UNIVERSITÀ E SCUOLA

I professori meglio pagati al mondo

Il linguista, ed ex ministro della Pubblica Istruzione, Tullio De Mauro ha rilanciato domenica su “Internazionale” una notizia vecchia di vari mesi: quella di una ricerca internazionale secondo la quale l`Italia avrebbe i professori meglio pagati al mondo dopo il Canada. La fonte è P.J. Altbach, L. Reiseberg, M. Yudkevich, G. Androuschak e I.F. Pacheco, Paying the Professoriate. A Global Comparison of Compensation and Contracts, uscito il 13 aprile scorso da Routledge. E’ triste vedere che uno studioso serio come De Mauro resusciti un tema come quello dei “privilegi” dei docenti universitari italiani senza guardare più da vicino a una ricerca le cui basi scientifiche sono quanto meno discutibili.

Prima di tutto va detto che gli autori del libro, come riconoscono loro stessi, si erano dati un compito quasi impossibile: comparare stipendi e condizioni di vita di paesi come Italia e Australia, Stati Uniti e Arabia Saudita. In Lituania ci sono 30 università, in Messico 3.000. In Cina c’erano nel 2008 1.164.000 docenti universitari, in Etiopia 8.000. Negli Stati Uniti e in America Latina il sistema universitario è largamente privato, nel resto del mondo prevalentemente pubblico: il volume analizza solo le università pubbliche ma questo, per esempio, sposta notevolmente la posizione degli Stati Uniti dove il settore privato è più prestigioso e in grado di pagare stipendi elevati (perché dipendenti da una libera contrattazione) ai docenti-star. Gli Usa appaiono come un paese egualitario, con un rapporto di appena 1,5 fra il vertice e la base della scala salariale. La realtà è esattamente l’opposto: il sistema universitario americano si affida sempre più ai cosiddetti adjuncts per il grosso degli insegnamenti e questi professori a contratto vengono pagati una miseria e sono dei veri e propri braccianti degli atenei, come spiega con abbondanza di dettagli uno di loro, costretto a celarsi sotto lo pseudonimo di “Professor X”. 

Altbach e i suoi colleghi si sono affidati a “esperti del luogo” per la raccolta  dei dati ma i protocolli della ricerca non chiariscono come siano stati risolti i problemi di comparazione fra paesi che hanno tre livelli nelle gerarchie accademiche (fra cui l’Italia) e paesi che ne hanno 12. Nel capitolo su questo, il volume afferma: “In Cina ci sono così tanti livelli nella gerarchia accademica che il personale può progredire lungo la scala per molti anni senza mai raggiungere il livello di full professor” (l’equivalente del nostro professore ordinario ndr).

La soluzione trovata  da Altbach e dai suoi colleghi è stata quella di raggruppare tutti in tre classi, ma naturalmente questo non chiarisce quanto siano comparabili paesi in cui ci siano solo tre livelli, con compensi relativamente poco differenziati tra loro, con paesi in cui ci sono 12 livelli molto distanziati fra loro. La ricerca parla di docenti Top faculty, Middle level e Entry level ma non chiarisce se siano stati usati gli stipendi a fine carriera o all’inizio: la prima busta paga di un ricercatore italiano nel primo anno di servizio supera a stento i 1.000 euro netti (1.171,36 per un single) ma nel caso di “vecchi” ricercatori che abbiano fruito del massimo numero di scatti previsti dall’ordinamento prima che i governi recentemente succedutisi bloccassero tutto (14) la cifra può raggiungere anche i 3.000 euro circa. Lo stesso per gli associati: lo stipendio di ingresso netto è 2.192 euro, quello a fine carriera circa 3.500. Per quanto riguarda gli ordinari, le tabelle ministeriali chiariscono che chi è appena entrato in servizio percepisce circa 2.890 euro, contro i circa 5.460 dopo 30 anni di lavoro (un caso che ormai riguarda solo una fascia di docenti in via di estinzione perché l’età di arrivo alla qualifica di ordinario è sempre più elevata).

Sarebbe quindi stato necessario, dal punto di vista metodologico, raggruppare i docenti non solo in tre fasce ma, all’interno di ciascuna fascia, in gruppi con anzianità non troppo diverse e fare delle medie. Per esempio: quanti sono gli ordinari italiani a fine carriera? Quanti a metà percorso? E quanti appena entrati in quel ruolo? Solo facendo dei calcoli di questo tipo si poteva evitare di sparare cifre a caso come quelle che sono state riportate dai giornali, da cui risulterebbe che i professori ordinari italiani sarebbero i migliori pagati al mondo dopo il Canada (con $ 9.485) e il Sud Africa (con $ 9.330). Secondo lo studio di Altbach e dei suoi colleghi lo stipendio medio di un ordinario italiano ammonterebbe a ben 9.118 dollari a parità di potere di acquisto (PPP, un modo per rendere comparabili tra le varie nazioni) ma non è nemmeno chiaro se questa sia la cifra lorda o netta (come si sa, c’è una bella differenza tra la pressione fiscale in Italia e in Australia o negli Stati Uniti).

Conclusione? Gli stessi ricercatori scrivono: “Il presupposto, quando questa ricerca è iniziata, era che avremmo potuto sviluppare chiari modelli di salari, remunerazioni e contratti, facendo emergere i denominatori comuni. Abbiamo scoperto, invece, che c’è una grande complessità per quanto riguarda i compensi totali e che sono possibili sono generalizzazioni limitate”. Nulla a che fare con i titoli secondo i quali i docenti italiani sono i più pagati del mondo.

 

F.T.

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