SOCIETÀ

Storie d'acqua, fiumi del Veneto: il Brenta

I paesaggi fluviali sono profondamente intrecciati con la vita e la storia delle popolazioni che li abitano e che li hanno abitati nel corso dei secoli. Fin dall'antichità, la storia degli insediamenti umani lungo il bacino del Brenta è stata fortemente caratterizzata dal rapporto con l'acqua del fiume, che ha determinato il modo in cui gli uomini hanno costruito la loro quotidianità, le attività produttive ed economiche e persino le loro identità locali.
Allo stesso modo, la presenza umana lungo questo corso d'acqua ha contribuito a modificarne gli assetti geomorfologici, con la costruzione di opere artificiali che hanno cambiato la fisionomia dei corridoi fluviali.

Il professor Francesco Vallerani, geografo dell'università Ca' Foscari di Venezia, nella sua carriera si è concentrato molto sullo studio dei paesaggi fluviali del Veneto e della storia degli insediamenti umani lungo i corsi d'acqua del territorio. Il professor Vallerani ci ha raccontato il viaggio delle acque del Brenta dalla sorgente fino alla foce, ricostruendo l'evoluzione delle molte ramificazioni che formano il suo percorso e sottolineando l'importanza di preservare i meravigliosi paesaggi naturali che lo caratterizzano.

L'intervento completo del professor Vallerani. Servizio di Federica D'Auria. Montaggio di Elisa Speronello

“Il Brenta è uno dei fiumi più importanti del Veneto”, racconta il professor Vallerani. “Insieme all'Adige, a occidente, e al Piave, a oriente, costituisce l'ossatura idraulica di tutto il nord-est italiano, escluso il Friuli, dove scorrono il Tagliamento e la Livenza. Il modo più antico di declinare il nome di questo fiume è al femminile: la Brenta. Questa modalità associa all'acqua del fiume un aspetto vitale, e per questo femminile, come se fosse una sorta di liquido amniotico che consente la vita alle popolazioni.

Il Brenta è un bellissimo corso d'acqua che nasce in Trentino, nel piccolo lago di Caldonazzo, attraversa la fascia prealpina, quindi la Valsugana e il Canale di Brenta, e arriva in pianura a Bassano del Grappa. In alta pianura, il suo bacino è costituito da sedimenti ghiaiosi, ciottoli e sabbie permeabili che creano delle pendenze piuttosto accentuate. Per questo il suo alveo non è facilmente delimitabile dagli argini, come invece accade a valle, all'altezza di Padova. Già a monte di questa città, il fiume assume un carattere placido, con una corrente più lenta, e forma dei meandri”.

Nonostante il Brenta attraversi una delle zone più antropizzate d'Europa, la famosa “città diffusa del Veneto”, il suo è un corridoio lineare che il professor Vallerani ha più volte definito un'oasi lineare fluviale, perché quando ci si trova lungo i suoi argini non ci si accorge di trovarsi dentro un paesaggio così fortemente antropizzato.
Il Brenta è un fiume pluvio-nivale, alimentato quindi dalla pioggia e dalla neve. “A causa del cambiamento climatico, però, la situazione sta cambiando. Uno dei suoi affluenti più importanti, è il Cismon, che nasce a San Martino di Castrozza e fino a qualche tempo fa era alimentato da ghiacciai perenni. Ora invece la sua alimentazione non è più glaciale, bensì meteorica: di pioggia e di neve”, spiega il professor Vallerani.

“D'estate, quindi, il largo alveo del Brenta è attraversato da rigagnoli d'acqua che non garantiscono neanche quel deflusso minimo vitale. Nel suo medio corso, poi, ha subito grandi prelievi di acqua a seguito del cambiamento climatico e di un'intensa attività di agricoltura industriale. Nel basso corso, invece, la situazione cambia: qui c'è un eccesso d'acqua, perché le pendenze sono pressoché minime. In queste zone, fin dall'età dei benedettini sono stati realizzati processi di bonifica, i quali in seguito sono stati portati a termine dai veneziani. C'è stata inoltre una bonifica alla fine dell'Ottocento e poi una integrale del primo dopoguerra.

Il Brenta è un fiume che ha dei caratteri naturalistici evidenti che restano abbastanza inalterati tra Bassano e Padova. In questa città si trovano vari rami del Brenta. Grazie a studi di idrologia storica, che si sono occupati della ricerca degli antichi tracciati dei fiumi, sappiamo che l'antico centro paleoveneto e poi romano di Patavium era costruito su un'ansa del Brenta, il cui nome antico era Medoacus.

La storia del Brenta è strettamente legata alle vicende idrauliche della città di Padova durante l'età comunale. Prima dell'arrivo di Venezia, questa era una città-stato che aveva organizzato il suo sistema idraulico sul Brenta, tramite degli scavi di canali. A parte Milano con i suoi navigli, infatti, è la città ha avuto la più intensa attività di artificializzazione idraulica di tutta la storia medievale europea. Il primo canale tagliato è quello che arriva a Monselice. Questo intervento, che risale alla fine del XII secolo, riguarda in realtà più il Bacchiglione del Brenta, anche ci sono delle importanti interazioni tra questi due fiumi. All'inizio del secolo successivo, nel 1209, venne fatto il taglio del canale Piovego, che collega il tronco maestro di Padova a un'altra ramificazione del Brenta che si trovava un po' più a nord, del nucleo antico della città.

All'inizio del XIV secolo risale il taglio della Brentella, a Limena. Questo canale va a collegarsi con il Bacchiglione a ovest dell'attuale quartiere di Brusegana. Questo taglio è stato fatto per permettere all'acqua di arrivare al Bacchiglione, in seguito a un intervento dei vicentini che l'avevano deviata a monte. Eventi come questo testimoniano anche l'esistenza di una micro-geopolitica dell'acqua risalente al periodo medievale.

Facciamo poi un salto temporale e arriviamo alla conquista della terraferma da parte di Venezia, che voleva assicurarsi che il controllo dei fiumi per impedire che interrassero la laguna. Il Brenta, in questo caso, era la minaccia maggiore. Nel caso del Piave, invece, la soluzione viene rimandata al XVII secolo. Una volta conquistato il territorio di Padova, Venezia perfezionò il sistema idraulico dei padovani intervenendo sulla riviera del Brenta, il tratto del fiume dall'andamento meandriforme famoso per le sue ville che conserva ancora il suo carattere naturale. I veneziani decisero di alleggerire la sua portata con dei tagli: il primo a Dolo e il secondo a Mira. In questo modo, in caso di piena, perché il Brenta era famoso per le sue piene, l'acqua veniva deviata lungo questi canali nella parte sud della laguna o addirittura fuori dalla laguna: in località Brondolo, a sud di Chioggia.

La riviera del Brenta costituisce un ottimo esempio di armoniosa coesistenza tra le popolazioni rivierasche e il corso d'acqua. La presenza delle ville è solo il aspetto più evidente, macroscopico e affascinante, quello che più attira i turisti. In realtà, erano presenti anche molti villaggi che partono da Strà, fino a Fiesso d'Artico, Dolo, Mira e Oriago. C'era quindi una comunità intera non solo di agricoltori e commercianti che dipendevano dai traffici fluviali. Non erano solo i burchielli dei nobili che andavano in villeggiatura da Padova o da Venezia a navigare il fiume, ma erano presenti sopratutto traffici commerciali di merci come granaglie e cereali.
Tant'è vero che il centro storico di Dolo, caratterizzato dai suoi mulini, è stato più volte raffigurato da famosi vedutisti come Canaletto e Bernardo Bellotto, che hanno sottolineato la sua importanza economica. Dolo, quindi, era il centro nevralgico di una attività produttiva ed economica che aveva trasformato il Brenta in una via d'acqua per i trasporti e una fonte di energia idraulica.

Sono tantissimi i manufatti presenti lungo il bacino del Brenta, e non solo sull'asse fluviale. Di grande importanza è poi tutto il sistema di canali artificiali che ritroviamo nel tratto tra Bassano e Padova. Piazzola sul Brenta è uno degli esempi più interessanti di protoindustria, cioè di attività industriale artigianale, che ha avuto luogo a partire dal XVI secolo grazie ai Contarini, una famosa famiglia veneziana le cui proprietà andavano da Piazzola fino a Bassano del Grappa: decine di migliaia di ettari quasi tutti irrigati artificialmente da un sistema di rogge. Queste rogge avevano anche una loro energia cinetica, per via della pendenza del terreno. I documenti, le mappe e la cartografia sono ricchi di informazioni a riguardo. Esiste infatti, nella villa dei Contarini, un fondo archivistico prezioso che racconta la storia idraulica di questo paesaggio e suoi i legami con la vita di ogni giorno di committenti, contadini, mugnai e fabbri”.

Un'altra testimonianza dello storico rapporto tra tra uomo e fiume è rappresentata dalle potenti arginature che è possibile vedere dalle spiagge di Sottomarina. “Queste fanno parte del taglio austroungarico della cunetta, risalente alla seconda metà del 19 secolo, fatto per tentare di risolvere definitivamente i problemi idraulici causati dai canali scavati dai veneziani nel XVII secolo con il taglio della Brenta Nova e della Novissima. Il primo di questi canali praticamente non esiste più, mentre la Brenta Novissima si trova in una condizione di degrado e di declino”.
Per questo motivo, il professor Vallerani lancia un appello per rivalutare questo canale storico interrato, una mossa che potrebbe promuovere anche il turismo nautico. “Abbiamo un grande patrimonio idraulico che resta purtroppo in condizioni che necessitano di interventi e pianificazione, anche alla luce del loro valore multifunzionale”, spiega. “Sarebbero ottime vie di deflusso in caso di piena, aiuterebbero a ricucire l'ecologia fluviale e diventerebbero anche una garanzia per l'irrigazione agricola. Riforestando il medio e il basso corso, poi, si potrebbero ripristinare dei corridoi vegetali alberati per la mitigazione degli estremi climatici. Il Brenta è un corso d'acqua così bello e prezioso e la sua potenzialità merita di essere utilizzata”.

Uno dei tanti modi in cui si possono raccontare le acque del Brenta è attraverso la favolistica e le tradizioni popolari. Conservare questo patrimonio culturale immateriale è la missione di Roberto Frison, regista teatrale e autore di libri sulla tradizione favolistica veneta.
A Il Bo Live, Roberto Frison ha raccontato gli aspetti più affascinanti e per certi versi misteriosi del Brenta, a cominciare dalla ricerca delle etimologie del suo nome antico, Medoacus, e di quello attuale, Brenta – che ci costringe ad affrontare nuovamente il problema di dover indicare il suo idronimo: va fatto al maschile o al femminile? È meglio parlare del Brenta, o della Brenta?

Roberto Frison racconta il Brenta. Servizio di Federica D'Auria. Montaggio di Barbara Paknazar

Poco lontano dalle acque del Brenta si trova anche un fiume di pietra: 4444 gradini, con accanto una cunetta. Stiamo parlando della Calà del Sasso, una strada costruita alla fine del XIV secolo per agevolare il trasporto di grandi tronchi d'albero che dal paese montano di Sasso venivano portati fino al porto di Valstagna, sul canale del Brenta, per poi essere condotti attraverso le acque del fiume fino a Venezia, dove sarebbero serviti per la costruzione delle navi.
Ma Calà del sasso, anche detta la scalinata dei quattro rosari, “oltre ad essere un'opera ardita dell'uomo è anche un inno all'amore”, racconta Frison.

Sono proprio questi 4444 gradini protagonisti di una delle più belle storie d'amore della tradizione popolare veneta: quella di Nicolò e Loretta, due fidanzati che rischiarono di essere divisi per sempre dalla peste, che aveva colpito la ragazza. Ma Nicolò non si perse d'animo, percorse tutta la Calà del Sasso fino a Valstagna, dove prese un cavallo per correre il più in fretta possibile fino a Padova e procurarsi l'unguento miracoloso che avrebbe salvato la sua futura sposa.

Le acque del Brenta conservano quindi un prezioso patrimonio ambientale e storico-culturale. Questo fiume, però, è anche stato protagonista, nel corso dei secoli, di una lunga e tragica serie di alluvioni, le temibili Brentane, che hanno posto l'attenzione sul rischio idraulico e idrogeologico del suo bacino.

“Si tratta di un problema comune a tanti fiumi importanti del Veneto”, afferma Luigi D’Alpaos, professore emerito di idraulica dell’università di Padova. “Le portate che possono arrivare da monte, in caso di eventi eccezionali, superano in misura apprezzabile quelle che il fiume può convogliare a valle, e in particolare, nel caso del Brenta, all'ingresso del fiume nel territorio padovano.
Da quel momento in poi, soprattutto superata Padova, l'alveo arginato non è in grado di contenere le massime portate. Nel piovese e a valle del piovese, poi, la massima portata convogliabile dal fiume si riduce apprezzabilmente. Oggi, a valle di Conche, non possono entrare più di 1400 m3/s, mentre a Bassano ne possono entrare più di 2700, nel caso di un evento importante e straordinario come la grande alluvione del 1966.

Inoltre, nel caso del Brenta, le cause del rischio idrologico sono riconducibili anche agli interventi che la Repubblica di Venezia adottò per salvare la laguna dagli interramenti. Il corso del fiume a valle di Padova è stato allungato apprezzabilmente, di circa una trentina di chilometri. Questo ha diminuito la capacità del fiume di convogliare le portate nel suo tratto vallivo.
I veneziani hanno salvato la laguna dal Brenta e dal Bacchiglione, ma così facendo hanno peggiorato la sicurezza idraulica di tutto il territorio padovano e anche di una parte del territorio della provincia di Venezia. Inoltre, il fiume è stato arginato assegnando all'alveo una dimensione troppo ridotta rispetto a quella di cui avrebbe bisogno nelle condizioni in cui si trova adesso.
Il quadro storico appena delineato aiuta a capire la dimensione del problema ed è evidente che volendo porre rimedio a questa situazione, mitigandone la pericolosità, è assolutamente necessario che vengano effettuati alcuni interventi strutturali importanti”.

È importante chiedersi, allora, in che modo e fino a che punto sia possibile arginare questi rischi intervenendo con opere di contenimento e attività di monitoraggio e pianificazione.
“Non credo che la soluzione migliore sia quella di potenziare ulteriormente le arginature, come d'altronde si è sempre fatto finora, perché ormai si è raggiunto il punto in cui un eventuale cedimento di queste strutture rischierebbe di causare grossi danni sul territorio circostante”, spiega il professor D'Alpaos. “Le arginature possono anche essere rinforzate o riposizionate in quota, ma questo deve avvenire tramite interventi locali limitati e non per mezzo di un'azione generalizzata.

Per questo motivo, credo che sarebbe più saggio seguire le indicazioni peraltro già suggerite dalla commissione De Marchi dopo l'evento del 1966 per tentare di ridurre i colmi di piena in arrivo dal bacino montano in modo da portarli a valori maggiormente compatibili con la condizione del fiume a valle, soprattutto nei tratti arginati. Così facendo, si attenuerebbero le massime portate in arrivo a valle con la trattenuta temporanea dei colmi di piena in vasi opportunamente predisposti. In questo modo, non solo le portate sarebbero ridotte a valori più facilmente fronteggiabili dalle difese arginali a valle, ma si ridurrebbe anche la sollecitazione su queste strutture, che potremmo definire, per certi versi, “problematiche”. Si tratta infatti di costruzioni che sono state realizzate nel passato, con tecniche ormai superate. Oltretutto, la condizione degli argini sul lato del fiume è stata resa ulteriormente problematica dalla mancanza di opere di manutenzione, specialmente su alcuni tratti che necessitano di essere aggiustati con opportuni interventi.
Anche questo è un aspetto comune a tutti i fiumi veneti. Nel caso specifico della situazione del Brenta a valle di Padova, un intervento positivo potrebbe essere quello di completare la tanto discussa idrovia Padova-Venezia, che potrebbe essere utilizzata anche come scolmatore delle piene di questo fiume e del Bacchiglione, dato il collegamento possibile tra Voltabarozzo, all'imbocco del Bacchiglione, e il Brenta a Vigonovo”, conclude D'Alpaos.

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