SOCIETÀ

Sorveglianza e repressione digitale: intervista a Steven Feldstein

In Russia Human Right Watch, un’organizzazione che si occupa di diritti umani, ha lanciato l’allarme già nel settembre del 2021: “Le autorità russe continuano a espandere l’uso della tecnologia del riconoscimento facciale in tutto il paese, senza alcuna regolamentazione, supervisione o protezione dei dati”. Con l’inizio della guerra in Ucraina la situazione non è migliorata, anzi Sphere, il sistema di riconoscimento facciale che sfrutta le videocamere della sicurezza soprattutto attorno alle stazioni della metropolitana, è stata utilizzato per identificare gli attivisti che manifestavano contro la guerra.

“Dal mio punto di vista è tutt’altro che sorprendente”, afferma Steven Feldstein, senior fellow al think tank Carnegie Endowment for Peace di Washington D.C., dove si occupa soprattutto del rapporto tra strumenti digitali e repressione del dissenso. Il suo ultimo libro, non tradotto in italiano, ha un titolo eloquente: The Rise of Digital Repression (L'ascesa della repressione digitale) e si basa sui suoi studi degli ultimi anni. “C’è un rapporto diretto, ampiamente documentato in letteratura scientifica, tra l’uso di sistemi basati sull’intelligenza artificiale e la repressione del dissenso interno”. La Russia, secondo Feldstein, è proprio uno dei prototipi di stato autocratico in cui le tecnologie digitali sono l’ultimo anello di una catena di tecniche di sorveglianza. “Esiste una continuità con le tecniche ereditate dal regime sovietico, che sono state aggiornate al digitale”.

Un indice per confrontare la repressione nei paesi

Si è però trattato di un processo che ha accelerato negli ultimi anni, trasformando lo scenario mondiale della repressione con i mezzi digitali. Nel suo libro, Feldstein ha elaborato due indici che mostrano lo stato dell’arte globale su questo fronte. Il primo si chiama Digital Repression Index ed è una misura che permette di confrontare il livello di repressione digitale esercitato dai diversi governi. L’indice è composto da 8 voci che sono state analizzate nel decennio 2010-19): governo che sorveglia i social media, filtro governativo su Internet, censura governativa sui social media, diffusione da parte del governo di false informazioni, diffusione di false informazioni da parte di partiti, chiusura totale o parziale di Internet per scelta governativa, blocco dei social media da parte del governo, arresti causati da contenuti postati online.

Rispetto ai decenni del KGB in Unione Sovietica o della Stasi nella Germania Orientale, oggi a caratterizzare la dimensione della sorveglianza. “Il costo delle tecnologie digitali per la repressione”, racconta Feldstein, “è molto più basso rispetto al costo degli apparati degli anni Sessanta o Settanta, con un significativo abbassamento del numero di persone necessarie a monitorare il comportamento dei cittadini”. C’è anche un altro aspetto, sottolinea Feldstein, che rende potenti i sistemi digitali per la sorveglianza e la repressione: “c’è una percezione di minor intrusione da parte dei cittadini”. Questo accade perché, nonostante gli effetti siano molto concreti, gli strumenti impiegati appaiono quasi invisibili nella nostra vita quotidiana.

Le tecnologie per la repressione e la sorveglianza digitali sono meno visibili e vengono percepite erroneamente come meno intrusive Steven Feldstein

L’impiego di riconoscimento facciale e altre tecniche sostenute dall’IA permette inoltre di tenere sotto sorveglianza fette più grandi della popolazione. Lo ha dimostrato, per esempio, una grande analisi condotta su 192 studi sulla repressione digitale da tre ricercatori statunitensi e pubblicata su "Science Advances". Il grande pubblico e il mondo dei media ne hanno avuto la consapevolezza chiara dopo il caso Snowden, quando i documenti divulgati hanno permesso di intravedere la dimensione reale e potenziale della sorveglianza. Ma ha anche mostrato come non siano solamente i governi dittatoriali a spiare i propri cittadini, ma anche quelli di stati democratici. Ci sarà sempre chi cercherà di mantenersi al potere limitando le libertà dei cittadini, in modo lecito o illecito. Per questo, secondo Feldstein, la discussione attorno alla sorveglianza digitale dovrebbe essere soprattutto di natura politica, culturale e sociale, non solamente tecnologica. “Quello che posso dire è che le democrazie liberali, come gli Stati Uniti e l’Italia, sono tra i paesi che presentano regole meno repressive in questo ambito”. Non si tratta di paesi perfetti, ma di esempi di paesi dotati di “una certa dose di resilienza” che non permette facilmente che le libertà individuali vengano erose.

Il potenziale è grande

A preoccupare Feldstein, sono invece, quei paesi che definisce “regimi ibridi”. Sono formalmente delle democrazie, ma sperimentano una costante erosione delle libertà attraverso forme di repressione digitale e non solo, che nello spettro tra piena democrazia e regimi totalitari fa pendere l’ago della bilancia sempre più verso i secondi. “Sono i casi di paesi come l’India, il Pakistan, l’Ungheria”, elenca Feldstein, “in cui la china è di un certo tipo”. Per capire le potenzialità di ogni paese in termini di repressione digitale, Feldstein ha sviluppato il secondo indice che presente nel suo libro: il Digital Repression Capacity Index. Questo indice mostra il potenziale non ancora messo in campo ma posseduto dai singoli paesi.

Divide et impera

Una strategia molto diffusa per limitare l’accesso a informazioni, la capacità di organizzare discussioni e manifestazioni contro il potere e diffondere controinformazione rispetto alla propaganda di regime è la compartimentazione di Internet. Per Feldstein è una specie di sogno di alcuni governi di passare da una Internet accessibile liberamente a una “splitternet” (sa ‘split’, dividere). Chiusure temporanee o locali di Internet, chiusura di questo o quel servizio e altre misure. Un esempio estremo e molto articolato è quello della Cina, dove Tencent, l’azienda tecnologica legata al governo, ha sviluppato il social network WeChat che tutti utilizzano per fare praticamente qualsiasi cosa. Ma si tratta di una porzione per così dire recintata e molto monitorata di Internet.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012