IN ATENEO

Sono stati rilevati per la prima volta i valori di ossigeno nel sangue arterioso a 40 metri di profondità

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Valori arteriosi di ossigeno a 40 metri di profondità: i risultati della ricerca del team Unipd

Sono stati presentati in anteprima a Tel Aviv a settembre 2019 i risultati conclusivi dello studio tenuto da un team di ricercatori del dipartimento di Scienze biomediche dell'università di Padova che ha finalmente misurato in uno scenario reale di immersione in apnea a 40 metri i valori arteriosi di pressione parziale di ossigeno e di anidride carbonica in profondità e alla riemersione, prima del breaking point (rottura dell’apnea). La ricerca ha coinvolto il gruppo di apnea della piscina Y-40 di Montegrotto Terme, la più profonda al mondo, con la coordinazione del team medico scientifico supportato dal centro iperbarico Atip di Padova

L'attività di apnea si caratterizza per essere un'impegnativa disciplina sportiva, che sottopone i suoi atleti a un enorme stress e per questo motivo è un interessante modello di ricerca: oltre all'implicazione sportiva, lo studio potrà dare nuova informazioni relative alla sindrome della sleep apnea (ovvero il disordine del sonno che blocca la respirazione creando fasi di apnea) o della Sudden infant death syndrome (SIDS - la cosiddetta morte in culla).

"Seguendo le leggi dei gas (Boyle e Dalton) questo modello ci ha permesso di conoscere con esattezza i valori massimi e minimi di concentrazione (o pressione parziale) di ossigeno nel sangue arterioso, numeri che sono alla base dei meccanismi di azione dell’ossigenoterapia iperbarica e dei limiti di sicurezza. L’ossigeno - spiega il professor Gerardo Bosco, direttore del Master in Medicina subacquea e iperbarica dell’Università di Padova e responsabile della sperimentazione - può infatti causare una crisi convulsiva iperossica se in eccesso in soggetti predisposti o una sincope ipossica quando raggiunge valori criticamente bassi durante l’ascesa in apnea. Gli atleti guidati dagli istruttori hanno effettuato 3 immersioni in apnea con una cannula inserita nell’arteria radiale del braccio non dominante: la prima restando in superficie, poi in profondità trascinati a -42 metri da una slitta e infine con la sola forza pinneggiando sempre fino in profondità".

"Fino ad oggi, - continua il prof. Bosco - i valori di ossigeno nel sangue arterioso erano stati soltanto calcolati con delle formule, oppure misurati direttamente ma nell’ambiente simulato di una camera iperbarica. Con questi esperimenti invece abbiamo misurato per la prima volta tali valori in ambiente reale. Nel primo lavoro abbiamo trovato una pressione parziale di ossigeno arterioso di circa 300 mmHg a 40 metri di profondità, ben 3 volte rispetto ai valori normali: ciò è dovuto all’effetto dell’aumento di pressione registrato andando in profondità. Ma nell’ultimo esperimento, non ci aspettavamo di leggere sull’emogas analizzatore valori di ossigeno in riemersione di ben 18 mmHg! Trovare numeri così bassi è stato sorprendente. Soprattutto se consideriamo che i valori di normalità si aggirano attorno ai 70 mmHg e non abbiamo riscontrato alcun segno o sintomo foriero di complicanze nei nostri apneisti".

L’iperossia di profondità era, infatti, già stata confermata in precedenti simulazioni e dal gruppo di ricerca patavino in collaborazione con la Duke University (North Carolina, US) e il TeamHealth Research Institute del Tampa General Hospital (Florida, US). Questa volta, concentrandosi sui livelli di gas al termine dell’apnea, sono stati riscontrati valori estremi e mai visti prima che contribuiranno ad ampliare le conoscenze di fisiologia umana.

In particolare, questi risultati saranno utili per meglio comprendere e prevenire il fenomeno della sincope ipossica da risalita durante l’apnea, evento che colpisce sia atleti d’élite, sia apneisti amatoriali in tutto il mondo. Inoltre, queste scoperte avranno importanti risvolti clinici dalla pediatria alla terapia intensiva, passando per la medicina d’emergenza e le discipline mediche internistiche, ambiti dove l’interruzione dell’attività respiratoria e la conseguente ipossia sono responsabili di patologie invalidanti o addirittura pericolose per la vita.

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