CULTURA

“Fake news”? Una volta si chiamava propaganda

Semplificazione, ripetizione continua di slogan facili da ricordare e massificazione dei mezzi propagandistici con campagne in piena regola: i principi della pubblicità nella società dei consumi potevano essere trasferiti alla propaganda politica. Le “fake news”, le bufale in rete destinate a creare incertezza e confusione, hanno un antenato nella propaganda politica nazista, su cui abbiamo ora un’importante biografia di Joseph Goebbels dello storico Peter Longerich (Goebbels. Una biografia, Einaudi, Torino 2016).

La base documentaria del volume sono i diari che Joseph Goebbels scrisse dal 1923 all’aprile 1945 e che permettono uno sguardo eccezionalmente ravvicinato sulla Repubblica di Weimar e sulla Germania nazista. Dal versante opposto quello, potremmo dire, delle vittime dell’antisemitismo nazista, rappresentano uno sguardo altrettanto ravvicinato su quegli anni i diari del filologo ebreo Victor Klemperer, Testimoniare fino all’ultimo.

Le pagine del diario del ministro nazista consentono di penetrare nella sua personalità e quello che ne viene fuori è la sua psicologia narcisistica, e cioè il suo bisogno ossessivo di essere amato e celebrato, apprezzato in generale e, in particolare, dal suo idolo Adolf Hiltler, idolo a cui si consacrerà totalmente, con una fedeltà estrema che non ritroviamo in nessun altro gerarca nazista, come Goering, Bormann o Himmler. E viene in mente il Goebbels anelante fino allo spasimo di una parola di una lode da parte di Hitler in Inglorious Bastards di Quentin Tarantino. In una nota del 14 ottobre 1925, dopo aver letto il primo volume del Mein Kampf, Goebbels scrive: “Chi è quest’uomo? Metà plebeo e metà Dio! Cristo stesso o solo Giovanni?”. E più avanti, il 20 novembre: “Mi saluta come un vecchio amico. Mi degna della sua attenzione. Quanto lo amo! Che uomo!”.

Attraverso le pagine dei diari Longerich segue la vita di Goebbels dalla sua adolescenza a Rheydt, piccola città vicino Dusseldorf, agli studi universitari a Bonn, dalle sue velleità e frustrazioni di letterato privo di orientamento politico, ai suoi tentativi fallimentari di scrittore di drammi e romanzi (possiamo ricordare Michael, un suo delirante racconto di destino e redenzione, pubblicato in Italia da una casa editrice ‘nazista’, le edizioni Thule).

Poi nel 1924 l’ingresso nell'ancora irrilevante partito nazista, dove grazie al suo impegno e alle sue capacità organizzative troverà spazio, affermazione e successo. Dal 1926 è Gauleiter del partito a Berlino, poi deputato al Reichstag e infine, dal 1933, con la conquista del potere da parte di Hitler, ministro della Propaganda con il controllo quasi assoluto di tutti i mezzi di comunicazione di massa (radio, cinema, educazione popolare e, parzialmente, la stampa). Fra l’altro l’esperienza della modernità berlinese sarà decisiva per la costruzione della macchina propagandistica da parte di Goebbels, che dichiarava apertamente come il modello da seguire fosse la pubblicità commerciale.

Quello che fa della ricerca di Longerich, che è anche autore delle biografie di Hitler e Himmler, un importante saggio di storia biografica è l’uso che lo storico fa dei diari, un uso critico e decostruttivo, e cioè indirizzato a distinguere dall’immagine apologetica, a tratti megalomane, che Goebbels vuole dare di sé quello che fu poi effettivamente il suo ruolo nel sistema di potere del Terzo Reich. Nonostante la sua incondizionata devozione al Führer, Longerich fa notare come Goebbels, a parte il riconoscimento delle sue abilità specifiche, fosse sempre marginale nelle scelte più cruciali e strategiche del regime nazista, come nel caso del patto Ribbentrop-Molotov o come nel caso della decisione di invadere l’Unione Sovietica (di cui Goebbels venne informato solo pochi giorni prima delle operazioni militari).

Le pagine di diario più interessanti sono quelle dove Goebbels registra gli incontri con Hitler, pagine che permettono di osservare il dittatore a un palmo di distanza, per così dire. Da segnalare anche i passi ricchi di giudizi sui compagni di partito come Gregor Strasser, Ernst Röhm o Goering, definito un “morfinomane”, suo nemico e avversario all’interno dell’inner circle hitleriano. Come scrive Longerich: “Goebbels rappresenta, con i suoi diari, il maggiore cronista interno del movimento nazionalsocialista e del suo Füher […] nessun’altra fonte consente di esaminare in modo altrettanto approfondito la struttura interna del potere nazionalsocialista”.

Le pagine che colpiscono di più sono forse quelle dedicate al discorso del 18 febbraio 1943 allo Sportpalast Berlino, quando il ministro della Propaganda nazista incitò le migliaia di intervenuti alla ‘guerra totale’. In un clima di esaltazione delle sorti della guerra, ma anche di cupi ed inespressi presagi (recentissima la disfatta di Stalingrado), Goebbels diceva: “Vi chiedo: siete decisi a seguire il Führer nella buona e nella cattiva sorte fino alla vittoria e accettare i più pesanti fardelli personali […] Vi chiedo: la guerra totale? Se necessario, volete una guerra più totale e radicale di quanto oggi possiamo mai immaginare […] Vi chiedo: prestate al fronte il sacro giuramento che la patria resterà compatta dietro di esso con solida e incrollabile forza morale e gli fornirà tutto ciò di cui avrà bisogno per ottenere la vittoria?”. Ricorda Peter Longerich, autore di questa biografia e storico tedesco che insegna al Royal Holloway dell’università di Londra, che tra il pubblico c’erano la moglie Magda e le figlie Helga e Hilde di 10 e 9 anni e riporta un passo di una pagina del diario di Goebbels: “Helga, in particolare ha interiorizzato questa esperienza benché non sia riuscita a capire tutto il mio discorso. Sono contento che i nostri figli siano introdotti alla politica in tenera età”.

La notte tra l’1 e il 2 maggio 1945, con l’Armata Rossa a poche centinaia di metri dal bunker della Cancelleria del Reich a Berlino, Joseph Goebbels e sua moglie Magda, dopo aver avvelenato i loro sei figli, di età compresa tra i 12 e i 4 anni, a loro volta si daranno la morte. Scrissero prima di morire che per loro e i loro figli era impensabile vivere in una società diversa da quella nazista: “Il mondo che verrà dopo il Führer e il nazionalsocialismo non sarà più degno di essere abitato”.

Sebastiano Leotta

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