SCIENZA E RICERCA

Che cos’è la realtà psicologica?

Il tradizionale problema mente-corpo è un dilemma per cui dualismo e materialismo si propongono come soluzioni. Il dualismo dichiara che mente e corpo sono due differenti generi di cose, mentre il materialismo (o fisicalismo – i due termini sono per me intercambiabili) afferma che sono fondamentalmente la stessa cosa. Ma dualismo e fisicalismo che cosa ci dicono sulla mente? Come può l’accettazione del dualismo o del fisicalismo – e quindi la soluzione del problema corpo-mente, per come è attualmente concepito – aiutarci nello studio interdisciplinare della mente? Nel mio intervento al recente Convegno internazionale di Neuroetica a Padova, ho sostenuto che queste dottrine sono irrilevanti per la comprensione della mente, così come per lo studio della mente, di conseguenza, è di scarso interesse anche il modo tradizionale di strutturare il problema mente-corpo.

Si fa normalmente risalire il dualismo a René Descartes (1596-1650). Naturalmente, esistevano teorie sul rapporto mente-corpo anche prima di Cartesio, ma fu lui a introdurre un nuovo modo di concepirlo. L’idea di Cartesio era che il mondo materiale fosse costituito da unasostanza, e ognuna delle nostre anime da una sostanza diversa. Una sostanza è qualcosa capace di esistenza indipendente: quindi, poiché le nostre anime possono esistere indipendentemente dalle altre anime e dal mondo materiale, sono esse stesse sostanze. 

Certo, la nostra visione del mondo materiale è cambiata enormemente dal XVII secolo. Nel formulare la sua dottrina, la versione contemporanea del materialismo (fisicalismo) attribuisce un posto centrale alla fisica.  “Fisico” è quanto è oggetto della fisica, che è la scienza universale in quanto si applica a qualsiasi cosa nell’universo. Il fisicalismo qualche volta è descritto anche come la teoria secondo cui tutto è fisico. Inteso in senso estremo, questo implica che tutto ciò che vi è nel mondo sono le entità di cui parla la fisica (atomi, elettroni, quark, onde, campi, ecc.). Questa è la visione racchiusa nella battuta di Rutherford che “c’è la fisica, e poi ci sono le raccolte di francobolli”.

La prospettiva di Rutherford è radicale, e non c’è necessità che il fisicalismo si impegni ad essa. Una versione più moderata del fisicalismo è quella per cui determinare i fatti fisici determina ogni cosa. Ciò permette l’esistenza di molte entità a noi vicine su cui la fisica non ha nulla da dire (città, ristoranti, partite di calcio, ecc.) dal momento che l’esistenza stessa di queste entità è determinata dai fatti fisici. In altre parole: tutto quel che Dio dovrebbe fare per creare questo mondo, così com’è, è creare la sua natura fisica (gli atomi e le molecole che lo compongono). Tutto il resto verrebbe di conseguenza. Questo fenomeno è chiamato “sopravvenienza”.

Il dualismo contemporaneo è la negazione della sopravvenienza. Come fortemente sottolineato da David Chalmers nel suo molto lodato libro del 1996 The Conscious Mind, il dualismo è implicato dalla possibilità di uno “zombie”: una replica fisica di uno di noi che sia priva di coscienza. Se gli zombie sono davvero possibili, la sopravvenienza è falsa, perché in questo modo i fatti fisici non determinerebbero tutti i fatti. Si noti che Chalmers non sta dicendo che gli zombie esistano davvero; sta solo dicendo che sono, in un certo senso, possibili.

Nel mio intervento, ho sostenuto che il fisicalismo è irrilevante per la comprensione della mente. Supponiamo di accettare che la sopravvenienza sia vera. Che cosa ci direbbe della natura di fenomeni mentali quali decisione, immaginazione, pensiero, percezione, sensazione e così via? Ritengo che ci direbbe molto poco. Ci direbbe che questi fenomeni sono determinati da combinazioni di particelle fisiche; ma di per sé non ci direbbe quali combinazioni fisiche soggiacciono a questi fenomeni, o perché. Per proporre un’analogia: può essere che tutto sia fatto della stessa materia – come dice la Bibbia omnis caro foenum, tutta la carne è erba. Ma questo non ci dice nulla della differenza tra vegetariani e carnivori.

Ho sostenuto anche che il dualismo è irrilevante. Per quanto riguarda il dualismo cartesiano, quell’idea di “sostanza” oggi non risulta più accettabile. L’idea che le cose fondamentali sono quelle capaci di esistenza indipendente non ha reale plausibilità in filosofia e nella scienza. D’altra parte, l’idea che gli attributi e le proprietà mentali e fisiche (come la proprietà di provare dolore o di pensare a Vienna) sono distinte dalle proprietà fisiche del cervello è così plausibile da essere di fatto banale. Questa “mera distinzione” – come la definisco – non ci dice nulla della natura delle proprietà mentali stesse. 

Come dovremmo procedere, quindi? Penso che sia necessario abbandonare la tradizionale questione mente-corpo e sostituirla con un’altra: come sono incarnate le capacità mentali nei cervelli e nei corpi delle creature ”mentalizzate”, creature che hanno menti? Suggerisco di iniziare con le reali capacità, come la capacità di percezione, ragionamento, memoria e immaginazione. Sono queste le capacità di creature e organismi. Quindi non partiamo da un’anima, una sostanza mentale nel senso cartesiano. Ma né identifichiamo subito queste capacità in termini neuro scientifici né partiamo dal cervello. Al momento non abbiamo idea di come isolare le capacità mentali studiando il cervello. Il cervello è il meccanismo della mente, ma non c’è modo di decifrare la mente a partire dal cervello. Nelle neuroscienze cognitive, l’approccio di solito è proprio l’opposto: gli scienziati hanno già un’idea di quale capacità mentale stanno cercando e usano una varietà di metodi (psicofisica, fMRI, ecc.) per cercare di scoprire il suo meccanismo e la sua implementazione neuronale.

Nel mio intervento ho toccato due altre questioni. La prima: quali capacità mentali esistono? Esiste qualcosa di simile a una capacità decisionale, ad esempio, opposta al desiderio, l’appetito e l’inclinazione? La seconda : come dovrebbero essere caratterizzate le capacità psicologiche e il loro esercizio? Ad esempio, che rapporto hanno le decisioni con le intenzioni? Le decisioni devono essere coscienti, come presuppongono Daniel Wegner e Benjamin Libet? O ancora, come concepire la stessa coscienza: dovremmo pensare che stati ed episodi coscienti implichino qualità intrinseche ed ineffabili, note come “qualia”? Come Daniel Dennett, ritengo che questo non sia un modo utile di fare ipotesi sulla coscienza.

Definirei allora il mio approccio “psicologismo”. Non è né dualismo né materialismo, nel senso sopra descritto. È un approccio che prende sul serio le nostre normali riflessioni fenomenologiche sulla vita mentale e tiene in altrettanta considerazione la psicologia e le scoperte neuroscientifiche. Per identificare la realtà psicologica, non c’è bisogno di ipotizzare un’anima immateriale, ma nemmeno abbiamo bisogno di stabilire che tutto discende dalla combinazione di particelle microfisiche. Queste idee irrealistiche e implausibili – che hanno dominato la recente discussione del problema mente-corpo – costituiscono un ostacolo alla corretta comprensione dell’entità psicologica. 

Tim Crane(traduzione di Cristina Gottardi)

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