SCIENZA E RICERCA
La pandemia che ci aspetta: malattie (ri)emergenti
Theodosius Dobzhansky, eminente genetista e biologo evoluzionista, sosteneva che “nulla in biologia ha senso se non alla luce dell'evoluzione”. E una delle spinte evolutive più forti è da sempre la lotta infinita tra gli animali e i loro patogeni: virus, batteri e parassiti in grado di causare malattie. I microrganismi patogeni proliferano rapidamente, mutano i loro geni frequentemente, e riescono ad adattarsi e a superare le linee di difesa più semplici (e a volte, purtroppo, anche quelle più complesse). D’altro canto, l’evoluzione degli animali ha messo in campo risposte complesse tra cui la riproduzione sessuata – che pur avendo un grande “costo” genera però variabilità genetica – e lo sviluppo di un sistema immunitario sempre più elaborato. Così, in aggiunta a recettori diretti contro strutture che sono comuni a molti microrganismi ma assenti sulle cellule animali, e che permettono quindi di discriminare tra "amico" e "nemico", i vertebrati possiedono i linfociti, cellule che esprimono recettori i cui geni sono mutati a un ritmo così straordinario che ogni linfocita neoformato è fornito di un recettore con specificità diversa. Il numero di possibili recettori dei linfociti T è stimato intorno a 1015, il che rende il nostro sistema immunitario potenzialmente in grado di difenderci dall’attacco di ogni microbo. Nonostante ciò, e a causa della loro estrema propensione alla variabilità genetica e alla co-evoluzione con il nostro sistema immunitario, gli agenti patogeni rappresentano ancora un enorme problema per l’uomo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente identificato le malattie emergenti che potrebbero causare epidemie nel prossimo futuro, e per le quali al momento non esistono contromisure adeguate: la febbre emorragica Congo-Crimea (trasmessa dalla puntura di zecche e provocata da un virus del genere Nairovirus presente in Africa, Medio Oriente e Asia); la malattia da virus Ebola (patologia mortale che si è già manifestata in modo epidemico in Africa Occidentale tra il 2014 e il 2015); MERS CoV e SARS (sindromi respiratorie causate da coronavirus); la febbre di Lassa (endemica tra i roditori dell’ Africa occidentale); l’infezione da Nipah virus (identificato solo nel 1998); la febbre della Rift Valley e la Chikungunya (malattie virali trasmesse dalle zanzare); la malattia da virus Zika (dichiarata all’inizio del 2016 emergenza internazionale di salute pubblica); e infine la SFTS (Severe Fever with Thrombocytopenia Syndrome; una nuova malattia emergente identificata in Cina). Per nessuna di queste malattie esiste ancora un vaccino.
Se il rischio di epidemie virali è sicuramente preoccupante, molti scienziati ritengono più grave e pressante il problema della antibiotico-resistenza dei batteri. Ogni anno in Europa si hanno circa 37 mila decessi dovuti a infezioni da batteri antibiotico-resistenti. Nel 2014, il primo ministro inglese Cameron ha commissionato uno studio per capire le dimensioni del problema e identificarne le soluzioni. Il risultato è il rapporto Review on Antimicrobial Resistance, in cui si stima che nel 2050 le infezioni batteriche causeranno circa 10 milioni di morti all’anno, superando di molto i decessi per tumore (8,2 milioni). L’impatto sulla spesa sanitaria sarà inoltre elevatissimo, con una stima che supera i 100 trilioni di dollari. Lo studio identifica anche le strategie per evitare che questo “ritorno al medioevo” possa verificarsi: investimenti in ricerca e massima copertura vaccinale. I vaccini, infatti, hanno un duplice effetto protettivo: impedendo le infezioni, riducono la necessità di utilizzare antibiotici, e combattono così lo sviluppo della resistenza ai farmaci.
Se questi sono i passi necessari da compiere, risulta difficile non essere pessimisti. Gli investimenti in ricerca biomedica sono sempre più scarsi e sul fronte dei vaccini si sta assistendo da alcuni anni a una progressiva sfiducia da parte della popolazione, a cui fa seguito una allarmante riduzione della copertura vaccinale. Questo significa che alla lista delle malattie emergenti dovremo aggiungere malattie che credevamo dimenticate e che possono riemergere a causa del calo di vaccinazioni? È possibile. La poliomielite, per esempio, che è stata con successo eradicata in gran parte del mondo, si sta diffondendo nuovamente: nel 2015 l’OMS ha reso noto che da Pakistan, Siria e Camerun il virus si è diffuso rispettivamente in Afghanistan, Iraq e Guinea Equatoriale, e che in aggiunta a questi paesi il virus è presente in Etiopia, Israele, Somalia e Nigeria.
La guerra tra uomo e agenti patogeni non è quindi finita: l’uomo, grazie alla sua evoluzione culturale, ha messo in campo nuove e potentissime armi – i vaccini e gli antimicrobici – che hanno di fatto permesso di sconfiggere la maggior parte delle malattie infettive e hanno contribuito in maniera decisiva a portare l’aspettativa di vita media dai 30-40 ai 70-80 anni. Serve quindi continuare a lottare, investendo in ricerca scientifica e vaccinando la popolazione, per proteggere noi, i nostri figli e le generazioni future. L’alternativa è il ritorno al medioevo.
Antonella Viola