SOCIETÀ
Come Internet sta cambiando la politica
Fu Bill Clinton nel 1992 a usare per la prima volta le e-mail per comunicare con gli elettori: da allora l’importanza di Internet nella politica americana è cresciuta sempre più. Nelle elezioni presidenziali del 2008, per la prima volta la Rete ha superato i giornali come seconda fonte di informazione politica (al primo posto rimane sempre la televisione), e soprattutto ha fruttato a Barack Obama i due terzi degli oltre 750 milioni di dollari raccolti per la sua campagna.
La comunicazione via Internet offre oggi parecchi vantaggi per coinvolgere le persone, soprattutto in un periodo in cui tutti sembrano avere ben poco tempo a disposizione: è questo il tema del libro La politica online, di Lanfranco Vaccari (Il Mulino, 2012). La Rete rende ad esempio fruibili informazioni in qualsiasi orario e senza bisogno di spostamenti fisici. Il punto a sfavore sta nella minore capacità rispetto a mezzi meno mirati di raggiungere e coinvolgere coloro che non appartengono già in qualche modo alle proprie cerchie: in questo senso comunicare on line rischia per un politico di equivalere a “predicare ai convertiti” (come scrive Pippa Norris in Preaching to the Converted? Pluralism, Participation and Party Websites). Non è detto, però, si tratti di un limite eccessivo in tempi in cui le campagne elettorali hanno come principale obiettivo il motivare e portare al voto la percentuale, sempre consistente, di elettori del proprio campo insoddisfatti e inclini a rimanere a casa, prima che non lo strappare sostenitori al campo avverso.
Anche quest’ultimo aspetto sembra, d’altronde, messo in discussione dal diffondersi dai social network: vere e proprie piazze digitali dove si entra senza un’idea predefinita di quello che si troverà dentro. E non è un caso che proprio la cosiddetta Internet 2.0, caratterizzata da un più elevato tasso di interazione degli utenti tra di loro, rappresenti una delle novità più importanti per la comunicazione politica degli ultimi anni, come dimostrato già tempo fa dalle affermazioni nelle “primarie” delle rispettive formazioni politiche, di Barack Obama (2008) e di Ségolène Royal (2006).
Il libro prende in considerazione sette democrazie occidentali (Usa, Gran Bretagna, Australia, Germania, Francia, Spagna e Italia), cercando di fare il punto, sulla base di dati accurati e delle migliori analisi, sull’influenza della Rete sulla formazione del consenso. Ovviamente l’efficacia della “politica online” risente in primo luogo del livello di diffusione di Internet, che nel 2010 variava dall’85% della Gran Bretagna al 54% dell’Italia, e da variabili interne a ciascun sistema politico, come l’affluenza abituale al voto e la forma di governo.
Nel caso citato degli Stati Uniti Internet è ormai sempre più determinante ad ogni consultazione elettorale, non tanto e non solo per una superiorità tecnologica americana (negli Usa il tasso di diffusione di Internet è del 74%: alto ma comunque meno elevato di altri paesi), ma per le caratteristiche intrinseche del sistema politico. Nel sistema statunitense infatti i partiti si mobilitano essenzialmente durante le elezioni, costruendo reti temporanee dirette in primo luogo a far registrare e a portare al voto i propri simpatizzanti. In altri sistemi in cui, come nel nostro, il rapporto tra elettori e partiti è stato fino ad ora più continuo, la Rete fa più fatica a pesare davvero.
In particolare in Italia, ai ritardi culturali e tecnologici (nel 2010 solo il 54% della popolazione utilizzava il Web), si sommano una serie di fattori che certamente non favoriscono un utilizzo innovativo della Rete da parte dei partiti. Nel sistema politico italiano i partiti sono finanziati in primo luogo dallo Stato: questo, assieme ai tetti per le spese elettorali, scoraggia ad esempio il ricorso a Internet per attrarre donazioni private. Non solo: mentre in ambito anglosassone la Rete è vista anche come l’opportunità per arrivare direttamente agli elettori, saltando in questo modo la mediazione dei giornalisti e dei grandi organi di informazione, in Italia questo obiettivo è meno rilevante e meno sentito, dato che “in molti casi più che di mediazione si tratta di collateralismo” (p. 156).
Una situazione certamente non esaltante, né per la politica che per l’informazione (a sua volta sostenuta da finanziamenti pubblici), nella quale però iniziano ad intravvedersi degli spiragli. Il diffondersi delle primarie sta ad esempio spingendo, secondo gli studi citati dall’autore, verso una maggiore trasparenza del dibattito politico, e quindi anche verso una crescente partecipazione on line. In Italia, finora, a usare Internet come strumento per l’azione politica sono stati soprattutto i movimenti, che attraverso di essa hanno promosso ed organizzato (in parte o interamente) mobilitazioni grandi e anche grandissime, fino ai tre milioni scesi in piazza contro la guerra nel 2003 o alle centinaia di migliaia, in moltissime di città, di “Se non ora quando?” nel 2011.
Le conclusioni sono ad ogni modo concordanti: in tutti i paesi considerati robuste minoranze di cittadini utilizzano Internet per documentarsi, confrontarsi e farsi un’opinione: da un minimo di circa il 10% dell’elettorato per la Spagna a un massimo di oltre il 45% degli Stati Uniti, includendo nel denominatore anche coloro che sono sprovvisti del Web (l’Italia è poco al di sopra del 15%, dati del 2008). La Rete insomma, pur essendo per ora minoritaria, è in forte crescita e comunque compete alla pari con gli altri mezzi di informazione più rodati e tradizionalmente diffusi come radio, televisione e giornali.
Quanto però all’influsso sulla partecipazione effettiva dei cittadini e sullo stesso modello della comunicazione politica, le opinioni sono ancora contrastanti: a chi ha una visione sostanzialmente ottimistica si contrappongono infatti coloro che pensano che nella Rete tendano a riprodursi tra le forze politiche gli stessi equilibri presenti off line. Sarà interessante capire se i nuovi partiti nati dal Web – come il Partito Pirata nel Nord Europa e in Germania, i Tea Parties negli Stati Uniti e il Movimento Cinque Stelle in Italia – saranno capaci di mutare il paradigma della partecipazione e del confronto politico, oppure se si limiteranno a riprodurre con mezzi nuovi i vecchi schemi.
Daniele Mont D’Arpizio