SOCIETÀ

Hamburger in provetta e nuvole ecologiche digitali

Nel 2011 il Sindacato Italiano Veterinari Medicina Pubblica cominciava a parlare di carne in provetta “Entro sei mesi il primo wurstel . All'inizio sarà pallido e molliccio. Ma miglioreremo colore e sapore”. La carne artificiale – derivata dalle staminali - potrebbe  del resto dare un contributo per  risolvere il problema della fame nel mondo e ridurre al contempo l’inquinamento atmosferico. A distanza di un paio di anni si concretizza l’hamburger in provetta. A caro prezzo per ora, visto che si parla di un costo di oltre 200.000 dollari, sebbene di un certo interesse per la questione ecologica. Per produrre carne bovina destinata ai Paesi industrializzati, oltre al dispendio di CO2, vi è un forte consumo di acqua: un solo hamburger “brucia” 2.400 litri di acqua, un chilogrammo di carne 15.500. Una nuova era per l'alimentazione? Forse. Il progetto coordinato da Mark Post, ricercatore dell'università di Maastricht, in Olanda, ha l’obiettivo di debellare la fame nel mondo. Da anni lo staff di Post sta lavorando in laboratorio per risolvere il crescente bisogno di carne che nel 2050, si stima, raddoppierà. Il progetto “polpetta sintetica” è appoggiato dalle associazioni ambientaliste e da quelle per la tutela degli animali proprio perché potrebbe evitare la macellazione di milioni di capi di bestiame. Gli allevamenti intensivi, presenti per la maggior parte in Sudamerica hanno un pesante impatto sull'ambiente. Il settore è responsabile del 37% delle emissioni di metano e del 65% di quelle di ossido di azoto e l'allevamento sarebbe responsabile del 18% delle emissioni globali di gas serra, una percentuale superiore a quella del settore dei trasporti, si legge in un rapporto del Parlamento Ue. 

Tra i finanziatori della ricerca c’è anche il co-fondodatore di Google, Sergey Brin che di recente si è lanciato su iniziative green. Google ha creato un’apposita sezione dedicata ai passi fatti dall’azienda nei comportamenti sostenibili. Nel sito della società si legge che le emissioni di CO2 prodotte in un anno con l’utilizzo del servizio Gmail sono pari alle emissioni per il consumo di una bottiglia da 750 ml di vino.  Per fornire agli utenti tre settimane di YouTube senza interruzione, Google utilizza meno energia di quanta ne occorrerebbe per lavare un carico di bucato – molto sporco – in lavatrice. Aggiungendo l'impiego di energia rinnovabile e la compensazione delle emissioni di carbonio, l’impatto è pari a zero, dichiara Google. 

Da qualche tempo le grandi aziende che operano nel cyberspazio, non solo Google e Facebook, stanno mettendo in campo azioni che riducano le emissioni di CO2. Tra queste il cloud computing sembra possa essere uno di quei tanti mattoni verdi che si possono assemblare insieme per costruire un futuro più rispettoso del pianeta. L'energia utilizzata da una singola azienda di piccole dimensioni per ospitare localmente i dati della propria email può bastare per ospitare circa 80 aziende nella nuvola. Dai dati messi a disposizione da Facebook è emerso che ciascun membro della community sarebbe responsabile mensilmente di circa 270 grammi di anidride carbonica. La scelta di Facebook di rendere noti i dati sulle emissioni nocive è piaciuta a Gary Cook, di Greenpeace, che sottolinea come "Facebook ha preso l'impegno di utilizzare solo energie rinnovabili". Il 72% delle emissioni di Facebook è prodotto dai centri dati del social network, che si trovano negli Stati Uniti. Facebook ha anche illustrato in dettaglio le forme di energia utilizzate per alimentare i suoi centri dati: 27% carbone; 23% fonti rinnovabili; 17% gas; 13% nucleare; restante 20% fonti non classificabili. 

"L'accessibilità ai dati online porterà un'informazione chiara e diretta nelle case di tutti" ha spiegato Kevin Gurney, responsabile di Vulcan, progetto che integra i dati forniti dall'Agenzia per la protezione ambientale e dal dipartimento per l'Energia americani. Il progetto si avvale dell'alta risoluzione del servizio del motore di ricerca Google per evidenziare la distribuzione sul territorio, nelle zone residenziali e commerciali delle emissioni di CO2, permettendo di raggruppare i dati per stato, contea o per individuo. Utilizzando Google Earth, si sono realizzate mappe interattive. Ogni mappa rileva l'inquinamento ambientale dovuto a traffico aereo, produzione commerciale ed elettrica, industrie, zone residenziali e trasporti. La collaborazione per la mappatura di tutte le fonti di emissione diretta di CO2 presenti sul suolo statunitense è iniziata nel 2007. I dati, provenienti da Nasa, Epa e dipartimento per l’Energia del governo degli Stati Uniti, sono stati integrati in un’applicazione del popolare programma Google Earth da un gruppo di ricercatori della Purdue University. Le mappe disponibili anche per l’Italia tramite Google Maps consentono di monitorare le emissioni carboniche osservando la loro variazione temporale (ad intervalli di un’ora), la loro distribuzione sul territorio statunitense, e anche il tipo di carburante (tra 48 diversi) la cui combustione genera l’emissione attiva in atmosfera del diossido.

Antonella De Robbio

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