Per Venezia la Festa della Sensa andava ben oltre il significato religioso di commemorare l’ascensione di Cristo in cielo dopo la Pasqua. La Festa aveva un risvolto civile ancora più importante: celebrava due momenti decisivi della storia della Repubblica. Ricordava il 9 maggio del 1000, quando la città salvò la Dalmazia dalle minacce degli Slavi, segnando l’inizio dell’espansione nell’Adriatico del proprio dominio; e ricordava la pace di Venezia del 1177 che metteva fine alle dispute di allora tra Papato e Impero. Ma soprattutto, era il giorno della celebrazione dello sposalizio del Mare, il rito laico che ristabiliva ciclicamente il legame tra la città e l’acqua. Quale occasione migliore, quindi per inaugurare un grande teatro?
Proprio per la Festa della Sensa del 1792, il 16 maggio, veniva inaugurato quello che oggi è il più famoso teatro della città e uno dei più importanti del mondo: il Gran Teatro La Fenice. Il Teatro nasce in quella che oggi chiameremmo una “guerra commerciale” tra diverse famiglie veneziane, proprietarie di teatri (nel Settecento se ne contano una ventina), che si contendono il “mercato” dell'intrattenimento che culmina con il Carnevale, oramai evento internazionale di grandissimo richiamo. Nel 1787 la Nobile Società dei Palchettisti, dopo una disputa legale con la famiglia Grimani, che gestiva diversi teatri in città, perde il controllo di una delle sale più importanti, quella del Teatro San Benedetto, e decide di indire un vero e proprio bando pubblico, datato 1° novembre 1789, per la costruzione di un nuovo teatro “il più soddisfacente all'occhio ed all'orecchio degli spettatori”, puntando quindi sulla qualità dell’acustica e la visibilità della scena, elementi fondamentali per l’opera lirica.
Una prima non troppo fortunata
Il nuovo teatro si costruisce in tempi rapidissimi, dopo che il concorso internazionale ha decretato la vittoria del progetto di Gian Antonio Selva, che rispondeva all’esigenza di 5 ordini di palchi - estremamente lucrativi sul piano commerciale - in un impianto di tipo neoclassico. Come di consuetudine, per l'inaugurazione viene anche commissionata un’opera nuova. A spuntare la competizione è un librettista oggi dimenticato, Alessandro Pepoli, che scrisse un dramma in tre atti intitolato I giuochi d’Agrigento ambientato ai tempi della Magna Grecia.
Le musiche sono invece di uno degli autori in voga nel periodo, Giovanni Paisiello, di cui oggi di tanto in tanto viene ancora eseguito il suo Barbiere di Siviglia. Nonostante le lodi per il nuovo teatro espresse dagli invitati, la serata non andò benissimo. A leggere quello che scrisse Pepoli, si trattava di invidia di coloro che non erano stati “eletti alla composizione del Dramma che doveva servire all’apertura di questo Teatro”. In una lettera all’abate Boaretto, intellettuale dell’epoca, definisce i critici “Letterati da caffè, non meno di alcune Letteratelle da Casino” che si sono scatenati “contro del mio povero Dramma trovandolo detestabile dalla prima all’ultima sillaba”.
I travagli del Teatro della Fenice vanno ben oltre una prima non riuscita, con i due incendi, quello del 1836 e quello del 1996, che hanno rischiato di cancellarlo come è successo a molti altri teatri veneziani. Si tratta anche dell’ultimo teatro a nascere sotto la Repubblica: nel 1797 il Maggior Consiglio consegna la città alle truppe napoleoniche e Venezia non sarà più la stessa. Senza però che si intaccasse il ruolo di una delle città guida per l’opera lirica mondiale, un ruolo che affonda le radici nei suoi teatri del Cinquecento, e in particolare in uno che ha introdotto alcune delle caratteristiche del teatro che sopravvivono fino a oggi.
Il Cinquecento: il teatro d'opera arriva a Venezia
“Sono poco discosto da questo Tempio [San Cassiano, NdR] due Theatri bellissimi edificati con spesa grande, l’uno di forma ovata e l’altro rotonda, capaci di gran numero di persone; per recitarvi ne’ tempi di Carnevale, Comedie, secondo l’uso della città”. Sono parole di Francesco Sansovino che ritroviamo nel suo Venetia città nobilissima et singolare descritta in XIIII Libri pubblicato nel 1581. In questa frase c’è tutta la Venezia teatrale dell’epoca: le commedie per la stagione di Carnevale, il grande afflusso di pubblico per gli spettacoli e il particolare interesse cittadino per il teatro. I due edifici di cui parla Sansovino sono stati costruiti praticamente in contemporanea da due famiglie veneziane: i Michiel e i Tron. Questi due teatri da commedia, quindi pensati per opere in prosa, sono originali perché architettonicamente in controtendenza rispetto all’epoca, in cui si andava recuperando un teatro all’antica, come nel caso dell’Olimpico di Vicenza del 1580, capolavoro di Andrea Palladio. Questi due teatri veneziani sono caratterizzati dalla presenza di palchetti e da una platea a un solo piano, come si vede ancora oggi nei teatri all’italiana e non solo.
I Michiel e i Tron si facevano una sana competizione, cercando di attirare le migliori compagnie, i migliori attori e invitando a occupare i palchi le famiglie più ricche della città. Era infatti in forma di abbonamento stagionale che i due impresari facevano i propri profitti. Sicuramente per differenziarsi nella ricca offerta veneziana, dopo alcuni decenni, il Tron decide di abbandonare la prosa in favore del teatro musicale, l’opera, fiutando anche il peso sempre maggiore che questa forma di intrattenimento artistico sta prendendo a Venezia e in Europa. Si tratta ancora di una novità, nata da qualche decennio dall’attività della Camerata de’ Bardi, una compagnia teatrale attiva alla corte fiorentina. Ma è a Roma e soprattutto a Venezia che l’opera trova rapidissimamente un pubblico entusiasta.
La nuova inaugurazione del 1637
Il teatro della famiglia Tron, ormai noto come Teatro San Cassian, viene reinagurato nel 1637 per la stagione di Carnevale come teatro interamente dedicato all’opera in musica. È una delle micce che si accendono nel Seicento italiano che determinano la diffusione di una forma di arte oggi diffusa globalmente. Come scrive lo storico del teatro Lorenzo Bianconi, “per l’Italia e per l’Europa intiera la novità più vistosa del Seicento musicale fu, fuor d’ogni dubbio, l’introduzione del teatro d’opera. La sua vistosità è commisurata alla complessità delle risorse che vi concorrono: nessun’altra forma di produzione artistica moderna fa ricorso a forze produttive e organizzative tanto costose, numerose e differenziate” (Il Seicento, 1982). A questo boom del teatro musicale il San Cassian dà un contributo fondamentale introducendo alcune novità rispetto alla gestione del teatro dell’epoca.
Le novità
Sul piano tecnico, una innovazione importante è l’introduzione dei fondali dipinti intercambiabili che permettevano una maggiore varietà di rappresentazione e hanno fatto nascere una forma di arte nuova, quella dei pittori di scenografie. Ma è l’idea di vendere i biglietti per le recite quella più impensabile. Fino a quel momento il teatro era stato un divertimento da nobili, riservato agli invitati alle sale private dei palazzi. Oppure era un’attività da piazza, con strutture mobili montate per l’occasione. L’idea di uno sbigliettamento era contraria all’idea elitaria dell’arte di allora. La possibilità di comperare il biglietto per entrare a teatro non significa che al San Cassian poteva accedere chiunque, ma rimane il fatto che il Tron è il primo teatro pubblico per l’opera mai concepito.
Un’altra novità introdotta fin dall’inaugurazione è la creazione del programma di sala. Serviva allora come oggi a informare il pubblico, ma era anche una fonte di guadagno, perché a un certo punto verrà venduto e non solo distribuito. La diffusione della pratica della stampa del programma permette inoltre di ricostruire le stagioni teatrali. Così, per esempio sappiamo, che il San Cassian fu inaugurato con una Andromeda su libretto di Benedetto Ferrari con musiche di Francesco Manelli. Forma architettonica con i palchi, sbigliettamento e, in parte, anche la stampa dei programmi di sala, fanno del San Cassian uno dei più importanti, se non il più importante teatro all’italiana della storia: sarà il modo di intendere il teatro che avrà la massima fortuna nell’Ottocento, sostenuto anche dalla diffusione del melodramma.
La Fenice
Che cosa rimane oggi del Teatro San Cassian? Del Michiel non si hanno più notizie già dopo il 1583. Il teatro fondato dai Tron, invece, rimane in attività fino alla fine del XVIII secolo quando nasce la Fenice. Nel 1812, tuttavia, i nuovi governanti austriaci decidono che il lotto di terreno su cui sorge va liberato per fare spazio a nuove abitazioni civili. Finisce così la storia del più innovativo teatro veneziano. O forse no. Nel 2015 Paul Atkin un inglese un po’ pazzerello ha cominciato a studiare la fattibilità di ricostruire a Venezia il San Cassian. Nel 2018 è nata una società che sta raccogliendo fondi e sostegno per il progetto. Chissà che proprio come la Fenice, anche il San Cassian non possa tornare un giorno in vita.