SOCIETÀ

Gaza e conflitti internazionali: “L’Onu non basta, ma è il punto di riferimento”

Gaza. Ma anche Siria, Iraq, Libia, Ucraina. I conflitti (con i drammi e le uccisioni che ne conseguono, che coinvolgono bambini e civili in maniera crescente) sembrano ormai stringere in una morsa l’Europa fin dentro le sue propaggini, in un quadro internazionale sempre più instabile. Di fronte al quale le istituzioni e gli strumenti internazionali appaiono più che mai inadeguati. Ne parliamo con Alessandra Pietrobon, docente di diritto internazionale presso l’università di Padova.

Il conflitto arabo-israeliano in questo momento riempie le prime pagine dei giornali: “Questo nuovo conflitto minaccia di trasmettere ancora per generazioni il clima di ostilità e di violenza - risponde Pietrobon – un investimento sull’odio da parte di chi, sia tra gli israeliani che tra i palestinesi, non vuole la convivenza tra due popoli in due stati. Da un punto di vista giuridico – continua la docente –  Israele e Hamas si accusano reciprocamente di violazione del diritto internazionale. Da una parte le truppe e i coloni israeliani hanno abbandonato la Striscia nel 2005 ma  quasi tutti gli accessi terrestri e marini, così come lo spazio aereo, rimangono sotto il controllo israeliano, proseguendo di fatto il regime di occupazione con gravi danni per la popolazione civile. Dall’altro lato, a fronte del continuo lancio di razzi sul proprio territorio, Israele si appella alla legittima difesa che è garantito dall’articolo 51 della Carta Onu, come diritto naturale (“inherent”) di ogni stato”. La reazione israeliana è quindi legittima dal punto di vista giuridico? “La Carta Onu stabilisce il generale divieto dell’uso della forza, che può essere rimosso solo da una decisione del Consiglio di sicurezza. La legittima difesa rappresenta l’eccezione al divieto, e consente allo Stato aggredito di respingere con la forza un attacco armato, senza bisogno di attendere un’autorizzazione del Consiglio di sicurezza. Ma vi sono precisi limiti, primo fra tutti quello del rispetto dei principi fondamentali del diritto umanitario e della proporzionalità. Il primo impone di evitare vittime fra i civili”  Ma come si valuta la proporzionalità? “Non esiste ovviamene una formula matematica, ogni situazione è un caso a sé e si può apprezzare solo ove i fatti siano conosciuti nel dettaglio. Per un conflitto che dura da decenni, la valutazione è complessa. In ogni caso, credo che il recente bombardamento della scuola delle Onu in cui erano rifugiati numerosi civili non possa ritenersi giustificabile nemmeno se nella scuola fosse stato veramente presente un accesso ad uno dei tunnel che gli Israeliani stanno cercando di distruggere.” Non esiste un autorità che possa intervenire? “Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite potrebbe farlo in teoria, ma sulla sua possibilità di azione pesa il potere di veto di ciascuno dei cinque membri permanenti (Usa, Russia, Cina, Regno Unito e Francia, Ndr). Quanto ai tribunali internazionali, questi non hanno la possibilità di giudicare d’ufficio, ma  funzionano solo sulla base del consenso degli stati coinvolti oppure, nel caso della Corte penale internazionale, nei confronti degli stati che abbiano aderito al trattato istitutivo. Israele e Palestina però non sono tra questi. Ciononostante, la Corte penale potrebbe processare gli individui responsabili di crimini commessi nell’attuale conflitto, qualora lo richiedesse il Consiglio di sicurezza: ma si torna al problema già visto, ovvero il probabile veto da parte di uno (o più) dei membri permanenti”. 

Possiamo all’Ucraina, un altro scenario che in questo momento sta interessando l’opinione pubblica. In questo caso le responsabilità sono più chiare? “Il divieto dell’uso della forza comprende non solo il divieto di un attacco diretto contro l’integrità territoriale di  uno Stato, ma anche forme indirette di aggressione, quali proprio l’aiuto ai ribelli in lotta contro un altro stato”. In questi casi gli altri Stati potrebbero aiutare il governo vittima dell’aggressione a reagire? “Sì, la legittima difesa può essere anche collettiva, quando lo stato vittima di un’aggressione richieda ad altri di aiutarlo a difendersi, ma non credo in questo caso sia da augurarsi che ciò avvenga”. Ora invece Stati Uniti e Unione europea hanno adottato contro la Russia misure economiche. “In effetti nel sistema Onu le sanzioni economiche, a differenza delle misure militari, rimangono nella competenza degli stati. Per quanto riguarda l’Ue le decisioni in materia di politica estera richiedono ancora il consenso di tutti e 28 membri”.

In questo momento anche la Libia brucia, con notizie che danno i ribelli ormai a Bengasi. “Ricordiamo bene che per ripristinare la pace in Libia le Nazioni Unite autorizzarono un intervento, con una risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu, la 1973 del 2011, che dava alla forza multinazionale un mandato ben preciso: la tutela dei civili e l’istituzione di una no fly zone. Ma le operazioni non si svolsero in modo conforme al mandato, è sembrato anzi che per alcuni degli Stati partecipanti lo scopo altro non fosse se non la cattura e l’uccisione di Gheddafi (peraltro, senza processo come già accaduto con Bin Laden). Il mancato rispetto dei limiti fissati dall’ONU in questo caso è stato poi fra le ragioni che hanno indotto poi Russia e Cina ad opporsi ad un simile intervento a protezione della popolazione in Siria”. In queste situazioni l’Occidente sembra essere intervenuto in maniera miope. “Non si è pensato alle conseguenze, sulle cosiddette primavere arabe emergono gravi errori di valutazione: ci si è affrettati ad aiutare quelle rivolte senza nemmeno sapere chi c’era dietro”.

Gli attuali conflitti rappresentano comunque uno scacco per il diritto internazionale? “Solo in parte. L’efficienza del  diritto internazionale non può valutarsi sulla base di criteri simili a quelli che portano a giudicare come più o meno efficiente un diritto interno, nel contenere la criminalità. Manca un’autorità superiore agli Stati e le stesse Nazioni Unite non vanno viste come un superstato, non avendo altri poteri se non quelli che gli Stati membri hanno accettato di attribuire all’organizzazione. Se si volesse un sistema diverso ci sarebbe bisogno di un nuovo accordo con cui riformare completamente quello attuale, affidando maggiori poteri all’organizzazione o quanto meno intervenendo sulle modalità di funzionamento del Consiglio di sicurezza. Ma anche l’eliminazione del potere di veto dei membri permanenti o l’aumento del loro numero non può aversi senza il consenso degli stessi  membri permanenti attuali. Non è quindi realistico attendersi un cambiamento quanto meno per il prossimo futuro, e  le recenti tensioni tra Russia e Stati Uniti non fanno certo ben sperare”.

In questo quadro l’Onu continua ad essere utile, oppure il divieto di uso della forza rimane una mera finzione? “Credo che il ruolo dell’Onu e delle istituzioni internazionali resti fondamentale anche e soprattutto nei periodi di crisi. È comunque positivo che esista una sede in cui gli Stati devono confrontarsi a livello multilaterale, seguendo procedure stabilite, anche se questo non elimina il pericolo di azioni unilaterali e di escalation. Alla fine i risultati concreti non dipendono da regole e procedure, la differenza la fanno le persone che vi partecipano e credo ci sarebbe bisogno di politici e  diplomatici più avveduti”.

Daniele Mont D’Arpizio

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