CULTURA

Etty Hillesum, una luce nelle tenebre della guerra

Settant'anni fa, stando alla Croce Rossa il 30 novembre 1943, moriva ad Auschwitz Esther ‘Etty’ Hillesum. Nata nel 1914 a Middelburg in Olanda, intellettuale ebrea proveniente da una famiglia di professori e di artisti – era laureata in giurisprudenza e in lingue slave – il suo nome oggi è legato soprattutto al Diario (edito in Italia da Adelphi), scritto durante gli anni dell’occupazione tedesca.

Quello che Etty racconta, scrive J. G. Gaarlandt nell’introduzione, è un vero e proprio contro-dramma: mentre la guerra infuria e i nazisti sterminano il suo popolo lei intraprende e porta avanti un cammino di verifica e di liberazione interiore, che la porta a non odiare i suoi persecutori. Non che la Hillesum ignori quello che sta accadendo, o, addirittura, sia indifferente: semplicemente elabora una sua originale risposta, quella di indagare le radici del male e del bene nella sua stessa coscienza. “Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento – scrive il 3 luglio 1942 – Ora lo so. Non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se altri non capiranno cos'è in gioco per noi ebrei [...]. Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo quando mi trovo in compagnia”.

Una posizione che non manca di innervosire i suoi amici, alcuni dei quali militavano nelle fila della resistenza olandese. Negli ultimi mesi la Hillesum trova impiego come dattilografa presso il Consiglio Ebraico (Joodse Raad), uno degli organismi creati dai nazisti perché collaborino alla Shoah. Negli stessi giorni Anna Frank, a pochi chilometri di distanza, inizia nel suo nascondiglio a scrivere il suo diario. Etty sa quello sta per accadere e ha anche la possibilità di salvarsi. Non lo farà – morendo assieme ai genitori e ai due fratelli – per la necessità interiore di rimanere fedele a se stessa e al suo popolo. Mite testimone della dignità umana in un mondo sempre più disumanizzato.

Nel luglio 1942, con la prima grande retata di ebrei olandesi, Hillesum decide spontaneamente di raggiungere il campo di concentramento di Westerbork, ultima tappa prima di Auschwitz. Grazie a permessi speciali porta assistenza agli internati, recando in città lettere e messaggi dei prigionieri e raccogliendo medicinali da portare al campo. Una personalità ‘luminosa’ secondo le testimonianze; “abbiamo lasciato il campo cantando” è la sua ultima testimonianza, scritta su una cartolina caduta per terra mentre sale assieme agli altri su un vagone piombato.

Dopo la sua morte gli otto quaderni dei diari giacciono in un cassetto per quarant’anni, rifiutati da tutte le casi editrici; quando però vengono finalmente pubblicati nel 1981 diventano presto un caso letterario mondiale. Di lei ci resta la testimonianza di come “l’altruismo totale” – addirittura più lucidamente radicale di quello di Gandhi – possa diventare una forma estrema di resistenza, quindi anche di affermazione di sé come individuo unico e irripetibile.

Una donna vera, onesta ma anche disinibita, intellettualmente e fisicamente. Per lei la vita è un grande dialogo con Dio, a cui si rivolge costantemente. “Il misticismo deve fondarsi su un'onestà cristallina: quindi prima bisogna aver ridotto le cose alla loro nuda realtà”, scrive il 19 giugno 1942. Una consapevolezza che fa maturare una forza interiore unica, tale da permetterle di continuare a percepire – pur nella tragedia del campo di concentramento – il grande splendore (‘non mi viene in mente un'altra parola’) della vita. Un rapporto che non ha bisogno di chiese e di sinagoghe, anche se le rispetta profondamente; nemmeno però riducibile a un vago e indefinito spiritualismo, visto che dappertutto Etty porta – accanto ai diari e agli amati libri di letteratura tedesca e russa – la sua piccola Bibbia.

Insomma, una figura complessa e sfuggente, che si fatica a rinchiudere nella gabbia di una precisa appartenenza religiosa o politica. Ha simpatie per le idee socialiste, fino a quando non scopre che “il socialismo permette l'odio per tutto ciò che non è socialista”. Attraverso l’incessante lavoro di ascolto e di autoanalisi interiore, la Hillesum persegue innanzitutto un percorso di liberazione, ultima e suprema vittoria sui persecutori. “Per umiliare qualcuno si dev’essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. [...] Sopra l'unico pezzo di strada che ci rimane c'è pur sempre il cielo, tutto quanto. Non possono farci niente, non possono veramente farci niente” (20 giugno 1942). Loro condannati all’obbrobrio dalla storia mentre lei, piccola e cerebrale, destinata a diventare una luce per tanti che ancora oggi la leggono e si ritrovano nel suo cammino interiore.

Daniele Mont D’Arpizio

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