UNIVERSITÀ E SCUOLA

Crisi e violenze allontanano gli studenti stranieri dagli Usa

Le bombe contro la maratona di Boston sono arrivate giusto al termine di una visita a Tokyo di John Kerry, che ha avuto modo di occuparsi non solo di questioni diplomatiche e militari ma anche di istruzione: il segretario di Stato si è detto preoccupato per il calo di iscrizioni di studenti stranieri nelle scuole e università americane, motivandolo come una conseguenza delle numerose stragi avvenute in diversi istituti scolastici negli ultimi anni. 

Le affermazioni di Kerry hanno avuto vasta risonanza in patria, dove è in corso un acceso dibattito politico sul controllo delle armi. A prima vista, le parole di Kerry sembrerebbero comprovate dai numeri: dal 2010 a oggi sono 33 le sparatorie avvenute all’interno di scuole e università e in 17 di queste ci sono stati dei morti. Nel 2010 le sparatorie sono state 5, nel 2012 il numero sale a 10 e nel 2013, soltanto nel mese di gennaio, sono state 8. 

Secondo Kerry le famiglie giapponesi avrebbero paura a mandare i propri figli a studiare negli Stati Uniti proprio per questi fatti di violenza, che sembrano capitare sempre più spesso e che, come nel caso di Boston, fanno vittime anche fra gli scolari. Gli studenti giapponesi non si sentirebbero al sicuro e molti genitori condividerebbero tale timore. In Giappone, nel 2012, sono stati 21.290 gli studenti che hanno scelto di proseguire gli studi negli Stati Uniti, circa il 14% in meno rispetto all’anno precedente. 

Ma un’analisi più accurata dei dati mostra come Kerry abbia reinterpretato i dati, forse nel tentativo di orientare la discussione pubblica sulla necessità di porre dei limiti alla proliferazione delle armi. Secondo i dati dell’Institute of International Education, nel 2011 erano circa 765.000 gli stranieri che studiavano negli Stati Uniti, in crescita del 6% rispetto all’anno precedente. In forte incremento le matricole cinesi (+23%) e gli studenti provenienti dall’Arabia Saudita, questi ultimi in aumento addirittura del 50%. In lieve calo rispetto all’anno precedente il numero di nuovi iscritti provenienti da Corea del Sud e Canada e anche da Taiwan (-6%) e Giappone. 

Inoltre, nella relazione dell’Iie relativa alle ragioni per le quali un paese straniero “invia” meno studenti negli Usa rispetto al passato, il problema della violenza e delle armi non veniva menzionato dagli studenti di alcuna nazione. Erano invece citate la recessione globale e la crisi economica che ha attanagliato anche alcuni paesi asiatici. 

Per quanto riguarda il Giappone, poi, il numero dei giovani che va a studiare negli Usa è in calo da quasi 15 anni. Dal 1994 al 1999 il Giappone fu il primo “fornitore” di studenti stranieri a scuole e università americane, mentre ora è scivolato al settimo posto, superato tra le altre da Cina, Corea del Sud, India e Arabia Saudita, le cui economie sono in crescita sin da allora. 

Le ragioni per cui variano i flussi studenteschi verso gli Stati Uniti sono quindi da correlare prevalentemente alla situazione economica dei singoli paesi, senza poi dimenticare un fattore specifico come il rapido invecchiamento della popolazione giapponese e infine una generale minore attrattività delle università americane, soprattutto in relazione agli alti costi di iscrizione. 

Su un piano politico l’analisi delle dichiarazioni di Kerry sembra suggerire l’idea di un tentativo di influire sul dibattito politico in corso al Senato, fornendo informazioni parziali. Quale che sia la verità, però, il terrorismo che ha colpito la maratona di Boston potrebbe contribuire a rendere veritiere le sue analisi, fino a pochi giorni fa avventate.

Marco Morini

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