SCIENZA E RICERCA

Strategia social per la divulgazione: una proposta di approccio

Ultimamente sempre più progetti di ricerca europei prevedono anche una parte dedicata alla comunicazione social, in linea con l'esigenza di rendere partecipi dei risultati anche i cittadini non addetti ai lavori.
Sarebbe un errore ridurre i social network a luoghi di mero intrattenimento, o peggio ancora a piazze in cui ci si può dedicare alle polemiche più sterili. Certo, sono anche questo, ma per fortuna sui nostri newsfeed possiamo trovare molto altro, e non è un caso se molti bravi divulgatori scientifici sono sbarcati da tempo su Instagram e stanno prendendo confidenza anche con TikTok.

Parlando di comunicazione web, dobbiamo distinguere tra tutte quelle piattaforme dedicate alla scoperta di nuovi contenuti e quelle più adatte all'approfondimento. Naturalmente una cosa non esclude l'altra, ma è innegabile che i video brevi di TikTok siano più adatti a veicolare informazioni sotto forma di micro-pillole, mentre un contenuto su YouTube può trattare un argomento andando più in profondità.
Ma allora perché, anche quando parliamo di strategia di comunicazione per la ricerca, non è consigliabile creare solo contenuti dettagliati e approfonditi? La nemica giurata di ogni digital strategist è la soglia di attenzione, che è molto bassa (si parla addirittura di 8 secondi). Per superare questo ostacolo ci sono due soluzioni, da portare avanti in parallelo: far capire nei primi secondi o nelle prime righe di un contenuto quale vantaggio otterrà la persona proseguendo nella fruizione e farla affezionare a noi, al nostro stile di scrittura o di editing video e, in ultima analisi, al nostro modo di comunicare. Facendo così motiveremo il visitatore occasionale ad approfondire ciò che raccontiamo, magari andando a cercare un video più lungo e strutturato. Farlo a freddo, però, è molto difficile, mentre i video brevi, le story (contenuti che durano 24 ore, ma che su Instagram possono essere messe in evidenza finché il proprietario del profilo non le elimina) e tutti quei contenuti che non impegnano troppo ci aiutano ad attirare il target di nostro interesse.

Il target è quel gruppo di persone a cui scegliamo di rivolgerci. Dobbiamo fare questa scelta per due ragioni principali: da una parte cercare di comunicare con tutti significa non fidelizzare nessuno, perché nessuno si sentirà l'effettivo destinatario dei nostri contenuti. D'altra parte bisogna tenere presente il fattore algoritmo. Sui social, infatti, due persone che, per assurdo, seguissero gli stessi profili, non vedrebbero gli stessi contenuti nello stesso ordine. C'è un algoritmo che decide quali post o video far vedere sulla base dei segnali di interesse mostrati dall'utente e che poi, se i contenuti ottengono un buon engagement (coinvolgimento, misurato in like, commenti, condivisioni ma anche in azioni meno visibili come il click su "leggi tutto") li farà vedere anche a profili simili. Alcuni consulenti spiegano come "battere l'algoritmo" per raggiungere più persone, ma è un approccio che rischia di rivelarsi controproducente, perché può portare dei click "sporchi", cioè di utenti che non sono davvero interessati a ciò che diciamo, e che quindi poi non interagiranno, bloccando il meccanismo virtuoso che si instaura quando invece lavoriamo a fianco dell'algoritmo.

Per questo motivo, più la nostra comunicazione è focalizzata su un argomento specifico e su un target determinato, più l'algoritmo riuscirà a inquadrarci, mostrando i contenuti a persone realmente interessate. Se il nostro è un argomento di nicchia, la pagina potrebbe crescere più lentamente, ma ci guadagnerà sul lungo termine, sentendo meno il calo fisiologico delle interazioni che si verifica spesso dopo 6/12 mesi, quando l'algoritmo smette di "spingere" i contenuti in favore di profili nuovi e con un target simile. Se la nostra audience si è affezionata a noi, però, continuerà a commentare, leggere ciò che scriviamo e mettere like, così l'algoritmo capirà che i nostri contenuti sono interessanti e continuerà a mostrarli nelle aree di scoperta (per esempio la pagina "esplora" di Instagram, dove si può scoprire cosa postano i profili che non si seguono o nella sezione "per te" di TikTok). L'obiettivo dell'algoritmo, infatti, è quello di trattenere più a lungo possibile gli utenti sulla piattaforma per mostrare più annunci pubblicitari possibile. E qual è il modo migliore se non mostrare loro anche contenuti interessanti?

Scegliere l'argomento di cui parlare sui social, nel caso della divulgazione, è piuttosto semplice e, naturalmente, dipende dalle competenze. Un discorso più elaborato merita la selezione del target e quindi del social di riferimento.
Secondo il Global Digital Report di We are social e Hootsuite il social più utilizzato in Italia è ancora Facebook (se escludiamo WhatsApp, che è incluso nel rapporto ma non è propriamente un social) e al secondo posto abbiamo Instagram (che però batte Facebook quando viene chiesto quale sia il social preferito). La crescita maggiore è quella di TikTok, ma questo dato, da solo, dice poco, perché Facebook e Instagram si stanno avvicinando alla fase di saturazione: dobbiamo quindi aspettare per scoprire se TikTok ruberà utenti ai social del gruppo Meta, se questi invece rimarranno fedeli o se il tempo d'uso dei social aumenterà e le piattaforme si divideranno equamente gli utenti.
Per quanto riguarda le fasce di età, su Facebook sono maggiormente attivi gli utenti dai 40 in su, mentre c'è stato un vero e proprio esodo di giovani, su Instagram troviamo un'ampia fascia di età intermedia, mentre su TikTok ci sono i giovanissimi dai 16 ai 24 anni: non è un caso che sia la fascia di età meno attiva sui social del gruppo Meta (i dati dei minori di 16 anni non vengono raccolti, ma altre analisi suggeriscono che sia il social più utilizzato anche sotto quell'età).

Un dato molto interessante è quello che vede i più giovani utilizzare Instagram e TikTok, e non i motori di ricerca, per trovare informazioni. È un fenomeno curioso, perché queste piattaforme non sono nate per la ricerca attiva di contenuti (che in effetti è molto difficoltosa), ma per la scoperta tramite algoritmo. In quest'ottica, aumenterà probabilmente l'importanza dell'uso di hashtag e di parole chiave per essere trovati grazie alla ricerca interna dei social network, e potrebbe essere stravolto il paradigma secondo cui i comunicatori utilizzano da una parte canali pensati per l'utilizzo della seo (tecniche per essere trovati sui motori di ricerca anche grazie all'utilizzo di parole e frasi chiave) come i siti web e i canali YouTube affiancandoli dall'altra parte ai social network. A questo proposito, ricordiamo per inciso che su queste piattaforme siamo ospiti, e che potrebbero chiudere all'improvviso come sta minacciando di fare Meta per il braccio di ferro con l'Europa sulla privacy. È sempre meglio costruire una strategia di comunicazione integrata che preveda anche un canale proprietario come un sito web, un blog o una newsletter, tramite cui avvisare il target di eventuali spostamenti per non dover ripartire da zero su un altro canale.

Una volta individuato il target e il social su cui questo è più attivo, bisogna ragionare sui contenuti che vogliamo o possiamo produrre. Se per esempio ci vogliamo rivolgere alla generazione Z (i nati tra la fine degli anni Novanta e l'inizio dei Dieci) ma non riusciamo a produrre video brevi con un forte impatto nei primi secondi, ha poco senso utilizzare TikTok, ed è meglio scegliere Instagram che, per ora, prevede anche altri formati (diciamo "per ora" perché questo social sta sempre più "prendendo spunto" da TikTok: prima ha introdotto i Reel, video brevi simili in tutto e per tutto a quelli di TikTok, e poi ha dato il via a un test per provare a trasformare tutti i contenuti caricabili nel formato verticale di 9:16). Adesso è in fase di test l'aggiornamento che "prende spunto" da BeReal, un social che si presenta di fatto come l'anti Instagram, e che spinge a postare foto a pochi minuti da una notifica random, qualsiasi cosa si stia facendo: vedremo se il social sacrificherà altre funzioni a favore di questa.
In ogni caso il tono di voce, cioè il linguaggio e lo stile che usiamo per trasmettere le conoscenze, va calibrato a sua volta sul target e sul social che scegliamo: dare del lei su Instagram, per esempio, è impensabile, e va presa con le pinze qualsiasi tendenza alla formalità, che può sopravvivere invece su Facebook, anche se a fatica.

Per quanto riguarda il linguaggio specifico della materia, le regole sono più o meno le stesse che applicheremmo a una conferenza destinata ai non addetti ai lavori: a meno che il nostro target non abbia già una familiarità con la materia, i tecnicismi vanno sempre spiegati e bisogna dare indicazioni agli utenti per andare a recuperare i concetti base, che sarebbe superfluo ripetere ogni volta (una soluzione potrebbe essere quella di inserirli nelle story in evidenza di Instagram).

Questa è la base per partire con un progetto di divulgazione sui social, che rispetto ad altri media hanno la possibilità di raggiungere molte più persone. Per migliorare le cose, poi, sarà necessario analizzare almeno mensilmente le statistiche messe a disposizione da quasi tutte le piattaforme, per vedere che cosa ha funzionato e va quindi replicato in altra forma e cosa invece si può evitare o migliorare. È una delle azioni più importanti per aggiornare il calendario editoriale, ma di questo parleremo semmai in un altro articolo.

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