CULTURA

Da universo a pluriverso: in scena con Galileo

Molti anni fa, in occasione delle celebrazioni galileiane nel nostro Ateneo, Umberto Artioli dedicava un lucido saggio a Vita di Galileo e vi citava la lettura del teatro di Brecht offerta da Roland Barthes, che "dietro il bagaglio ideologico, leggeva l’audacia dell’operazione formale, dialettica nella sua essenza, che non agiva su contenuti prefabbricati, ma puntava su una ricerca in progress, di cui il vuoto, la contraddizione, il conflitto erano i propellenti. Intuiva che dall’interazione di un palcoscenico scheggiato e uno spettatore curvo su quel reticolo di antinomie, sarebbe uscito non un senso univoco, ma una pluralità di significazioni, e che tale pluralità era lo scopo profondo dell’operazione teatrale" (dagli Atti delle Celebrazioni Galileiane 1592-1992). Seppure la concezione di Processo Galileo, recentemente allestito da Andrea De Rosa e Carmelo Rifici, non comprenda il testo brechtiano tra i materiali compositivi, esiste un immaginario inevitabilmente all’opera in quel lavoro di composizione che lo spettatore è invitato a compiere quando la scrittura scenica chiama a immaginare oltre e al di là della scena. Se poi motivi e figure ispiratrici di una drammaturgia sono dei giganti della nostra cultura, si creano naturalmente convergenze e costellazioni di riferimento. Tra questi motivi, in questo caso la contraddizione, il conflitto, il vuoto che generano la messa in discussione delle coordinate e la molteplicità di prospettive.

Ad introdurre una bella puntata di Teatri in prova a Radio3 con i registi Andrea De Rosa e Carmelo Rifici, Laura Palmieri proponeva la voce di Giorgio Strehler che rievocava l’insegnamento di Brecht, sintetizzandolo nell’immagine del demone del dubbio mutuata da una stampa cinese. La visione di Processo Galileo oltre che piacevole è profondamente feconda di sani interrogativi, in quanto questi motivi sono incarnati tanto dalle tematiche della drammaturgia che dal ‘processo’ di costruzione dello spettacolo. Sin dal titolo sbalza un’ambivalenza tra l’insieme di eventi storici evocati (il processo e l’abiura di Galileo) e il processo creativo, le modalità messe in campo da registi, autori e partecipanti alla creazione. Uno spettacolo che dichiara le proprie intenzioni, non uniche ma certamente rare nel panorama teatrale: la scelta di costruire a più voci, a partire da regia e drammaturgia, entrambe composte a quattro mani (Andrea De Rosa e Carmelo Rifici i registi, Angela Dematté e Fabrizio Sinisi gli autori, ai quali si affianca la Dramaturgin Simona Gonella). Due regie e due testi? O uno spettacolo bicipite che in questo stesso aspetto esibisce l’impossibilità di una verità univoca?

Questo tratto tocca tutti gli artisti chiamati a dare corpo, voce, materia, suono e luce al progetto, che si trovano nella condizione di rispondere non ad un unico punto di vista, bensì ad una visione multifocale. Una sfida riuscitissima, assunta consapevolmente da tutto l’ensemble. Tanto De Rosa che Rifici sottolineano la necessità di abbassare il livello di affermazione della singola individualità, oggi sopravvalutata, e di rimettere in discussione lo schema ‘piramidale’, nell’ottica di un processo creativo comune, intravvedendo un’apertura a possibili mutamenti della consueta pratica registica. Le implicazioni non sono irrilevanti, se pensiamo alla stessa etimologia della parola ‘regista’ – che ha a che fare con la direzione ma anche con la ‘reggenza’ e la posizione di una autorità (‘despota’ viene chiamato il regista teatrale nel periodo della sua piena affermazione primonovecentesca…).

La locandina è dunque ‘paritetica’: vengono chiamati al progetto consueti collaboratori e collaboratrici dell’uno o dell’altro regista. Andrea De Rosa sottolinea la scelta del titolo, non il processo di Galileo o a Galileo, ma Processo Galileo; un allargamento dello sguardo, che abbraccia come fenomeno complesso le questioni affrontate dalla drammaturgia e dalla composizione scenica: la relatività terrestre e la messa in discussione di presunte ‘verità’ umane, a favore delle più certe leggi della Natura; il rapporto della scienza con il potere, ma anche con le arti e l’Umanesimo; il confronto tra umano e tecnologia, sorta di climax della costruzione drammaturgica, che interseca il tempo della storia (Galileo) e una situazione contemporanea (il rapporto tra una Madre e la figlia Angela, giovane scienziata), aprendo agli interrogativi. Gli elementi scenici hanno valenza doppia o plurima: essenziali e tutti giustificati dalle premesse registiche. Per esempio un pianoforte, figura dell’unione tra scienza e arte, tecnica e poesia, ma anche fonte di luce o equivalente di una postazione di lavoro di scrittura.

Questa prospettiva ‘dall’alto’ impronta concezione e interpretazione dei personaggi: non tanto individualità con una realtà anagrafica, quanto piuttosto categorie, figure che incarnano idee e dinamiche. E che quindi possono essere in scena contemporaneamente, al di là della progressione temporale dell’azione. Sin dai primi momenti, queste figure reificano i diversi nastri temporali e drammaturgici; spesso in ombra, in penombra o nel buio al margine della scena.

In quel tempo prezioso in cui la sala accoglie il pubblico prima dell’inizio dello spettacolo, un’attrice (Catherine Bertoni de Laet) già in scena sfoglia un libro, legge (al pianoforte): sembra lì da sempre, stabilisce un elemento di continuità con la sala. Si percepiscono altre presenze in penombra, nel graduale trascorrere del tempo che fa da collante tra dimensione scenica ed esterno. In tutto lo spettacolo le figure sembrano farsi visibili o viceversa invisibili, piuttosto che ‘entrare in scena’ e uscirne. Il tempo, scenico e drammaturgico, è compresenza di passato presente e futuro. In questo orizzonte di continuità tra sala e palcoscenico, entra Luca Lazzareschi/Galileo, alza uno dei pannelli a terra, creando una nuvola di polvere, uno spostamento d’aria segnato dal cambio dell’illuminazione (da calda a fredda): è così che gli spettatori ‘entrano’ in scena.

In tutto lo spettacolo le figure sembrano farsi visibili o viceversa invisibili, piuttosto che ‘entrare in scena’ e uscirne. Il tempo, scenico e drammaturgico, è compresenza di passato presente e futuro

L’aspetto più rilevante a livello di composizione scenica e drammaturgica è proprio la compresenza dei differenti nastri ‘narrativi’, da cui prende forma il dialogo tra diverse temporalità. La prima parte (‘prologo’) accosta materiali storici, documenti relativi al processo e all’abiura di Galileo, passaggi del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo e delle Lettere della figlia Virginia (Roberta Ricciardi), in scena insieme all’allievo Benedetto (Giovanni Drago), e alla potente Inquisizione (Milvia Marigliano). Nella seconda parte (testo di Angela Dematté) la giovane ricercatrice, Angela, si confronta con la Madre e con il lutto della sua perdita. Compare uno Scienziato, evidentemente ‘doppio’ di Galileo e figura della Scienza; ai personaggi si affianca il Rivoluzionario (Isacco Venturini). Si delineano i motivi dell’etica e del conflitto tra umano e tecnologia, avviando il percorso verso la deflagrazione della terza parte (testo di Fabrizio Sinisi) che porta tutti i temi posti al loro limite estremo, al paradosso che ne rovescia lucidamente e impietosamente gli assunti. Le negazioni urlate e spinte al limite, per la forza con cui sono scagliate sembrano fare luce su altre possibili verità.

È la parte che fa ‘lievitare’ lo spettacolo: Galileo da personaggio storico si fa figura, ‘macchina’, motore che alimenta interrogativi e dispositivo di trasformazione del mondo, anche nei suoi esiti più inquietanti. Il testo ingloba e ‘accumula’ vertiginosamente espressioni e concetti del linguaggio scientifico contemporaneo. La scena materializza le premesse del progetto, introducendo la figura di una donna (ancora Marigliano) che ha assistito in Aula Magna a Padova alla lezione di Galileo sulla Stella nova, nell’ottobre 1604, anche lei figura che attraversa i secoli, come il giovane Rivoluzionario che ha percorso le epoche e le battaglie della storia e della scienza. Il testo rievoca le convinzioni di Galileo sulla gravità, lo scivolo a forma di spirale dove lasciava cadere una sfera illustrando le leggi che governano la natura, la legge eterna del tempo e della materia nonostante qualsiasi imposizione politica e religiosa e nonostante l’abiura; in scena la forza di quel gesto viene amplificata da una serie di ripetute e fragorose cadute a terra del Rivoluzionario. L’impatto auditivo è fortissimo, come tutto il progetto sonoro (di GUP Alcaro), che stringe insieme suggestioni impalpabili e materia del suono.

Le casse vengono sollevate, rivelano un fondo d’oro, che irradia luce abbagliante, ma anche instabilità. Sembrano sostituire le costellazioni del ‘cielo fisso’, ‘rompono il cielo’, come fece il cannocchiale puntato verso le stelle ("il cielo non è fisso, … i cieli sono aperti… tutto nasce e muore… la terra non è il centro e... all’improvviso i cieli sono vuoti"). Tutta la terza parte è puntellata da una conta delle stelle in una sorta di contrappunto al procedere dei dialoghi. Il tessuto dei differenti nastri narrativi è formato dai numerosi punti di convergenza delle dimensioni orizzontale e verticale. Prendiamo solo un paio di esempi di questa composizione ad intrecci. Le stesse figure incarnano queste convergenze: Galileo/Scienziato, il Rivoluzionario, la Madre testimone della Storia. Angela, scienziata contemporanea, restituisce interi passaggi dai testi di Galileo, mentre la Madre instaura un dialogo con le figure al di fuori della dimensione presente. L’orto e la terra sono un ulteriore punto di incrocio dei diversi nastri: l’orto della Madre ma anche quello delle lettere di Virginia, ‘contenuto’ nelle casse riempite di terra; incarna il legame e l’attrazione per la terra, che attira i pesi, ma anche dimensione terrestre giustapposta a quella celeste.

Una battuta dello Scienziato cerca di dare conforto alla giovane donna: l’anima/mente riscrive il codice genetico, trasmettendolo di madre in figlio. I neuroni hanno dunque codificato i gesti della madre, le cui mani agiranno per sempre in quelle della figlia. La Madre è scritta nel suo ‘connettoma’ e nelle ‘cose’. Coerentemente con gli assunti drammaturgici, l’impianto scenografico (di Daniele Spanò) è aperto, non limitato da quinte o pareti laterali, come germinato nello spazio nudo della scena; uno spazio essenziale ed allusivo, il cui dinamismo è affidato sostanzialmente alle luci e a pochi movimenti degli elementi materiali. Si lascia immaginare oltre i muri dell’edificio, delineato ma non delimitato dalle luci (così in altri spettacoli di De Rosa con Mari), che confortano le due dimensioni entro cui si muove il testo, sottolineando la relazione dinamica terra/cielo. Le luci, come spiega Pasquale Mari, sono pensate in continuità verticale con il quadrato della scena, in una sorta di corrispondenza celeste delle plafoniere a incandescenza con gli elementi terreni delle vasche di terra.

Nelle numerose recensioni allo spettacolo, unanimi nel riconoscere la qualità degli e delle interpreti, della scenografia, delle luci, dei costumi, della partitura sonora, non manca qualche riserva sulla coerenza drammaturgica. Se riconosciamo alcuni punti deboli nel testo e qualche punta di eccesso drammatico in taluni momenti, crediamo che vi sia un’unità che non coincide necessariamente con quella della consequenzialità narrativa. Oggi più che mai ci rendiamo conto di quanto la presunta linearità e concatenazione logica della narrazione sia un mito letterario, che non corrisponde alle modalità secondo le quali la complessa realtà (stratificazione di realtà molteplici) si offre ai nostri sensi e alla nostra capacità di comprensione e ri-organizzazione. Una dis-unità nella molteplicità, da cogliere nei segni della scrittura scenica nel senso forte di questa espressione. Spie si accendono continuamente e compongono un racconto fatto di scintille, frammenti, dettagli, intonazioni, le stesse parole dette e riprese in paesaggi diversi, elementi che accompagnano tutto lo spettacolo come la candela, la composizione cromatica di materiali e costumi (di Margherita Baldoni), le costellazioni luministiche, il tessuto sonoro, fondamentale nella rete delle corrispondenze. "Un palcoscenico scheggiato" che si offre ad uno "spettatore curvo su quel reticolo di antinomie", per tornare ad Artioli, diffondendo luce dall’universo al pluriverso.


PROCESSO GALILEO di Angela Dematté e Fabrizio Sinisi

Regia di Andrea De Rosa e Carmelo Rifici

Dramaturgin Simona Gonella

con Luca Lazzareschi, Milvia Marigliano, Catherine Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi, Isacco Venturini

progetto sonoro G.U.P. Alcaro

scene Daniele Spanò

disegno luci Pasquale Mari costumi Margherita Baldoni

CoProduzione LAC Lugano Arte e Cultura, TPE – Teatro Piemonte Europa, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale in collaborazione con Associazione Santacristina Centro Teatrale

Prima: Lugano 7 novembre 2022 – visto al Piccolo Teatro Strehler, 15 gennaio 2023

Dopo la fortunata tournée degli ultimi mesi, Processo Galileo sarà ripreso nella prossima stagione e arriverà in molte città, tra cui Torino, Roma e Napoli. 

Il progetto di collaborazione tra Università di Padova e Piccolo Teatro di Milano

Queste riflessioni raccolgono qualche spunto tra i tanti offerti dallo spettacolo e muovono dal piacere di segnalare la collaborazione recentemente avviata tra Università di Padova (in particolare Dipartimento dei Beni Culturali e quello di Studi Linguistici e Letterari) e Piccolo Teatro di Milano. Il progetto SguardItineranti, partito a novembre in occasione dello spettacolo La Tempesta di Alessandro Serra, è proseguito con Processo Galileo e prevede successive trasferte al Piccolo (in bus da 50 posti), fino a giugno. Ogni uscita consente ai partecipanti approfondimenti grazie a materiali preventivamente trasmessi e commentati (in questo caso gentilmente messi a disposizione dal Lac di Lugano e dagli artisti), di assistere a presentazione e incontro con gli artisti, con aperitivo, e di visitare gli spazi del teatro. Una immersione nello spettacolo e nel processo creativo. L’iniziativa prende forma da una proposta della sottoscritta (Cristina Grazioli, ndr), nell’ambito degli insegnamenti universitari tenuti, ma anche nel contesto dei programmi di Terza missione, e vive grazie al cuore organizzativo del progetto, Beatrice Marra e Ottavia Cappellazzo, studentesse del corso magistrale Scienze dello Spettacolo e Produzione Multimediale, in dialogo con Antonella Brambilla del reparto organizzazione e promozione del Piccolo. Un’iniziativa dallo spirito collettivo che proseguirà con altri appuntamenti fino a giugno 2023 e che ci si augura possa proseguire anche oltre l’anno accademico.

Prossimo spettacolo: Romeo e Giulietta di Mario Martone, sabato 11 marzo alle 19.30, Teatro Strehler. Per maggiori informazioni sulle trasferte: beatrice.marra@studenti.unipd.it e ottavia.cappellazzo@studenti.unipd.it

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