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In Salute. Quando il sangue è raro: cosa significa e perché conta

Quest’estate un gruppo di ricercatori francesi ha individuato il 48° gruppo sanguigno. È stato battezzato “Gwada-negativo” ed è stato scoperto in una donna della Guadalupa (Antille francesi) la quale si era sottoposta a dei test perché aveva bisogno di una trasfusione. I medici, tuttavia, si sono accorti che il suo sangue non era compatibile con quello di nessuno dei donatori disponibili, fratelli inclusi. Da lì è cominciata l’indagine che ha portato all’identificazione di un sistema antigenico completamente nuovo.

Questa storia potrebbe aver fatto aggrottare la fronte a più di una persona: ma come, i gruppi sanguigni non sono solo otto? I “classici” A+, A-, B+, B-, AB+, AB-, 0+ e 0-.
Sì e no. Le lettere “A” e “B” e i segni “+” e “–” indicano soltanto due tra i molti sistemi di classificazione del sangue umano che descrivono le differenze tra gli antigeni che caratterizzano i globuli rossi, determinando la compatibilità tra donatore e ricevente durante una trasfusione.

“Sulla superficie dei globuli rossi si trovano delle molecole, denominate antigeni, che interagiscono con il sistema immunitario”, spiega a Il Bo Live Ursula La Rocca, direttrice dell’area sanitaria del Centro Nazionale Sangue. “Di questi antigeni, ad oggi, ne sono stati classificatioltre 700 tipi, raggruppati in sistemi. Il più noto di questi sistemi è l’AB0, da cui derivano i gruppi sanguigni che tutti conosciamo: A, B, AB, 0.
L’Rh è un altro di questi sistemi e conta circa cinquanta antigeni, i cui cinque più importanti vengono classificati con delle lettere, “D”, “E”, “e”, “C” e “c”. Quando si parla di determinare il fattore Rh, verifichiamo la presenza o meno, sui globuli rossi, dell’antigene “D”.

In rarissimi casi (meno di 50 al mondo), è possibile identificare il fenotipo Rh null, caratterizzato dalla completa assenza del sistema Rh. L’Rh null, anche definito “sangue d'oro” (Golden blood), è il fenotipo eritrocitario più raro al mondo. Fu descritto per la prima volta nel 1961 in una donna aborigena australiana e nominato “Rh null” dal genetista italiano Ruggero Ceppellini. È caratterizzato da un’anomalia genetica estremamente rara in cui i globuli rossi di un individuo non esprimono alcuno degli antigeni del sistema Rh. Una persona con sangue Rh negativo (Rh-) manca solo dell'antigene D, ma chi è Rh null manca di tutti gli antigeni Rh (D, C, c, E, e, ecc.)”.

“Gli antigeni eritrocitari appartenenti ai sistemi AB0 ed Rh, il più noto dei quali è quindi l’Rh(D) (che consente di attribuire il “positivo” o “negativo” a ciascun fenotipo) sono sicuramente i più diffusi, ma non sono gli unici”, prosegue La Rocca. “Gli altri antigeni sono anche definiti “antigeni minori”, o antigeni “non AB0 e non Rh”. Alcuni dei sistemi meno conosciuti sono: MNS, P1PK, KEL, FY, JK, JR, LAN e VEL.

Un donatore viene definito di gruppo raro quando il suo assetto antigenico viene riscontrato al massimo in un individuo ogni mille soggetti esaminati. Recentemente, nel 2022 e 2024 rispettivamente, sono stati scoperti gli ultimi sistemi ufficialmente riconosciuti, ossia il sistema Er (ISBT 044), codificato dal gene PIEZO1, con rilevanza clinica nella malattia emolitica del feto e del neonato (MEFN) (spesso causata da un’incompatibilità tra il gruppo sanguigno della madre e quello del feto, ndr) e il sistema MAL (ISBT 047)”.

Il sangue della donna della Guadalupa è stato invece ricondotto a una mutazione di un gene chiamato PIGZ, che produce un enzima a sua volta fondamentale per consentire l’aggiunta di un particolare tipo di zucchero a una molecola che si trova sulle membrane cellulari. L’assenza di questo zucchero altera la composizione di una molecola presente sulla superficie dei globuli rossi, determinando la comparsa di un nuovo antigene, finora mai osservato, denominato Gwada.
Non è noto se esistano altre persone al mondo che presentano la stessa condizione. Infatti, i medici non sono riusciti a trovare un donatore compatibile con la paziente.

“Le implicazioni cliniche per una persona con un gruppo sanguigno raro riguardano la necessità di supporto trasfusionale, e sono legate alla difficoltà di reperire sangue compatibile, e ai potenziali rischi di reazioni avverse”, afferma La Rocca. “Per tale motivo esistono le banche di sangue raro. Questi centri sono specializzati nell’identificazione e nella conservazione di sangue con caratteristiche antigeniche particolari, reclutano donatori con assetti genetici rari e conservano le unità di sangue congelate a temperature bassissime per renderle disponibili, a livello nazionale e internazionale, quando necessario”.

In Italia questo compito è svolto dalla Banca di emocomponenti di gruppi rari del Policlinico di Milano, dove si lavora per fare in modo che, in caso di emergenza, sia possibile reperire sangue compatibile anche per i pazienti con fenotipi estremamente rari, per i quali una semplice trasfusione può trasformarsi in una corsa contro il tempo.

Conoscere il proprio gruppo sanguigno e quello dei propri cari può essere utile durante un’emergenza medica ed è fondamentale in determinati casi, ad esempio nelle gravidanze, per verificare che non ci siano incompatibilità tra la madre e il feto e adottare, eventualmente, le misure necessarie”, segnala La Rocca. “Qualora si dovesse scoprire di avere un gruppo sanguigno raro, è opportuno informare il proprio medico di base, ed eventualmente contattare una banca di sangue raro. Ciò consente in primo luogo di mettersi a disposizione come donatori e donatrici, ma anche di essere gestiti al meglio in caso di un’emergenza”.


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Infine, la scoperta di nuovi gruppi sanguigni non ha solo un valore clinico, ma rappresenta anche un importante passo avanti per la ricerca scientifica in senso più ampio. Analizzare questi gruppi consente infatti di approfondire la comprensione dell’evoluzione del sangue umano, dei suoi possibili legami con la protezione o la vulnerabilità a determinate malattie e delle basi genetiche che distinguono i diversi gruppi sanguigni. “Scoprire nuovi gruppi sanguigni ci permette di migliorare sempre di più la sicurezza trasfusionale, ma allo stesso tempo consente di comprendere meglio le complesse funzioni svolte dal sangue in generale e dagli antigeni eritrocitari in particolare, con potenziali implicazioni anche nello sviluppo di terapie mirate”, conclude La Rocca.

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