SCIENZA E RICERCA
Il cervello manipolato
Quella faccia mi piace, me lo ha detto una macchina. La sintesi, lo ammettiamo, è un po’ forzata. Ma la prospettiva non è troppo lontana, se hanno ragione Kazuhisa Shibata e il suo team del Brain Information Communication Research Laboratory Group che lavora presso l’Advanced Telecommunications Research Institute International, alla Keihanna Science City di Kyoto, l’antica capitale del Giappone.
Con un articolo pubblicato su PlosBiology dal titolo del tutto anonimo, Differential Activation Patterns in the Same Brain Region Led to Opposite Emotional States (Modelli di attivazione differenziale nella stessa regione del cervello portano a stati emozionali opposti), Kazuhisa Shibata e tre suoi collaboratori rendono noto di aver raggiunto, attraverso l’uso della RMI (imaging a risonanza magnetica, la tecnica che genera immagini del cervello mediante, appunto, la risonanza magnetica nucleare), due risultati importanti.
Il primo ha un valore notevole che, magari, verrà apprezzato solo dai neurofisiologi: i quattro hanno dimostrato che nella corteccia cingolata del nostro cervello c’è un’unica e medesima regione coinvolta nelle emozioni, sia positive sia negative, che genera l’osservazione di una faccia.
Il secondo ha un valore che colpisce l’attenzione anche dei non esperti, perché riguarda la possibilità di indurre in noi in maniera artificiale – mediante una macchina, appunto – emozioni intime, come la simpatia o l’antipatia che suscita la visione di una faccia. C’è già chi immagina le fattucchiere ipertecnologgizzate del futuro che, a pagamento, indurranno Paolo ad amare improvvisamente Francesca con un semplice clic di una macchina RMI. Ma non è il caso di correre troppo. E atteniamoci solo ai dati.
Intanto diciamo, come ricordano gli autori dell’articolo, che, negli ultimi anni, sono stati sviluppati molti metodi per la manipolazione delle attività cerebrali non solo negli animali non umani, ma anche negli umani. Non si tratta di studi volti a creare il “grande fratello” di orwelliana memoria, ma a comprendere come funziona il nostro cervello. Il gruppo di Shibata ha utilizzato una tecnica in voga da tempo, chiamata fMRI DecNef (Real-time functional magnetic resonance imaging decoded neurofeedback) che, a grana grossa, consente di verificare in tempo reale la risposta del cervello a specifiche applicazione della risonanza magnetica funzionale. In maniera più precisa il DecNef consente non solo di rilevare e di analizzare uno specifico modello di attività in una regione del cervello che corrisponde a uno stato mentale, ma anche di indurre uno specifico modello di attività cerebrale. riproducendo artificialmente. Per esempio, consideriamo il modello di attività che il nostro cervello normalmente produce in una sua specifica area quando il nostro sguardo cade su un appetitoso dolce di una rinomata pasticceria. La fMRI DecNef rileva lo schema e lo analizza. L’impegno dei ricercatori è di riuscire a produrne uno analogo capace di stimolare la nostra voglia irrefrenabile di assaggiare anche di fronte a un piatto che normalmente non suscita la nostra attenzione o, addirittura, ci disgusta.
È un po’ quello che hanno fatto Shibata e i suoi manipolando con la tecnica DecNef i modelli di attivazione di una specifica area cerebrale, la corteccia cingolata. Una zona centrala della corteccia che fa parte del sistema limbico e ha la funzione di governare le emozioni primarie, l’apprendimento e la memoria. Tra questi compiti c’è anche quella di fornire una risposta emotiva (tipo “mi piace”) appena si vede una faccia.
L’importanza sociale di questa funzione è evidente. Provare simpatia, antipatia o indifferenza non appena il nostro sguardo cade su una faccia sconosciuta contribuisce in maniera spesso decisiva alle relazioni interpersonali o di gruppo. Bene, la teoria finora diceva che la risposta positiva (“mi è simpatica”) e la risposta negativa (“non mi piace”) erano determinate in aree del cervello diverse.
I ricercatori giapponesi hanno chiesto a 24 volontari di esaminare centinaia di facce e hanno registrato i modelli di attività cerebrale che ciascuna di loro induceva nella corteccia cingolata. Poi hanno preso in considerazione sole le facce che suscitavano una sostanziale indifferenza e, con la tecnica DecNef, hanno indotto un significativo cambiamento della risposta. Così quelle facce che prima non avevano suscitato emozioni particolari ora apparivano ad alcuni simpatiche e ad altri antipatiche.
Lo studio ha dimostrato, dunque, che almeno nella corteccia cingolata la reazione positiva e la reazione negativa alla visione di una faccia risiedono nella medesima area cerebrale. Il risultato dunque falsifica, per dirla con Karl Popper, la vecchia teoria. Ma l’esperimento ha dimostrato, soprattutto, che è possibile manipolare, con uno strumento esterno, anche le nostre emozioni primarie.
Saranno i neuroscienziati a valutare quanto è importante per gli sviluppi della loro disciplina l’esperimento di Kazuhisa Shibata e del suo team. A noi tocca, però, iniziare a interrogarci sulle possibili ricadute di questo tipo di esperimenti.
Certo, sarebbe puro allarmismo evocare scenari apocalittici di future manipolazioni di massa dei nostri fragili cervelli. In altri termini, prima che si impongano le fattucchiere del futuro capaci di indurre in Francesca un amore per Paolo, cui normalmente sarebbe indifferente, ce ne vuole. In primo luogo occorre verificare la solidità di questi risultati. Poi verificare se il cambiamento dello stato mentale dura nel tempo e cessa non appena la macchina è allontanata. Per usare la nostra metafora, occorre stabilire per quanto tempo – per un istante o per sempre ? – a Francesca piacerà Paolo dopo l’impulso del DecNef.
Tuttavia è indubbio che si prospetta un altro modo di manipolare il cervello di una persona. E che su questa possibilità occorre iniziare una pacata discussione.
Pietro Greco