CULTURA

Il sorprendente Donatello

Sorprende il Donatello svelato qualche giorno fa, in occasione della mostra in corsa al Museo Diocesano di Padova. Sorprendono l’incarnato arrossato dagli ematomi, il capo chino, la bocca aperta, il corpo inarcato, i piedi trafitti; l’umanità di un Cristo scolpito alla metà del XV secolo e solo pochi giorni fa esposto per la prima volta al pubblico dopo aver riacquistato le sue sembianze originali, grazie a un restauro preciso e paziente nei laboratori di Udine della Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici del Friuli Venezia Giulia.

Meraviglia soprattutto chi, fino a pochi anni fa, era solito vedere il Crocifisso nella sua collocazione originale, la chiesa dei Servi a Padova, e lo credeva di bronzo, ricoperto com’era da una spessa patina scura, ossidata ad arte per aumentarne la plasticità. Invece, il restauro ha “svelato” una raffinata scultura lignea e ha confermato l’ormai indubbia paternità dell’opera, restituita a Donatello solo nel 2008  grazie agli studi di Marco Ruffini e Francesco Caglioti. Un lavoro paziente e meticoloso durato un paio d’anni, quello del restauro, e cautamente deciso solo in seguito a molte indagini diagnostiche.

Per centinaia di anni quel Crocefisso è stato considerato esclusivamente un’opera devozionale; il suo prodigio si era compiuto nel corso del Cinquecento, quando la scultura aveva sudato miracolosamente sangue dal volto e dal costato. Questo bastò, pare, a farne accantonare l’importanza artistica e a far dimenticare chi ne fosse l’autore, facendo sopravanzare invece la sua importanza cultuale, che ne garantì però anche la cura e la conservazione fino ad oggi.

Il Crocifisso dei Servi prima e dopo l’intervento di restauro

La patina bronzea che l’avvolgeva fino al 2011 riconduce forse a un tentativo di nobilitare quell’opera di semplice pioppo, per avvicinarla magari ai risultati dello straordinario Crocifisso della basilica di Sant’Antonio, anch’esso realizzato da Donatello durante il suo lungo soggiorno padovano, dal 1443 al 1453. In questi giorni le due opere sono esposte una accanto all’altra, come pure assieme all’altro crocifisso donatelliano, quello della chiesa di Santa Croce a Firenze (1408-1409 circa). Viene così ricreato nel Salone dei Vescovi una sorta di Gòlgota eccezionale, che culmina nella figura di un Cristo umano, liberato dal guscio scuro e restituito a una policromia originaria che ne sottolinea la naturalezza.

Ne risulta dunque una piccolissima e preziosa mostra, solo tre pezzi, capolavori a confronto, in cui la scelta di limitarsi ai crocifissi segue chiaramente criteri tipologici e non cronologici. “Non è facile spiegare al grande pubblico com’è possibile che un unico scultore di seicento anni fa sia riuscito a realizzare, seppure nell’arco di una lunga carriera, tre immagini così sorprendentemente diverse dello stesso soggetto; e come sia riuscito, per giunta, alternando tecniche così distanti come quelle dell’intaglio ligneo e della fusione del bronzo”, rileva Francesco Caglioti. Più di trent’anni di carriera separano i due pezzi padovani dal fiorentino, esito, quest’ultimo, di un’arte ancora giovanile, sebbene già definita da un talento straordinario; nel mezzo sta l’evoluzione di un artista che passa da una formazione tardogotica all’affermazione nella pienezza del Rinascimento scultoreo.

Quando nel 1453 Donatello lasciò Padova, la sua lezione si era pienamente affermata; il suo linguaggio artistico e le soluzioni compositive che aveva elaborato fino a quel momento erano state assorbite e si sarebbero diffuse capillarmente sul territorio per almeno un decennio. In Veneto l’interpretazione donatelliana si affermò anche attraverso le opere degli allievi del maestro fiorentino, mostrando alcuni esiti originali che oggi formano il corpus della mostra “Donatello e la sua lezione”, un’esibizione parallela e complementare a quella del Museo Diocesano. Vi si raccolgono alcune opere del maestro, assieme agli accuratissimi calchi ottocenteschi dell’altare del Santo, ma anche a opere di collaboratori straordinari, come Bartolomeo Bellano, i cui rilievi bronzei, modellati in uno spessore notevole, sviluppano racconti corali ricchi d’azione e drammaticità; o come Andrea Briosco, detto il Riccio, autore di terrecotte piene di pathos, come le “Marie dolenti” e di bronzi dotati di classica eleganza. E nello straordinario passaggio da un gotico attardato all’arte orafa rinascimentale, i reliquiari del tesoro di Sant’Antonio testimoniano di un cambiamento tipologico che adegua in pochi anni l’oreficeria ai moduli del Rinascimento.

Il decennio padovano di Donatello, già ricco di commissioni e realizzazioni, si prolungò dunque grazie ai suoi allievi ancora di qualche lustro, testimoniando il peso determinante esercitato dal maestro toscano nella scuola scultorea locale. Oggi Padova celebra quindi Donatello con queste mostre, ma anche, a partire da settembre, con la ricollocazione nella sua sede originaria dello straordinario Crocifisso dei Servi, un tesoro restituito alla città, portatore di meraviglia rinnovata.

Chiara Mezzalira

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