(Credits La Biennale di Venezia - Foto ASAC, photo by Jacopo Salvi)
Venezia is always a good idea. Ma quando a Venezia si abbina anche la Mostra del Cinema, l'idea diventa ancora più buona, e il viaggio praticamente irrinunciabile. Il clima che si respira al Lido durante il festival ricalca il glamour che questa location offriva a inizio Novecento, con attori e registi famosi pronti a farsi fotografare, eventi esclusivi e di alto profilo culturale e soprattutto con pellicole destinate a fare strada sia al botteghino sia nel cuore della critica e degli spettatori. C'è l'occasione di conoscere colleghi della stampa internazionale, e di confrontarsi sulle dinamiche lavorative per scoprire come cambiano da paese a paese, parlare di pellicole mai arrivate in Italia e commentare insieme le novità: l'atmosfera di confronto della Mostra del Cinema è impareggiabile, quasi quanto i film in gara.
Anche quest'anno la selezione è golosa, quindi ci si organizza per vedere minimo quattro film al giorno. Almeno all'inizio, perché nella seconda settimana la mancanza di sonno e l'overdose di caffeina causano palpitazioni e sovrapposizione mentale delle trame: lì è l'esperienza a farla da padrone, ma in un periodo in cui i cinema erano blindati a causa del Covid forse ci siamo disabituati ai film e all'emozione della sala, quindi meglio essere prudenti perché siamo un po' fuori allenamento. A proposito di Covid: le norme sono giustamente stringenti, e ci si sente al sicuro, per quanto possibile con una pandemia in corso. Le maschere vigilano attentamente e sono pronte con il laser per segnalare chi ha la "curiosa" idea di togliere la mascherina in sala. Certo, fa un certo effetto che il segnalato ci riprovi qualche minuto dopo, e torni su più miti consigli solo dietro minaccia di essere fatto uscire, ma la colpa non è certo dell'organizzazione. I biglietti sono tutti numerati con obbligo di prenotazione per pubblico e accreditati, e se anche rimanessero posti liberi all'ultimo momento non potrebbero essere occupati, perché al lido il contact tracing è preso sul serio. Ci si sente al sicuro dicevamo, ma il prezzo è alto.
Per un giornalista con accredito "periodical" prenotare i film è diventato un lavoro: si parte 72 o 70 ore prima delle proiezioni, si entra in piattaforma in orario perfetto con sveglia appositamente settata alle sei del mattino e, dopo meno di un minuto, i posti sono esauriti. All'inizio si è pensato a un problema tecnico, ma poi i giornalisti con accredito "periodical" hanno confrontato i posti liberi con i colleghi con accredito "daily": dove i primi non trovavano posto, i secondi avevano ancora una vasta scelta. Non siamo qui per esprimere giudizi sul sistema, ma ci limitiamo a rilevare che la maggior parte delle testate web ha un accredito "periodical", ma deve comunque fornire una copertura quotidiana: sappiamo che Google è affamato, e se parli di un argomento quando lo hanno già fatto tutti lui non perdona e ti relega nell'oblio.
Una scena di The power of the dog (in arrivo la nostra recensione) - Credits: Netflix
In ogni caso a un certo punto ci si rassegna e ci si organizza alla meglio, cercando di non prendersela troppo per le prenotazioni perse. Riuscire a prenotare un film, infatti, è questione di velocità e di fortuna. Devi entrare in piattaforma almeno 10 minuti prima, in certi casi fare una coda virtuale (per tradizione, a Venezia le code non devono mai mancare!) e poi cominciare ad aggiornare compulsivamente la pagina, sperando di accedere nell'esatto momento in cui apre la prenotazione: in quel caso riesci ad accaparrarti un posto, altrimenti, anche se vedi delle caselle verdi che indicano i posti ancora liberi, non ci puoi cliccare sopra, perché lo sta già facendo qualcun altro. Devi comunque tentare il tutto e per tutto e provare con tutte le caselle verdi, sperando di beccare quella giusta, ma le probabilità non sono dalla tua se hai un accredito blu. Il problema è che per fare un lavoro di refresh fatto bene… non fai altro. Guardi film e refreshi la pagina. Refreshi la pagina e guardi film. In questa situazione è comprensibile che parte della stampa si affidi al lavoro di assistenti virtuali che entrano nella piattaforma al posto loro. Anche perché in sala il cellulare non si può usare (se lo fai, giustamente, vieni accompagnato fuori, quando non te lo sigillano dentro un sacchetto come è successo per la proiezione di Dune, sia mai che qualche giornalista voglia darsi alla pirateria per pagarsi l'assistente virtuale), quindi o guardi un film o prenoti quello successivo. C'è anche, comunque, una grossa fetta di stampa che non si arrende, e cerca di salvare capra e cavoli: ed ecco che, in piena proiezione, chi è più vicino all'uscita dà il via, e una processione di giornalisti dal plebeo accredito "periodical" si dà appuntamento fuori dalla sala (alcuni anche con tre cellulari) prenotando il film per 70 ore dopo. Lì va abbastanza liscia, ci si mette d'accoro: "Io prendo la platea a destra!" dice uno, "Io vado in galleria a sinistra!" risponde un altro. Sarà l'organizzazione certosina, o il fatto che nella seconda settimana la concorrenza è minore, ma per una volta i posti verdi rimangono verdi. La processione si inverte e torna in sala, tra gli sguardi solidali dei colleghi con accredito "daily" e quelli grati di chi si vede restituire il cellulare.
Il valzer del refresh continua 24 ore prima della proiezione, perché riaprono le prenotazioni per tutti gli accrediti (per esempio per gli studenti di cinema o per gli over 60), quindi c'è una seconda occasione per accaparrarsi le proiezioni perse. Se poi sei particolarmente sfortunato, comunque, prenoti il film giusto ma ti arriva il biglietto sbagliato. Il che può diventare un problema, perché dopo tre assenze, l'accredito viene bloccato. Per fortuna c'è da dire che il personale dell'ufficio stampa è molto cortese e disponibile, e cerca di rimediare quando lo staff della piattaforma di prenotazione ignora le tue email.
Ma come funzionava prima del covid? Anche allora gli accrediti "daily" erano favoriti: avevano una coda a parte, che scorreva più veloce in modo che potessero accaparrarsi i posti migliori. La stessa cosa, quindi? Non proprio: con le code fisiche se ti presentavi un'ora prima dell'inizio del film eri ragionevolmente certo di riuscire a gustarti anche le pellicole più attese. Certo, non era una botta di vita stare un'ora sotto il sole ad aspettare, ma è risaputo che in coda si scrivono i pezzi migliori, si legge tutto Ciak e si origliano le conversazioni dei colleghi più esperti. La coda fisica, insomma, era una seccatura, ma era più democratica. Ora invece che scrivere articoli o documentarci dobbiamo fare refresh. Continuamente. E sì, alla fine i film riesci a vederli quasi tutti, magari in posti scomodi e saltando pranzi e cene, ma se sei costante e non ti arrendi ce la fai.
In questa situazione, l'atteggiamento dei giornalisti è paragonabile a quello di un adolescente che scopre Tinder: va bene un po' tutto, non si va troppo per il sottile, ci si registra a qualsiasi proiezione disponibile dei film che si vorrebbero vedere, tanto poi al limite ci si può cancellare fino a due ore prima della proiezione se se ne trova una che renda possibile almeno bersi un caffè. La piattaforma, poi, ha l'ardire di chiederti il motivo della cancellazione. All'inizio ti viene da risponderle "Ma secondo te??" per poi passare al "Non sei tu, sono io. Anzi no, sei proprio tu!". Nei momenti di maggior pressione, procederesti volentieri con "Mi ha investito un vaporetto", ma siccome ogni secondo è prezioso per refreshare qualcos'altro, ti limiti a copiare e incollare un più civile "si è liberato un posto per una proiezione a me più congeniale".
Perché facciamo tutto questo, magari coinvolgendo amici e parenti nell'operazione di refresh? Per il cinema. Perché i film sono di alto livello. Perché dopo due anni in cui le sale erano aperte a singhiozzo tutto questo ci mancava quasi come ci manca Luchino Visconti. Perché Venezia è sempre Venezia ed è ancora una buona idea!