SCIENZA E RICERCA

Il clima della Terra: l'emergenza silenziosa

Le emissioni globali di gas serra sono in aumento a un ritmo doppio rispetto a dieci anni fa: dall’1% annuo fino al 2000 al 2,2% tra il 2000 e il 2010. E la temperatura media è in salita, tanto che si prevede entro il 2100 un aumento dai 3,7 ai 4,8 gradi rispetto ai livelli pre-industriali. A sottolineare la necessità di una opportuna politica di interventi è la terza parte del quinto rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), Climate change 2014. Mitigation of climate change, presentata pochi giorni fa a Berlino. Obiettivo: contenere l’innalzamento della temperatura entro i due gradi, che significa entro il 2050 ridurre le emissioni di gas serra dal 40 al 70% rispetto al 2010, per arrivare a valori pari allo zero nel 2100. 

Gli anni cruciali saranno i prossimi 16. Se infatti nel 2030 la produzione di gas serra avrà superato i 55 miliardi di CO2 all’anno, sarà necessaria una riduzione del 6% annuo per rimanere nel target dei due gradi. Al contrario gli sforzi in termini economici e di riduzione delle emissioni sarebbero dimezzati se si riuscisse a rimanere sotto la soglia dei 55 miliardi. Ritardare gli interventi dunque costa. 

Da tempo ormai la comunità scientifica avverte che i cambiamenti climatici, l’esaurimento delle risorse naturali, l’aumento della popolazione sono fattori che incidono sullo “stato di salute” del nostro pianeta. “Già alla fine dell’Ottocento – sottolinea Luca Mercalli, meteorologo e climatologo in un recente incontro all’università di Padova – Svante Arrhenius metteva in relazione le emissioni di anidride carbonica con l’aumento della temperatura a livello globale”. E continua: “Negli anni Settanta del Novecento Aurelio Peccei (1908-1984) (fondatore della Fiat Concorde e vice-presidente dal 1967 al 1773 della Olivetti, Ndr) fu il primo a porre il problema dell’esaurimento delle risorse sulla terra”. Nel 1968 fondò il Club di Roma, che comprendeva industriali, politici e scienziati, e commissionò uno studio sull’argomento a quattro scienziati del Massachusetts institute of technology (Mit) di Boston, Dennis L. Meadows, Donella H. Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens. Quattro anni più tardi uscì il rapporto The limits to growth (I limiti dello sviluppo) in cui gli autori sulla base di modelli matematici dimostravano a quali rischi probabilmente sarebbe andato incontro il nostro pianeta a causa del continuo sfruttamento delle sue risorse (limitate) a fini soprattutto economici. Non si allontanarono di molto da ciò che poi effettivamente è accaduto, ma all’epoca non vi si prestò molta attenzione e anzi il testo fu bollato come sbagliato. 

“Ancora oggi l’emergenza rimane silente – sottolinea Mercalli – Nessuno ne parla, a eccezione degli scienziati. Esce un rapporto e non se ne discute”. Eppure gli argomenti non mancano. Si pensi, ad esempio, che gli anni più freddi della nostra contemporaneità sono uguali ai più caldi del passato. L’estate del 2003, ma anche le successive, hanno toccato temperature da record con ripercussioni non solo sulle foreste ma anche sulla salute dell’uomo. Gli oceani hanno un tasso di crescita di 3,2 millimetri all’anno. Nell’arco dello stesso periodo i ghiacciai perdono un metro di ghiaccio, al punto che nel giro di sette anni si è assistito a un cambiamento epocale della loro morfologia. A ciò si aggiunga il cambiamento nell’utilizzo del suolo dovuto a una sempre maggiore urbanizzazione e cementificazione, la perdita di biodiversità, il rischio di estinzioni locali di alcune specie e modifiche negli habitat, l’uso eccessivo di acqua in alcuni territori e l’inquinamento chimico.

Per il futuro in Europa in particolare, aggiunge in una nota Sergio Castellari del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e membro di uno dei gruppi di lavoro dell’Ipcc, è previsto un aumento di temperatura in tutte le regioni, una possibile crescita delle precipitazioni nell’Europa settentrionale e un calo invece nelle aree meridionali. Di conseguenza, un rischio maggiore di inondazioni costiere e fluviali (sia per le intense precipitazione che per l’aumento del livello del mare) e nelle zone meridionali di incendi boschivi. E sono proprio le regioni mediterranee e sud europee a essere individuate come le più vulnerabili ai cambiamenti climatici con effetti negativi in molti settori, dal turismo all’agricoltura, dalle infrastrutture alla salute. 

Cosa fare dunque? “Ricerca innanzitutto – risponde Mercalli – Sono necessari scenari di previsione. Bisogna rendersi conto che le risorse non sono illimitate: solo la recente crisi economica ha messo un tampone alla cementificazione. Gli economisti non affrontano seriamente il problema dei cambiamenti climatici, i politici non intervengono”. L’Ipcc ora, dopo aver preso in esame le basi fisico-scientifiche dei cambiamenti climatici (nella prima parte del rapporto, Climate change 2013. The physical science basis), il loro impatto su scala globale, le vulnerabilità dei sistemi naturali e i modi con cui fronteggiare i rischi (nella seconda parte, Climate change 2014. Impacts, adaptation and vulnerability), suggerisce politiche di intervento. Indica le possibili strategie di mitigazione, di riduzione delle emissioni di gas serra, da un lato attraverso processi di decarbonizzazione, dall’altro di efficienza energetica. Si va quindi da azioni di afforestazione alla riduzione della deforestazione; dal ricorso all’energia rinnovabile alle biomasse; da un migliore utilizzo del suolo a una gestione più sostenibile delle città. 

Carlo Carraro, altro membro italiano dei gruppi di lavoro dell’Ipcc, sottolinea poi come la questione ambientale sia anche una questione di sviluppo economico che “ha a che fare con la povertà, con i bisogni dei Paesi in via di sviluppo, con gli impatti che i cambiamenti climatici hanno e avranno in Europa e, soprattutto, nelle regioni meno ricche della Terra”. È dunque necessario che i Paesi più industrializzati collaborino con quelli più poveri, per una questione etica e di responsabilità da parte di chi ha creato il problema.

Monica Panetto 

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012