CULTURA

Il punto, il colore e l’anima di Tancredi

“Tancredi, con la sua pittura, crea una nuova filosofia poetica per coloro che non posseggono né telescopi né razzi: quanto fortunati noi che abbiamo tali cristallizzazioni da trasportarci sani e salvi, verso altri mondi”. Peggy Guggenheim si innamora di quel giovane artista talentuoso e fragile e decide di sostenerlo, mettendolo sotto contratto per promuoverne l’arte, così come aveva fatto (solo) con Jackson Pollock. “Fui la prima a dare un contratto a Pollock e a vendere con grande fatica agli inizi i suoi quadri nella mia galleria Art of This Century a New York – scriveva la mecenate americana - Dopo molti anni a Venezia non più gallerista ma dedita esclusivamente al completamento del mio museo, feci per il giovane Tancredi una delle rare eccezioni alla regola che mi sono imposta”.

Senza titolo, Tancredi Parmeggiani, 1950-51

Tancredi Parmeggiani, nato a Feltre nel 1927, incontra per la prima volta Peggy nel 1951 e con lei dunque decide di restare, fermandosi a Venezia, per vivere e lavorare in uno studio messo a sua disposizione a Palazzo Venier dei Leoni, dove nel 1954 viene allestita una sua mostra.

Fino al 13 marzo 2017, proprio a Palazzo Venier dei Leoni a Dorsoduro, negli spazi abitati da Peggy Guggenheim e per qualche anno dallo stesso Tancredi, è allestita La mia arma contro l’atomica è un filo d’erba. Tancredi. Una retrospettiva, frase con cui risponde ai conflitti dell’epoca, dal Vietnam alla guerra in Algeria, fino alla tensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica. A curare l’esposizione è Luca MassimoBarbero che, nel saggio contenuto nel catalogo, così lo definisce: “Pittore per ‘destino’, Tancredi è tra i protagonisti della scena artistica contemporanea europea degli anni Cinquanta: talento precoce e irrequieto, ossessivo ed ‘esistenziale’, capace di cogliere e reinventare le novità artistiche sulla scena internazionale, di cui in breve tempo brucia e supera ogni tappa evolutiva, e che presto sarebbe andato incontro a un grande successo di critica in Italia, in Europa e in America”. E continua: “Una dote naturale sembra scorrere nel suo dipingere costante e continuo, inarrestabile appunto. La sua vis polemica, la forza con cui affronta il dipingere e la ‘missione’ dell’artista superano la norma e lo eleggono primo tra i giovani, unico e diverso”. Con oltre 90 opere esposte, la retrospettiva sancisce il ritorno a Venezia di uno degli interpreti più intensi della scena artisticaitaliana della seconda metà del Novecento, definito da Peggy Guggenheim “il miglior pittore italiano, dai Futuristi in poi”.

Potente e al tempo stesso fragilissimo, nell’arte come nella vita, Tancredi viene celebrato con una mostra che presenta la sua parabola breve ma folgorante, fino agli ultimi anni di inquietudini, contraddizioni e disperato amore per una vita che lui stesso definiva “ancora tutta da scoprire”. All’età di soli 37 anni, “sopraffatto da una crisi di smarrimento e depressione, si buttava nel Tevere dal ponte Sisto, trovando la morte”, scriveva Dino Buzzati nel 1967 sul Corriere della Sera, introducendo l’antologica veneziana che, a tre anni dalla sua morte, stava contribuendo ad alimentare il “mito” di quel “personaggio romantico… che era in un continuo travaglio di ricerca e, cercando, poteva avvicinarsi ora a Pollock, ora a Tobey, ora a Mondrian, ora a Riopelle, ora ad Hartung, ora a Kline, ora a Dubuffet, ora ad Appel e così via”. E sono le ultime opere proposte dal museo veneziano, tra colori e fiori applicati, a suscitare le emozioni più intense e contrastanti. L’esposizione accolta nella casa di Peggy racconta Tancredi iniziando con i ritratti e gli autoritratti giovanili, le prime sperimentazioni su carta del 1950-51, i lavori appartenenti alla collezione veneziana, cui si aggiungono le opere della donazione Giorgio Bellavitis, ricevuta dal museo nel 2000, e una selezione di opere donate da Peggy stessa ad alcuni musei americani: la Primavera, dal MoMA di New York, Spazio, Acqua, Natura, Spettacolo, oggi al Brooklyn Museum, o Senza titolo(Composizione), dal Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford. Lentamente, poi, si apre il respiro e, pur restando costretta in piccole stanze, la mostra sfida gli spazi offrendo al visitatore il ciclo Natura del 1954 e i dipinti eseguiti tra il 1955 e il 1959, tra cui la serie A proposito di Venezia (città che Tancredi lascia nella primavera del 1959 per trasferirsi a Milano), e le opere che rimandano alle atmosfere norvegesi. Fino all’atto finale che si esprime nei tre dipinti della serie Hiroshima (1962), esposti finalmente insieme dopo anni, e nei collage-dipinti, eseguiti tra il 1962 e il 1963, i cosiddetti Diari paesani e i Fiori dipinti da me e da altri al 101%, trionfo di vigore creativo e drammatica euforia.

L'artista Tancredi in uno scatto fotografico del 1955 eseguito da Arnold Newman

La personalità di Tancredi emerge, qui, in tutta la sua dolorosa bellezza. Il punto, “l’elemento geometrico meno misurabile che ci sia, ma il più immediato da ideare”, i tanti segni, le pennellate decise animano la sua arte accompagnandosi a profondi e toccanti pensieri che svelano l’anima di un uomo, oltre la sua arte: “Vi ricordate delle prime ore del mattino, in montagna, quando, in piena estate, il sole brucia già e avete comunque un po’ freddo, quando la luce violenta del pomeriggio sembra introdurre calcio nelle vostre ossa, indurirle, e rendere più pesante il vostro corpo sulla terra, quando si suda a salire tra i sassi e quando vi prende la mania di fiori o nocciole, quando vi sembra si realizzi il sogno della vostra infanzia, quando il piacere dell’avventura che è una pietra muschiata o la resina da masticare o tirare un sasso vi dava la certezza di voi, di essere qualcuno… In buona parte di questi quadri mi sembra che ci sia un po’ di questo”.

Francesca Boccaletto

Senza titolo, Tancredi Parmeggiani, 1960

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