SOCIETÀ

Vita quotidiana, governi, donne: gli impatti percepiti della pandemia

Oltre al costo in vite umane, la pandemia di coronavirus sta avendo moltissimi altri impatti sulle nostre vite. Abbiamo imparato a mantenere le distanze quando ci incontriamo in pubblico, alcuni servizi e alcune attività che prima svolgevamo sono ora impossibili, ci siamo abituati a portare la mascherina. In modi e fasi diverse abbiamo subito limitazioni alla nostra mobilità - nazionale e internazionale - con ripercussioni sulle nostre vite private e sulle attività economiche. E l’apice è stato sicuramente il periodo di lockdown, quando siamo stati chiusi in casa per limitare la circolazione del virus nel periodo peggiore in termini di sovraffollamento del sistema sanitario nazionale.

Cambiamenti e limitazioni hanno però impatti più a lungo termine sulla nostra percezione, che per la prima volta sono stati saggiati a livello internazionale da un sondaggio del Pew Research Center, un istituto di ricerca sociale americano, che durante l’estate ha cercato di quantificare la percezione degli effetti della pandemia su 14 paesi “dall’economia avanzata”, come vengono indicati. Si tratta di paesi dove è stato possibile, fanno sapere i due autori principali, Kat Devlin e Aidan Connaughton, effettuare interviste telefoniche a un numero di persone sufficiente a rappresentare un campione rappresentativo di ognuna di queste società.

“I governi hanno risposto adeguatamente”

Fin dal titolo dell’analisi, La maggioranza approva la risposta nazionale a Covid-19 in 14 economie avanzate, Devlin e Connaughton sottolineano come la percezione delle misure messe in campo dai diversi paesi abbia incontrato il favore dei cittadini. Quasi 3 cittadini su 4 tra gli oltre 14 mila intervistati hanno ritenuto il lavoro del proprio governo “buono” nel gestire la crisi. In realtà c’è una grossa differenza tra la percezione dei danesi, per il 95% dei quali il governo ha risposto bene alla crisi, e degli spagnoli, poco meno della metà dei quali reputa inadeguato lo sforzo effettuato.

Ci si poteva probabilmente aspettare che statunitensi e britannici, con i tentennamenti dei governi Donald Trump e Boris Johnson, fossero i più divisi sulla percezione della risposta dei rispettivi governi: più della metà di loro ritengono che la crisi sia stata gestita male.

In particolare, per gli Stati Uniti, l’analisi del Pew Research Center individua una differenza in termini di appartenenza politica: “il 76% dei Repubblicani sostiene che il governo abbia fatto un buon lavoro, mentre solo un quarto dei Democratici la pensano allo stesso modo: una differenza di 51 punti percetuali”.

Lo stesso vale per i britannici: “la maggioranza di chi vota tendenzialmente a destra (55%) ha dato un voto positivo alla gestione nazionale della pandemia guidata dal governo conservatore di Boris Johnson, ma solo il 26% di coloro che votano a sinistra ha la stessa opinione”.

Paesi più divisi

In generale, secondo quanto emerge dalla ricerca, la maggior parte degli europei (53%) ritiene che oggi il proprio paese sia più diviso rispetto a prima. A livello più generale la risposta è divisa perfettamente a metà: per il 48% il proprio paese è più diviso, per un altro 48% è più unito, per il resto non sa o non risponde.

Ma, notano gli autori, va sottolineato come sia difficile imputare alla pandemia la variazione di questa percezione. Dall’arrivo del coronavirus, tutti i paesi hanno subito gli effetti di una recessione globale e, per alcuni in particolare, gli effetti sulla società delle proteste legate al movimento Black Lives Matter. Ma in un paese come la Danimarca, la cui risposta al coronavirus è stata spesso citata come modello di efficacia, 7 intervistati su 10 ritengono che il coronavirus abbia maggiormente unito i cittadini. E pare una percezione diffusa anche nella maggioranza (54%) degli intervistati italiani. 

La maggior parte degli intervistati europei (53%) ritiene che la pandemia abbia avuto come effetto una maggiore divisione del proprio paese

Sul fronte internazionale, molti degli intervistati ritengono che una maggiore cooperazione internazionale avrebbe inoltre aiutato a contenere il numero dei contagi. La mancata cooperazione, secondo il racconto dei ricercatori, è maggiormente sentita tra i cittadini europei. Lo pensa il 54% degli italiani, il 61% degli svedesi, il 62% di olandesi e francesi, il 65% degli spagnoli, il 67% dei britannici e il 71% dei begli. Opinione in maggioranza contrarie, invece, arrivano dalla Germania e dalla Danimarca: il 56% e il 78%, rispettivamente, degli intervistati ritiene che una maggiore cooperazione non avrebbe avuto un effetto sul numero dei casi.

Italia: l'aumento delle preoccupazioni

Le interviste del Pew Research Center sono state raccolte tra il 10 giugno e il 2 agosto, quindi in una fase della pandemia che, per l’Italia, non presentava le preoccupazioni di queste settimane dovute all’aumento del numero di casi positivi registrati. La situazione, non solo per il nostro paese, è cambiata attorno a Ferragosto, con l’introduzione dell’obbligo del tampone per chi rientrava dalle vacanze in alcune località, italiane e non. A raccontare questo cambiamento sono i dati dell’ultimo sondaggio Demos & Pi per la Fondazione Unipolis pubblicati all’inzio di settembre.

Questa preoccupazione si riflette anche sull’opinione di quanto durerà la pandemia. L’idea che potesse durare solo pochi mesi a marzo era condivisa dal 73% degli intervistati, ad agosto il dato è sceso fino al 21%. Mentre è aumentato dal 16% al 51% il numero degli intervistati che pensano che durerà almeno un anno; e dal 3% al 17% chi ritiene che durerà più anni.

Valutazione dell’operato dei governi

Sempre il sondaggio Demos & Pi ha anche misurato quanto gli intervistati ritengano adeguate le misure adottate dal governo. Alla domanda se le misure siano state eccessive, ad agosto scorso 4 persone su 5 hanno risposto che anzi ritengono si debba prolungare l’applicazione delle norme per il contenimento della pandemia in vigore oggi.

Il dato è in linea con quanto rilevato dal Pew Research Center: il 74% degli interpellati ritiene che il governo italiano abbia fatto un buon lavoro. È un’opinione che si accompagna, secondo l’analisi di Ilvo Diamanti su Repubblica, a un generale buon momento di gradimento per il governo e in particolare per il premier Conti. 

 

La pandemia ha avuto effetti negativi particolarmente accentuati su Spagna, Stati Uniti e Regno Unito, cioè sui paesi - tra i 14 analizzati - dove il virus ha colpito maggiormente.

L’effetto sul gradimento del governo di questi paesi è certificato anche da YouGov, un istituto di indagine sociale britannico, che dall’inizio della pandemia misura in tempo reale il gradimento di un gruppetto di governi da tutti i continenti. I risultati sono a disposizione sul sito dell’istituto attraverso una serie di dashboard interattive (non è però raccolto il dato sulla Spagna).

Insomma, gli effetti del coronavirus continueranno a essere protagonisti del discorso pubblico nei mesi a venire, soprattutto negli Stati Uniti che si avvicinano alle elezioni presidenziali.

Le donne sono le più colpite

Già ad aprile, la giornalista e attivista Caroline Criado-Perez aveva sottolineato in un’intervista al settimanale NewScientist (che trovate integrale qui sotto) come le donne fossero generalmente più colpite dalla pandemia. L’autrice di Invisibili. Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano (Einaudi, 2020) sottolineava come, per esempio, i dispositivi di protezione individuale usati dagli operati sanitari fossero progettati per i corpi maschili, senza prendere in considerazione le differenze anatomiche tra i due sessi (anche semplicemente le dimensioni medie di mani e teste), esponendo potenzialmente più operatrici al rischio di contagio. 

A diversi mesi di distanza, la ricerca del Pew Research Center certifica come gli effetti di Covid-19 sulla vita quotidiana siano più sentiti dalle donne rispetto agli uomini. A registrare la maggiore differenza di percezione, a sfavore delle donne, sono a parimerito Svezia, Stati Uniti e Francia con un significativo +15%.

Scrivono i ricercatori del Pew Research Center: “I cambiamenti che le donne hanno esperito durante la pandemia possono presentarsi sotto diverse forme e i dati sottolineano come i peso sulle spalle delle donne sia incrementato sia sul posto di lavoro che in casa”. Le ragioni sono note da tempo: “le donne svolgono più lavoro non pagato in casa rispetto agli uomini, come per esempio la cura dei figli e le faccende domestiche, e questo potrebbe essere amplificato dalla chiusura delle scuole”. Inoltre, le donne svolgono più degli uomini lavori part-time, che sono stati più frequentemente interrotti durante la pandemia, e tendono a lavorare maggiormente in settori che sono stati più colpiti dalle norme di contenimento della pandemia.

Come ha dimostrato il libro di Criado-Perez, la disuguaglianza tra uomini e donne è un tema enorme e, nonostante le iniziative degli ultimi anni, largamente invisibile, soprattutto nel dibattito pubblico sugli effetti del coronavirus.

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