SCIENZA E RICERCA
Il riposo dell’animale sociale
Diciamo la verità: ce ne eravamo accorti. Staccare ogni tanto fa bene. Riposare ci ritempra. Dopo una vacanza torniamo ricaricati. E basta una bella dormita per sentirci non solo più freschi, ma anche più produttivi. Dunque l’articolo che Ferris Jabr ha firmato, nei giorni scorsi, sullo Scientific American, la più nota e accreditata rivista di divulgazione scientifica al mondo, malgrado quel suo titolo, You need more downtime than you think (Hai bisogno di staccare più di quanto pensi), non ci coglie impreparati. Grazie per l’avvertimento, Ferris: ma lo sapevamo.
Già, ma perché abbiamo bisogno di riposare e di dormire? E perché dopo il riposo o il sonno ci sentiamo più freschi e pronti all’azione che mai non solo nel corpo, ma anche nella mente? Le risposte a queste domande non sono affatto banali. Anzi, neppure le conosciamo. Per molto tempo gli scienziati le hanno cercate nel senso comune: perché durante la veglia il cervello consuma energia e ha bisogno di spegnersi per ricaricarsi, come una batteria.
Ma, grazie alle ricerche con le recenti tecniche di brain imaging che consentono di vedere il cervello mentre lavora (o mentre riposa, ma vivo e vegeto), emergono risposte molto più articolate sebbene non conclusive.
È vero che quando è sveglio il cervello è un turbinio di circuiti che lavorano in sincrono e sono tra loro integrati. Ed è vero, come spiegano Marcello Massimini e Giulio Tononi nel libro Nulla di più grande, da poco pubblicato con l’editore Baldini&Castoldi, che nel passaggio dalla veglia al sonno, in pochi minuti, tutte le integrazioni vengono staccate e il cervello diventa come una moderna nave da carico, tutto a compartimenti stagni.
Tuttavia c’è un piccolo, grande mistero. Il cervello chiede continuamente al suo corpo di preservargli il 20% dell’energia che l’organismo produce. E che non ci sia gran differenza tra la veglia e il sonno sembra confermarlo il fatto che quando siamo impegnati in un’attività che richiede grande concentrazione, la domanda di energia salga di appena il 5 o al massimo il 10%. Inoltre quindici anni fa Bharat Biswal, allora al Medical College of Wisconsin, scoprì, con la nuova tecnica della risonanza magnetica nucleare funzionale (Fmri), che le paratie che calano nel cervello durante il riposo non sono proprio a tenuta. E che, anzi, molte zone del cervello continuano a comunicare in maniera coordinata tra loro. Anche se in maniera diversa che durante una piena attività. Addirittura si attivano nuovi circuiti, che se ne stanno buoni durante la veglia.
Insomma, durante il sonno il cervello cambia modo di funzionare. E quando riposa – lasciando andare liberi i suoi pensieri e sognando a occhi aperti – non cessa né abbassa l’intensità della sua attività. Semplicemente la cambia.
Oggi sappiamo che esiste una rete di circuiti cerebrali, chiamata default mode network (Dmn) che si attiva proprio durante il riposo. Anzi di reti attive durante il riposo e non durante l’azione cosciente ce ne sono almeno cinque. Ma la Dmn è la principale. Come spiegano Mary Helen Immordino-Yang e i suoi colleghi della University of Southern California in un articolo, Rest is not Idleness (il riposo non è inattività) pubblicato sulla rivista Perspectives on Psychological Science, il cervello durante il riposo o durante il dormiveglia non solo non è inattivo, ma è addirittura produttivo. Perché lavora a processi mentali tesi a riaffermare la nostra identità, a sviluppare la nostra comprensione dei comportamenti degli altri, a rielaborare il nostro codice etico e a rivisitare sulla base di questo codice i nostri stessi comportamenti. Serve per il nostro sviluppo umano e per la nostra educazione.
Staccare e riposare e dormire, dunque, non è la tecnica inventata dall’evoluzione per ricaricare le batterie del cervello, bensì per vagliare criticamente le nostre recenti azioni e quelle degli altri. Serve, in qualche modo, per riconnetterci.
Una scoperta che sembra corroborare questa tesi è quella realizzata dall’inglese Rogier B. Mars, psicologo sperimentale dell’università di Oxford nel Regno Unito, e da un gruppo di suoi colleghi che ne hanno dato conto sulla rivista Frontiers in Human Neurosciences: la default mode network, la rete Dmn, che si attiva durante il riposo è largamente sovrapponibile, sia negli uomini che nei primati, alla rete neurale che durante la veglia piena consente l’“intelligenza sociale”. Ovvero quella che permette di comprendere le diverse relazioni che esistono tra le persone che incontriamo, oltre che le relazioni che esistono tra noi e quelle persone.
Il Dmn potrebbe dunque essere il sistema logico che l’evoluzione umana ha prodotto per gestire il suo carattere cognitivamente più impegnativo: quello delle relazioni sociali. E il riposo potrebbe essere lo strumento necessario per ristabilire gli equilibri nella nostra frenetica attività di animali sociali.
Pietro Greco