SCIENZA E RICERCA

Allattamento al seno, tutto comincia da lì

Dopo avere constatato, sulla base delle statistiche dell'Organizzazione mondiale della sanità, che in Messico soltanto il 14% delle donne allatta al seno il proprio bambino, la capitale del paese latinoamericano ha lanciato una campagna per promuovere una pratica che, sempre secondo l'Oms, aiuta a prevenire l'obesità infantile e il cancro al seno – due fenomeni di cui, in Messico come in altri paesi, si registra attualmente una crescita sensibile. Lanciata a maggio, la campagna rischia però di avere l'effetto opposto ed è stata per il momento sospesa: la scelta di fotografare giovani e belle attrici e altre celebrità locali, il cui petto nudo è coperto dalla scritta “No les des la espalda, dale pecho” (“Non dargli le spalle, dagli il seno”), è stata infatti criticata perché – dicono i detrattori – colpevolizza le donne che, per motivi a volte tutt'altro che futili, hanno deciso di non allattare, scaricando tutta la responsabilità sulle madri e dimenticando quanto sia importante, in casi come questi, il contesto sociale e legislativo. 

A questo proposito, in Messico non sono ancora state firmate le linee-guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità in base alle quali – fra le varie misure – agli ospedali è vietato consegnare alle neomadri in uscita le confezioni di latte in polvere fornite gratuitamente (e “pelosamente”) dalle multinazionali del settore. In effetti, il paese latinoamericano non è isolato in questa sua negligenza: secondo uno studio dell'Oms pubblicato lo scorso anno, su 199 paesi solo 37 hanno sottoscritto il Codice internazionale del marketing dei sostituti del latte materno, approvando leggi che ne incorporino tutte le raccomandazioni.

Un problema marginale? Tutt'altro. Come osserva sia pure di striscio Dario Maestripieri nel suo A che gioco giochiamo noi primati. Evoluzione ed economia delle relazioni sociali umane (Raffaello Cortina 2014), l'allattamento al seno scandisce la storia della nostra specie dai tempi più remoti: citando Melvin Konner, antropologo della Emory University che ha studiato a lungo i !Kung, popolazione di cacciatori-raccoglitori dell'Africa meridionale, Maestripieri nota come i quattro anni in cui le madri !Kung abitualmente allattano i figli coincidono con “l'intervallo medio tra un parto e l'altro per la maggior parte della nostra storia evolutiva”. Un intervallo – scrive ancora Maestripieri in un suo libro precedente, Macachiavellian Intelligence (University of Chicago Press 2007) – legato all'amenorrea lattazionale, “un trucco machiavellico escogitato dagli infanti per non dover avere a che fare troppo presto con fratelli minori” e rafforzato da pianti e urla ogni volta che la madre si allontana dal lattante o rifiuta di dargli il seno.

Ma non parliamo solo di tempi antichissimi. La giornalista scientifica statunitense Florence Williams, che ha dedicato al seno un intero libro (Breasts: A Natural and Unnatural History, Norton 2013), scrive a proposito del latte materno che “una sua ipotetica etichetta degli ingredienti porterebbe scritto: grassi 4%, vitamine A, C, E e K, zuccheri, minerali essenziali, proteine, enzimi e anticorpi; contiene il 100% della dose quotidiana raccomandata di tutto quello di cui un bambino ha bisogno per crescere e una notevole quantità di altri elementi utili per tenere a bada una intera vita di malattie che vanno dal diabete al cancro”.

In questi termini la tentazione di pensare che si tratti di un'esagerazione è forte. Una recente ricerca ha tuttavia confermato come l'allattamento al seno abbia, senza che ce ne rendiamo conto, una enorme influenza sulla nostra salute e, presumibilmente, sulla nostra stessa esistenza. Pubblicato su Nature in primavera, lo studio – realizzato da un gruppo di ricercatori della University of Michigan, coordinati da Patrick Schloss – si proponeva di individuare quali avvenimenti nella vita di una persona incidessero maggiormente sul suo microbioma, vale a dire su quei circa cento trilioni di batteri e di altri microbi che vivono in grandi “comunità” all'interno del nostro corpo, con effetti reciprocamente positivi per noi e per loro. 

L'esperimento è stato condotto su trecento individui sani, di età fra i 18 e i 40 anni, uomini e donne in quote uguali, la cui storia sanitaria e le cui abitudini quotidiane sono state minuziosamente registrate e suddivise in 160 categorie di dati. Bene, le analisi genomiche effettuate sui campioni prelevati ai volontari a distanza di 12 e 18 mesi hanno evidenziato che solo tre elementi si possono associare a una data comunità di batteri: il genere, il livello di istruzione e il fatto di essere stati o no allattati al seno. Perché questo accada, e se la correlazione si possa leggere in termini tanto semplici, Schloss e i suoi colleghi non lo hanno determinato, e in un articolo uscito su The Conversation Akshat Rathi e Declan Perry citano il commento di Janneke Van de Wijgert, microbiologa presso l'università di Liverpool, che guarda con interesse allo studio americano, ma invita ad avere cautela fino a quando non si potranno condurre ricerche più approfondite.

Sta di fatto, comunque, che la fase dell'allattamento rappresenta un capitolo centrale della nostra vita e che il latte materno si rivela, per le sue caratteristiche, un alimento ben difficilmente replicabile. Tanto potente e prezioso che da qualche tempo è diventato oggetto di un commercio sotterraneo: su The Cut a fine maggio è uscito un servizio dedicato agli uomini (maschi, adulti, per lo più sportivi) che per cifre ingenti – l'equivalente di 60-65 euro al litro – si procurano online fiale di latte materno nella convinzione di trarne una carica ben superiore a quella del più potente energy drink. Convinzione comprensibile, alla luce di quanto si è detto finora, ma – purtroppo – fuori tempo massimo.

Maria Teresa Carbone

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