel shift (grande spostamento delle vocali). Prima di questo evento, ci spiega Santipolo, le vocali inglesi erano pronunciate in modo simile a come erano scritte, ma a partire dal XV secolo, le vocali lunghe e toniche iniziarono a subire cambiamenti significativi, alterando profondamente la fonetica dell'inglese.
Le cause precise del Great vowel shift rimangono misteriose. Alcuni linguisti ipotizzano che potrebbero essere legate a movimenti sociali, migrazioni interne o influenze di altre lingue. Indipendentemente dalle cause, il risultato fu una trasformazione profonda della pronuncia inglese: per esempio, la parola "time" (che in antico inglese si pronunciava più o meno "tiime") cambiò la sua pronuncia ma non la sua grafia. Quando questo succede a molte parole, la lingua diventa opaca.

Un altro fattore cruciale che contribuì alla divergenza tra grafia e pronuncia in inglese fu l'introduzione della stampa. Nel 1476, William Caxton aprì la prima stamperia a Londra, portando la tecnologia di stampa di Gutenberg in Inghilterra. Questo evento segnò l'inizio della standardizzazione della grafia inglese, che venne fissata sulla lingua della Cancelleria: prima di allora, le parole potevano essere scritte in modi diversi a seconda della regione o del dialetto locale, ma la stampa rese necessaria una certa uniformità nella grafia. Nel frattempo, però, la pronuncia continuava a evolversi.

Il risultato fu un irrigidimento della grafia proprio mentre la pronuncia stava cambiando più rapidamente. Questo spiega perché molte parole inglesi sono scritte in modo apparentemente illogico rispetto a come vengono pronunciate. Ad esempio, la sequenza <ough> può essere pronunciata in almeno quattro modi diversi: "though" (pronunciato /ðoʊ/), "through" (pronunciato /θruː/), "tough" (pronunciato /tʌf/) e "bough" (pronunciato /baʊ/).
Ci sono molti esempi interessanti e quasi paradossali, come ci fa notare Santipolo, ma ne ricordiamo uno in particolare: prendiamo il caso della parola "colonel" (colonnello). Nonostante la grafia suggerisca una pronuncia simile a "colonel" (/kɒlənəl/), la pronuncia effettiva è "kernel" (/ˈkɜːrnəl/). Questo perché l'inglese ha adottato la grafia italiana e spagnola della parola ma la pronuncia francese, dove "colonnello" era nel frattempo diventato "coronel".

Se vi state chiedendo cosa sono quei caratteri particolari tra parentesi, appartengono all’Alfabeto fonetico internazionale (IPA), sviluppato dai linguisti alla fine dell'Ottocento e revisionato continuamente per affrontare le discrepanze tra grafia e pronuncia. L'IPA offre un sistema di trascrizione fonetica che permette di rappresentare i suoni di qualsiasi lingua con precisione, ed è particolarmente utile per chi studia linguistica, fonetica e lingue straniere, perché fornisce una rappresentazione chiara e univoca dei suoni. Non è altrettanto intuitivo, però, per gli studenti più giovani, e per alcune lingue opache sono state proposte delle riforme ortografiche per renderle più coerenti con la pronuncia facilitando il loro apprendimento, anche ai nativi. Quasi sempre però la resistenza al cambiamento è stata forte, principalmente perché la grafia si radica profondamente nella cultura e nella letteratura dei paesi. Una delle proposte più celebri è stata quella del drammaturgo irlandese George Bernard Shaw per l’inglese, che promosse una "spelling reform" per semplificare la scrittura. Nonostante i suoi sforzi, però, la riforma non ha mai preso piede. Più successo, invece, hanno avuto le recenti riforme proposte per il portoghese brasiliano e per il tedesco.
Per spezzare una lancia a favore delle lingue opache, c’è da dire che anche se la divergenza tra grafia e pronuncia costituisce un ostacolo per l’apprendimento, riflette anche la ricchezza storica e culturale della lingua, ricordandoci che ogni fenomeno, per quanto confuso possa sembrare, racconta una parte della storia di come si è sviluppata.

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