SCIENZA E RICERCA

Lo scioglimento del permafrost sta modificando anche i fondali dell'Artico

Quando si ragiona sulle conseguenze provocate dal riscaldamento globale uno dei fenomeni a cui si presta particolare attenzione è lo scioglimento del permafrost, quello strato di terreno perennemente ghiacciato tipico delle aree più fredde del pianeta, come i territori artici del nord Europa, della Russia e dell’America settentrionale.

Nelle regioni artiche le temperature stanno salendo a ritmi molto più elevati rispetto al resto del globo e lo scioglimento del permafrost, portando alla luce materia organica precedentemente “a riposo” sotto il ghiaccio, rilascia grandi quantità di anidride carbonica e metano in atmosfera, contribuendo così ad aggravare quella stessa crisi climatica di cui nello stesso tempo subisce gli effetti. Parallelamente lo scioglimento di questi terreni comprometterà sempre più la stabilità del suolo e quella delle infrastrutture dei territori interessati.

Se gli effetti dello scioglimento del permafrost sulla terraferma sono noti e studiati da tempo, non altrettanto si può dire delle conseguenze che il fenomeno ha sui fondali marini. Di recente però la ricerca scientifica ha cominciato a dedicare attenzione anche a questo aspetto e alcune indagini, effettuate tra il 2010 e il 2019 sul fondale oceanico ai margini del Mare di Beaufort, nel Canada settentrionale, hanno permesso di appurare che sono in atto profonde trasformazioni anche nel permafrost sommerso. Nell’area oggetto della mappatura è stata riscontrata la formazione di depressioni simili a doline, alcune grandi come un edificio di sei piani, e numerose strutture collinari, note con il nome di pingo.

I risultati di questa ricerca, condotta dall'Istituto australiano del Monterey Bay Aquarium (Mbari) e dal Geological Survey of Canada (Gsc), sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Pnas e sono frutto di rilievi di dettaglio condotti con strumenti specializzati, come un sonar posto a bordo di una nave e un veicolo subacqueo autonomo, una sorta di drone sottomarino.

Questi robot autoguidati - hanno spiegato gli autori dello studio in una nota - sono stati determinanti nel consentire la visualizzazione dettagliata del fondale marino e nel documentare i cambiamenti nel tempo e a tal proposito gli stessi ricercatori ricordano anche che “il mare canadese di Beaufort è diventato accessibile solo di recente poiché i cambiamenti climatici determinano il ritiro del ghiaccio marino”.

In meno di un decennio, gli scienziati hanno mappato quattro volte la stessa area e i ripetuti rilievi batimetrici ad alta risoluzione hanno rivelato, tra i 120 e i 150 metri di profondità dell'acqua, rapidi cambiamenti nella morfologia dei fondali. E' stato così possibile osservare che in un breve periodo di tempo si erano sviluppate 40 nuove doline, di forma irregolare e dai lati ripidi, la più grande delle quali era una depressione di forma ovale, profonda 28 metri. Secondo gli autori dello studio queste cavità derivano dalla risalita delle acque in seguito al ritiro dei ghiacci dal basso, mentre la temperatura dell'acqua a  1,4°C ha consentito al permafrost sommerso dall'alto di conservarsi. Dove invece lo scarico delle acque sotterranee è più ridotto i sedimenti tendono a congelare e la loro conseguente espansione crea dei picchi che danno origine alle formazioni collinari.

"Sappiamo che stanno avvenendo grandi cambiamenti nel paesaggio artico, ma questa è la prima volta che siamo stati in grado di implementare la tecnologia per vedere che i cambiamenti stanno avvenendo anche in mare aperto", ha affermato Charlie Paull, geologo del Monterey Bay Aquarium che ha condotto lo studio insieme a Scott Dallimore del Geological Survey of Canada in collaborazione con un team internazionale di ricercatori che coinvolge anche il il Korean Polar Research Institute. 

Abbiamo chiesto un commento sui risultati di questo articolo a Jacopo Boaga, docente del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova che al permafrost dedica una parte rilevante del suo lavoro di ricerca. "Questo studio è interessante perché ci dimostra come la degradazione del permafrost abbia delle conseguenze rilevanti non solo sulle morfologie terrestri, come stiamo ormai tristemente abituati, ma anche nei sottosuoli marini, dove l’osservazione diretta è molto più difficile e può essere fatta solo attraverso questi particolari rilievi di dettaglio". 

Il professor Jacopo Boaga parla dello studio che ha indagato gli effetti dello scioglimento del permafrost sui fondali marini artici. Servizio, riprese e montaggio di Barbara Paknazar

"Questo è uno dei primi studi che cerca di dimostrare quanto lo scioglimento dei terreni permanentemente ghiacciati influisca anche sui fondali marini - introduce Jacopo Boaga - ed è stato possibile grazie a dei rilievi di dettaglio della morfologia del fondo marino che sono stati effettuati per diversi anni di seguito e hanno mostrato dei profondi cambiamenti".

La branca dell'oceanografia che si occupa dello studio morfologico dei fondali marini è detta batimetria e le indagini hanno permesso di rilevare "la presenza di profondi avvallamenti, nuove strutture e rilievi che sono legati proprio allo scioglimento del permafrost: delle depressioni collegate allo scioglimento dei suoli congelati ma anche dei sollevamenti un po’ particolari che si chiamano pingo e sono strutture periglaciali simili a delle colline con un nucleo ghiacciato", approfondisce il docente del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova.

Boaga entra poi nel dettaglio degli strumenti che consentono di realizzare questo tipo di indagini. "Le profondità a cui si riferisce questo studio sono intorno ai 150-160 metri e questo è possibile con strumenti, essenzialmente dei sonar, ormai capaci di arrivare a un elevato livello di dettaglio, a cui si aggiungono anche dei sottomarini pilotati da remoto che riescono ad arrivare nel punto esatto per ricavare ulteriori informazioni, morfomotrie ancora più di dettaglio e anche informazioni relative al primo sottosuolo".

Mentre sul degrado del permafrost artico terrestre il peso delle attività antropogeniche è stato appurato con certezza, i cambiamenti dei fondali marini associati allo scioglimento del permafrost sommerso derivano da cambiamenti climatici molto più antichi e più lenti, come hanno spiegato gli stessi autori della ricerca. E' comunque importante, precisano i ricercatori, comprendere anche i cambiamenti nel permafrost sommerso al largo, ancor più davanti a uno scenario che sta portando l'Artico a riscaldarsi più velocemente di qualsiasi regione della Terra.

"Per quanto riguarda le morfologie terrestri - osserva il professor Boaga - sappiamo bene che lo scioglimento del permafrost ha molte conseguenze anche a livello di rischi per il territorio perché un suolo permanentemente ghiacciato che si scioglie può rilasciare detriti e provocare fenomeni di instabilità di versante che possono interessante, ad esempio, le catene alpine". Per questo motivo, sottolinea il docente, l'università di Padova studia il permafrost nelle aree alpine per comprendere le ripercussioni che il suo scioglimento può avere sulla sicurezza e, più nel dettaglio, il dipartimento di Geoscienze "applica tecniche geofisiche per i monitoraggio di questi fenomeno con l'obiettivo di capire quanto ghiaccio è rimasto nel sottosuolo alpino e come questo degrada nel tempo".

"Lo facciamo in diversi siti - prosegue Boaga - tra Svizzera e Austria, ma anche sulle nostre Dolomiti. E recentemente siamo stati anche in Appennino sul ghiacciaio del Calderone. Facciamo la stessa cosa che è stata realizzata dagli autori di questa ricerca ma i colleghi si sono concentrati sui fondali dell'oceano, dove servono indagini molto più costose e complesse".

Il professor Boaga conclude ricordando alcune delle principali conseguenze dello scioglimento progressivo del permafrost legato ai cambiamenti climatici e all’innalzamento delle temperature. "Il fenomeno può comportare dei rischi per le persone che vivono o transitano nei territori alpini oltre che per tutte quelle persone, non sono molte ma ci sono, che vivono nelle zone artiche dove gli strati di permafrost sono molto estesi e il loro scioglimento sta creando notevoli problemi alle strutture e alle infrastrutture". Imponenti sono anche gli effetti a livello ambientale considerando che, secondo gli esperti, nei terreni ghiacciati che compongono il permafrost ci sono oltre 1.700 miliardi di tonnellate anidride carbonica e metano. "In aree come la Siberia o la Groenlandia ci sono anche terreni ghiacciati di tipo organico che una volta sciolti possono essere loro stessi fonte di CO2 e quindi accelerare il fenomeno dei cambiamenti climatici in atto", sottolinea al riguardo Boaga. 

E il nuovo studio pubblicato recentemente su Pnas ci dice che i profondi cambiamenti legati allo scioglimento del permafrost non interessano solo la parte emersa ma anche quella sommersa del nostro pianeta. Un aspetto che andrà ulteriormente indagato. 

 

 

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