
Dire che Giorgio Vallortigara scrive di cervelli è un po’ come dire che Proust scriveva di biscotti. Formalmente vero, perché in fondo il biscotto c’è. Ma basta leggere tre righe sue per capire che il cuore del discorso è altrove, e se vero che ci permette di conoscere meglio il cervello e i suoi proprietari, va anche molto più a fondo: anche in A spasso con il cane Luna, nuova raccolta di saggi e articoli editi e inediti, pubblicata da Adelphi, l’oggetto in apparenza è la mente animale, ma poi si arriva al modo in cui la scienza può raccontare storie e a come, raccontando, si portano le persone a comprendere qualcosa ma anche a farlo proprio nella loro vita quotidiana.
Il primo inedito, che porta lo stesso titolo del libro, si apre con una passeggiata: il cane Luna, un husky dall’olfatto fine e dalla coda eloquente, è il compagno perfetto per attraversare territori solo all’apparenza familiari: emozioni, percezioni, simmetrie cerebrali. È un saggio scritto per i ragazzi, ma come ogni vero saggio divulgativo sa parlare anche a chi ragazzo non è più e anzi è proprio lì che scatta la meraviglia, come quando il lettore scopre che il cane scodinzola più verso sinistra se è felice e si trova improvvisamente a osservare il proprio cane con occhi da etologo.
Ma questa è solo l’entrata. Il resto del libro è una biblioteca, per restare in tema proustiano, in cui si entra con passo da flâneur e si esce con lo zaino pieno di domande.
Intelligenza senza cervello
Uno dei pezzi più intelligenti e istruttivi, è quello sul Physarum polycephalum, blob per gli amici. È un organismo unicellulare che non ha neuroni né sinapsi, e che però ricorda, decide, ottimizza. Leggendo le parole di Vallortigara, osserviamo il blob con quella miscela di sospetto e affetto che Borges riservava agli animali dei suoi zoo mentali, perché questa creatura può insegnarci molto: anche senza un cervello si possono fa moltissime cose, a partire dal risolvere labirinti, evitare ostacoli, ottimizzare reti di collegamento tra fonti di cibo e addirittura apprendere per assuefazione. Se esposto più volte a sostanze sgradite ma innocue, come la caffeina, il blob smette di evitarle e, cosa ancora più stupefacente, trasmette questa “memoria” anche ai suoi futuri frammenti: Il blob infatti è fatto da una sola cellula gigante, che può occupare diverti metri quadrati e che in un ambiente ottimale raddoppia il suo volume in 24 ore. Se si prendono due pezzi di blob e li si avvicinano, si fondono in una nuova singola cellula, ma se uno dei pezzi ha imparato ad assuefarsi a una sostanza, fondendolo con un pezzo “ignorante”, la cellula risultante “ricorda” quello che ha appreso, come se con i pezzi di blob si fosse fusa anche la loro memoria.
Nessun trucco, nessuna magia: solo una forma di cognizione minimale che sfida le nostre idee su dove, e in cosa, risieda davvero l’intelligenza.
Pesci maestri di marketing
Se il CEO di un’azienda non sapesse a chi affidare il servizio clienti, potrebbe provare a fare un salto ai Tropici per un colloquio molto speciale: i pesci pulitori (Labroides dimidiatus), sono piccole creature che vivono nei reef tropicali e offrono un servizio di igiene ai loro “clienti”, pesci più grandi che si fanno ripulire da parassiti e pelle morta. Anche qui, si parte dal cervello ma si arriva al customer care evolutivo: i pulitori imparano a distinguere tra clienti abituali e clienti occasionali, tra predatori e vegetariani, e gestiscono il servizio con una finezza che farebbe impallidire il responsabile marketing di una spa di lusso. I clienti di passaggio, quelli che potrebbero scegliere un altro fornitore, vengono trattati con una cura maggiore e serviti subito, mentre i residenti, che non hanno alternative, possono anche aspettare.
“ Il labro pulitore evita di imbrogliare pesci che potrebbero divorarlo. Si astiene da ogni furbizia anche con i pesci della barriera corallina che […] non sono residenti Giorgio Vallortigara
A volte i pulitori sbagliano: mordicchiano un cliente o lo trascurano, ma poi sono abilissimi a correre ai ripari e alla visita successiva aumentano l’accuratezza del servizio. È un esempio lampante di intelligenza adattativa non basata sulla parentela genetica ma sulla strategia: fidelizzazione, personalizzazione, gestione dei reclami. Se Amazon dovesse assumere dei pesci, saprebbe dove andare a cercare.
Il conflitto interiore dell’etologo
Non poteva mancare, in questo zoo neuro sentimentale, un cane letterario. Ma non parliamo di Buck, il protagonista di Il richiamo della foresta né del cane di Flush di Virginia Woolf. Parliamo invece di Alcibiade, il bassotto protagonista del libro Alcibiade. Una suite per bassotto di Giuseppe O. Longo, amico dell’autore: il saggio di Vallortigara Nella mente di un bassotto prende le mosse da questa figura per interrogarsi su un tema classico: quanto possiamo davvero sapere della mente di un altro animale? E, ancora di più: quanta parte di quello che vediamo in lui non è che una proiezione di noi stessi?
Ogni appassionato di etologia ha imparato che gli animali non “pensano” come noi, e che anzi siamo noi ad attribuire loro sentimenti umani come quando vediamo la nuvola più grande che è cattiva e mangia la più piccola. Ed ecco che si guarda con benevolo compatimento chi racconta che il suo cane non sopporta la suocera perché è una piantagrane e lui lo sente, mentre si sa che è più probabile che sia infastidito dal suo profumo o dal tono di voce. Il tutto, naturalmente, finché non si parla dell’animale dell’appassionato di etologia.
Perché conteniamo moltitudini, ed è possibile sapere una cosa ma sentirne un’altra: ed ecco che l’animale dell’etologo lo guarderà male quando starà per fare visita a una famiglia dove troverà altri animali da coccolare, e, se è un gatto, andrà subito verso il tiragraffi come velata minaccia, per far capire all’umano di riferimento che non è il caso di coccolare questi usurpatori perché lui se vuole sa essere un animale feroce e che quel film horror che ha visto l’altra sera mentre fingeva di dormire in braccio a lui lo ha molto ispirato. Anche perché è da queste fantasie che nascono i racconti più interessanti.
Cooperazione tra pappagalli
Tra i saggi più affascinanti, un posto speciale lo merita quello sui pappagalli cenerini. Animali sociali, monogami, capaci non solo di aiutarsi a vicenda ma di farlo anche senza un tornaconto immediato: cooperano, tollerano l’inequità, e non serbano rancore. Qui Vallortigara accompagna il lettore in una riflessione sulla reciprocità, evocando i dilemmi morali della teoria dei giochi, ma lo fa con leggerezza, senza mai smarrire il tono colloquiale: un po’ come se fosse un buon amico a raccontarti, al bar, che c’è un pappagallo più generoso del tuo partner (speriamo non più fedele).
La capacità di porsi le domande giuste
Tra i testi più intimi e riusciti della raccolta c’è Omissioni (e procrastinazioni) di un neuro-etologo inquieto. Qui Vallortigara non si racconta per celebrare sé stesso, ma quasi con il pudore di chi, per la prima volta, cerca di spiegare a voce alta perché ha dedicato la vita a domande senza risposta certa, come per esempio “che cos’è una mente?” La risposta, suggerisce, non sarà definitiva, ma forse non è nemmeno il punto centrale del discorso, perché conta più che altro il viaggio della ricerca, e capire è importante soprattutto quando ci porta a porci domande migliori.
“ Uno scienziato è uno studioso di problemi, non di discipline Giorgio Vallortigara
Una scienza che sa di letteratura
Tutto il libro è attraversato da un gusto narrativo raro nella divulgazione italiana. I riferimenti culturali sono sempre pertinenti e mai ostentati, come quello a Rilke che, per esempio, compare tra le righe, citato nella lapide di Gudrun von Schwerin, moglie di Jakob von Uexküll, altro “eretico della scienza” a cui Vallortigara dedica un saggio-ritratto denso e stimolante.
Ma soprattutto, c’è un tono ben definito, una lingua gentile, paziente, che non teme la complessità ma sa che spesso implica l’accompagnamento del lettore in una materia che non gli è familiare, un po’ come si fa con un cane curioso ma non troppo brillante. Il risultato è un libro che si può leggere a salti, come un’antologia, oppure tutto d’un fiato, un libro che non ti dice come pensare, ma ti invita comunque a farlo.
Ma il vero congedo, più che scientifico, è biografico. Negli ultimi saggi — Un maestro, Vittorio, un amico, e l’autoritratto a bassa voce di Omissioni (e procrastinazioni) — viene fuori qualcosa che la scintilla intellettuale dei capitoli precedenti aveva solo suggerito: il cuore dello studioso, che si estrinseca in un omaggio a chi lo ha preceduto e guidato, in un esercizio di gratitudine intriso di una certa vulnerabilità, mentre il linguaggio si fa tenero senza mai diventare sentimentale.
E allora, tornando a Proust: se è vero che ogni grande scrittore costruisce una camera della memoria, Vallortigara ci costruisce un giardino popolato di bestiole con abilità inaspettate, labirinti mucillaginosi, pappagalli altruisti e neuroni in equilibrio su un’asse invisibile. E lì, seduto su una panchina con il cane Luna, ci mostra come anche la scienza — quando è narrata bene — possa insegnarci a ricordare chi siamo e, soprattutto, quanto poco sappiamo di chi ci sta accanto.