CULTURA

Dal fuoco del bivacco a Twitter: come raccontare storie ci ha resi umani

Leggere narrativa per aumentare l'empatia e destreggiarsi meglio nei drammi dell'esistenza, senza snobismo ma stando un po' in guardia da chi, nel quotidiano, racconta fiction più o meno inconsapevolmente (dai colleghi ai blogger): queste le conclusioni, in estrema sintesi, del saggio brillante e molto narrativo di Jonathan Gottschall, docente di letteratura inglese al Washington and Jefferson College in Pennsylvania, dal titolo L'istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani (Bollati Borlinghieri, 2014).

L'analisi non è nuova ma forse giova ripeterlo, che raccontando e raccontandosi storie, fin da bambini, si impara a gestire meglio i rapporti sociali; gustosa poi la riflessione dell'autore sugli esercizi morali e spirituali in cui più o meno consciamente ci si cimenta immergendosi in una trama di finzione, che si stia leggendo un romanzo ottocentesco o seguendo una sit com in streaming. Gottschall con molta freschezza e un occhio di riguardo all'io bambino (è padre di figlie ancora in età del "facciamo che ero" spesso chiamate in causa nella disamina dei mondi immaginari infantili) passa in rassegna le nuove storie, dai plot dei video giochi e dei giochi di ruolo alle serie tv, smentendo recisamente la teoria della morte del romanzo (tradotta come non riconoscimento da parte dei critici dei best seller in cima alle classifiche dei romanzi come tali) e della poesia (trasformatasi piuttosto oggi in musica pop). Tutto si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma nell'interpretazione delle nostre letture di fiction (quando leggiamo saggi è diverso: teniamo alta la guardia e non ci sono trasporto e abbandono) offerta da Jonathan Gottschall. Che, esaminando con cautela l'influenza che i personaggi di inchiostro hanno nelle vite reali offre uno spunto abbastanza comico al lettore italiano con un paragrafo dedicato a come la trama del "R(i)enzi" – o come dicevan tutti Cola di Rienzo (tribuno romano protagonista dell'omonima opera di Wagner) – abbia ispirato Hitler nei suoi deliri di dominio europeo.

Esplorando il giardino dei sentieri che si biforcano della narrazione mondiale, con brevi estratti e casi studio a sorpresa a inizio capitolo, l'autore vaticina per il suo e nostro sollievo che – essendo noi animali narratori – la storie non usciranno mai dalle nostre vite e invita a gioire della fantastica catena di eventi improbabili che lungo la serpeggiante traiettoria dell'evoluzione ci ha resi creature indissolubilmente legate a plot   destinati a mutare e proliferare in innumerevoli diramazioni (con buona pace del vecchio adagio di Tolstoj per cui la cui grande letteratura è riconducibile a due sole trame: un uomo che parte per un viaggio, uno straniero che arriva in città). Il riferimento scientifico trova consonanza con il progetto visivo dell'artista James Harris che ha creato una Tavola periodica degli elementi narrativi (archetipi e luoghi comuni rinvenuti dentro film, letteratura e persino parabole sportive – il wrestling!) combinabili in molecole-storia ("Ghostbusters" , per esempio, è la combinazione di un atomo costituito da 5mA - Banda di cinque uomini e Mad - Scienziato Pazzo e uno costituito da Iac - entità malvagia rinchiusa e Hil - conseguente effetto comico).

Arriva tempestivo il libro di Gottschall a smascherare i meccanismi dello storytelling in un momento storico dove tutti raccontano storie (termine divenuto sinonimo di frescacce, non a caso), non solo i pubblicitari al soldo delle multinazionali delle bibite gasate o delle cucine componibili. Ben vengano e sempre tutte le fiction allora – trovare un posto dentro una trama della vita curandosi con le parole è addirittura al centro di percorsi terapeutici molto seri – ma conoscerne meglio le regole per distinguere una bed time story da un programma politico, un progetto aziendale o un curriculum vitae (a partire dal proprio) è davvero molto utile.

Silvia Veroli

 

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