SCIENZA E RICERCA

Il babirussa e l'arte dell'homo sapiens

L’articolo con cui, lo scorso 9 ottobre, un gruppo di ricercatori australiani dell'Università di Wollongong e di Canberra, e indonesiani del Centro nazionale di archeologia di Giacarta ha annunciato di aver datato 14 esempi di arte rupestre (12 silhouette di mani umane e 2 di animali) in sette diverse grotte nei dintorni di Maros, una cittadina dell’isola di Sulawesi, in Indonesia, ha creato un bel po’ di stupore in tutto il mondo e sta facendo discutere gli esperti di evoluzione umana.

Quelle mani e quegli animali erano state scoperta da tempo. Ma sulla base di congetture si pensava risalissero a non più di 10.000 anni fa. 

Anthony Dosseto, senior lecturer della University of Wollongong, e la squadra che con lui ha effettuato la scoperta, hanno utilizzato una tecnica di datazione scientifica e molto precisa, basata sulle serie di uranio. La tecnica consiste in una sorta di orologio nucleare: si misura infatti l’abbondanza relativa dell’uranio e dei suoi prodotti di decadimento radioattivo. Ebbene l’orologio nucleare ha dato un responso inatteso: alcune delle silhouette di mani umane risalgono ad almeno 39,9 migliaia di anni fa. E il dipinto di un babirussa (un parente del cinghiale tipico di Sulawesi e di tutte le isole della Sona) risale ad almeno a 35,4 migliaia di anni fa. I ricercatori hanno indicato i limiti inferiori dell’età dei reperti. Che, pertanto, potrebbero essere anche più antichi.

Il che significa, sostengono Dosseto e i suoi colleghi, che le silhouette ottenute spargendo dei pigmenti colorati intorno a una mano di Maros sono molto probabilmente le forme di arte rupestre più antiche mai ritrovate al mondo (anche se i dipinti di El Castillo, in Spagna, vengono datati a 40,8 migliaia di anni fa). E che il babirussa è tra i più antichi dipinti di animali mai ritrovati. 

La scoperta è di grande rilievo. E merita lo stupore suscitato. Non solo perché obbliga a riscrivere alcune pagine del Guinness dei primati. E neppure solo per motivi estetici: si tratta infatti di dipinti che con i nostri criteri moderni giudichiamo senza difficoltà come molto belli. Ma anche e soprattutto perché si è finora ritenuto che l’arte rupestre fosse un’invenzione europea (dell’Homo sapiens da poco giunto in Europa), risalente appunto a un periodo compreso tra 40.000 e 35.000 anni fa, e poi estesasi per diffusione in tutto il mondo antico. La scoperta dei dipinti rupestri in Indonesia ha lasciato tutti stupefatti perché rivoluziona le nostre idee sull’origine dell’arte rupestre. Un tema non da poco, visto che questa arte è considerata l’espressione di un’inedita capacità, quella di pensare l’astratto, da parte di Homo sapiens.

È evidente che finora avevamo cercato le chiavi delle nostre origini culturali solo lì dove c’era il lampione (l’Europa con la sua forte comunità di ricercatori) e non le avevamo cercate anche nelle zone poco illuminate. Ora che si stanno accendendo altre lampade troviamo altre chiavi che aprono porte sull’evoluzione culturale umana sconosciute e inattese. 

Anthony Dosseto e i suoi colleghi sottolineano, infatti, che i ritrovamenti dimostrano che Homo sapiens produceva arte rupestre intorno a 40.000 anni fa agli estremi opposti dell’Eurasia. La sottolineatura ha una coda velenosa. Com’è possibile che gruppi di umani facessero sostanzialmente le stesse cose nello stesso tempo a migliaia di chilometri di distanza? Come e dove è nata l’arte rupestre? Quando e dove l’uomo ha acquisito il pensiero astratto?

Lasciamo quest’ultima domanda in sospeso. Perché l’acquisizione del pensiero astratto è, molto probabilmente, un processo che si è sviluppato in un arco di tempo lungo. Anche se molti sottolineano come arte rupestre, capacità musicali (famoso è il flauto di Neandertal trovato in Europa e risalente a 35.000 anni fa) e linguaggio siano apparsi tutti nello stesso periodo – intorno a 40.000 anni fa, appunto – e siano cause e insieme conseguenze di un salto nella storia evolutiva della cultura umana. 

Ma anche la risposta alle altre due domande è aperta. Le opzioni possibili sono tre. La prima e, probabilmente, la più inverosimile è quella policentrica: i gruppi di sapiens hanno acquisito la medesima capacità di esprimere arte rupestre in posti diversi nel medesimo tempo in maniera del tutto indipendente. Quasi che un processo di evoluzione cognitiva fosse venuto a maturazione.

Una seconda ipotesi è invece monocentrica e più articolata. I sapiens sono giunti nell’arcipelago indonesiano circa 50.000 anni fa e sono giunti in Europa qualche millennio dopo. Tutti, in origine, venivano dall’Africa e sono passati per il Medio oriente. È così probabile che in Indonesia come in Europa e probabilmente altrove i sapiens abbiano espresso, magari in forme leggermente più evolute, un comune sapere acquisito in passato. Insomma, la capacità di espressione artistica è stata acquisita una e una sola volta, probabilmente in Africa, e i dipinti di Maros come quelli di El Castillo sono sviluppi indipendenti di un passato comune.

Una terza ipotesi è quella che potremmo definire di “diffusione dei memi”, in analogia con la “diffusione dei geni”. La genetica delle popolazioni ha infatti dimostrato che in ogni epoca, compresa del più lontano paleolitico, i vari gruppi di Homo sapiens non sono mai stati del tutto isolati, ma sempre in contatto tra loro, anche riproduttivo. E, infatti, Homo sapiens ha una grande variabilità genetica ma non ha al suo interno razze diverse, come invece succede ad altre specie animali. A maggior ragione questa contiguità fisica tra i gruppi di umani ha consentito la diffusione dei memi, ovvero delle conoscenze. Acquisito un sapere significativo, come la capacità di dipingere sulle rocce, questo si sarebbe diffuso tra tutti i sapiens coprendo migliaia di chilometri in poche centinaia o pochissime migliaia di anni. 

È interessante notare che una discussione analoga riguarda anche l’origine e lo sviluppo della scienza, acquisita da Homo sapiens molto tempo l’arte rupestre. Ci sono i fautori del modelli multicentrico, secondo cui la scienza è stata inventata (o scoperta?) in maniera indipendente in tempi relativamente sincroni nel mondo ellenistico, in India e in Cina. E ci sono i fautori del “modello per diffusione”, secondo cui la scienza è un accidente congelato occorso una e una sola volta, in epoca ellenistica nel bacino del Mediterraneo, e poi diffuso con modalità epidemiche per il mondo (in India, in Cina e poi ancora nel mondo islamico e infine in Europa). 

Queste dicotomie tra modelli ci dicono, a ben vedere, che ancora non conosciamo bene – che ancora non abbiamo una teoria solida – dell’origine e delle modalità di sviluppo di quello che il biologo Theodosius Dobzhansky ha definito il terzo trascendimento nella storia evolutiva del vivente: la cultura dell’uomo.

Pietro Greco

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