SOCIETÀ

Giacimenti culturali da sfruttare

Il recente Salone dei beni culturali di Venezia ha avuto il merito di affrontare uno dei temi irrisolti della gestione della cultura in Italia: la sua valorizzazione economica. Questione tanto più urgente, oggi, in un momento di contrazione della spesa pubblica. 

Due in particolare sono state le iniziative che il Salone ha proposto come possibili percorsi di valorizzazione. Il primo riguarda il restauro. Con l’iniziativa “cantieri aperti”, curata da Anna Scavezzon, è stato possibile accedere a sei cantieri di restauro a Venezia. Il successo è stato sorprendente: le richieste hanno largamente superato i posti disponibili (300). Segno dell’interesse del pubblico sia per capire in che modo e con quali tecniche le nostre opere d’arte vengono riportate al loro splendore sia per vedere queste stesse opere con modalità totalmente diverse da quelle consuete. Si potrebbe pensare di trasformare questa iniziativa in un vero e proprio servizio offerto in modo continuativo. Potrebbe essere, ad esempio, un modo originale per cofinanziare il restauro. 

La seconda proposta è Open Design Italia, mostra mercato dedicata all’autoproduzione, fenomeno emergente che combina la ricerca estetica del design con la qualità esecutiva dell’artigianato. I 70 autoproduttori, selezionati da Elena Santi e Laura Succini, hanno presentato prodotti unici o in serie limitate che raramente sono visibili nei tradizionali canali distributivi. I visitatori, oltre 3.000 come ci conferma Filiberto Zovico direttore del Salone, hanno dimostrato di apprezzare non solo le nuove proposte ma anche la possibilità di dialogare direttamente con gli artisti-artigiani presenti. Si tratta di un modo per abbattere le tradizionali distanze tra produttori e consumatori e per far apprezzare la qualità e la cura della creazione artigianale. Si pensi soltanto alle potenzialità che questa modalità potrebbe avere se incontrasse una parte della domanda turistica presente nelle nostre città d’arte.

Per quanto diverse, entrambe queste manifestazioni sembrano rispondere a due esigenze di fondo del pubblico. La prima riguarda la richiesta di un maggior approfondimento: l’opera d’arte così come l’oggetto autoprodotto suscitano un interesse molto più vivo se opportunamente contestualizzati. La conoscenze dettagliata del processo del restauro, così come del lavoro oscuro che sta dietro all’ideazione e alla realizzazione di un prodotto, hanno un’importante funzione narrativa, che il pubblico ricerca. Il “making of” è più coinvolgente del “prodotto finito” perché consente di apprezzare la cultura nel momento in cui viene prodotta. La seconda è legata all’interazione. Non solo i visitatori vogliono guardare dietro le quinte, ma lo vogliono fare in modo interattivo, dialogando direttamente con i protagonisti; in questo caso, restauratori o autoproduttori. 

La sfida per il prossimo futuro che il successo di queste esperienze sembra indicare è quella di declinare questi due percorsi in una serie di servizi ad alto valore aggiunto. Non è un processo scontato, ma rappresenta per il nostro paese uno spazio promettente per rilanciare la produzione culturale e, allo stesso tempo, la nostra economia.

Marco Bettiol 

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