CULTURA
Il ritorno della bellezza
John William Waterhouse, Gather Ye Rosebuds While Ye May (1909), da un verso del poeta inglese Robert Herrick
La bellezza, piaccia o meno, in Italia va di moda. Se ne parla. Si scopre l'acqua calda, si sta attenti a non buttare la creatura con l'acqua sporca, si magnifica l'intangibile, il Piq (prodotto interno di qualità) insieme al Fil (felicità interna lorda). È la soft economy, bellezza. E che quella celebrata da Sandro Penna sia passata o meno definitivamente in bicicletta (che è più green) ancora non si sa, ma checché ne dica il poeta, l'anima "un po' nera per non averla stretta" ce l'abbiamo, eccome, e spesso anche i pensieri, quando se ne sente parlare a sproposito o per moda. La poesia salva la vita, con la cultura si mangia o non si mangia, a sentirla nominare si mette mano alla pistola o al portafoglio? Sorrentino sale all'Olimpo degli Oscar, Pompei e tutti i Filistei crollano. Nel caos che il tema può suscitare, a fare un po' ordine ci pensa un professore che si chiama proprio così, Nuccio Ordine (nato a Diamante per giunta) e insegna letteratura italiana all'università di Calabria. Lo fa con il saggio L'utilità dell'inutile (Bompiani, 2013) nel quale in-utile è proprio ciò che non produce utile economicamente inteso, testo uscito prima in francese e poi in italiano (e anche questo è un po' significativo). L'autore è tra i massimi esperti al mondo di Giordano Bruno oltre che di Rinascimento, e a supporto dell'apparentemente ossimorica tesi che nemmeno in tempo di crisi è utile solo ciò che crea profitto cita una pletora di numi tutelari che riescono a fare sentire il lettore che ha studiato – ahilui – filosofia o semplicemente ne tragga conforto, un po' meno solo.
Chiama a raccolta scrittori e filosofi, Nuccio Ordine, e quel che ne viene fuori è quasi un manifesto politico; si parte da Shakespeare (autore caro a Bruno, che lo volle incontrare, e viceversa) e dal Mercante di Venezia che come molte aziende, molte banche e molte istituzioni pretende libbre di carne viva dai propri debitori. Spiega con Socrate che solo il sapere può sfidare le leggi del mercato e che "sarebbe davvero bello se la sapienza fosse in grado di scorrere dal più pieno al più vuoto di noi, solo che ci mettessimo in contatto l'uno con l'altro...". Ci invita a riflettere insieme a biofisici e psicoterapeuti (Pierre Lecomte Nouy e Gérard Schmit) sulla semplice considerazione che l'utilità dell'inutile, prerogativa umana, è poi l'utilità della vita (della creazione, dell'amore, del desiderio).
Indaga con Campanella, Bacone e Robert Louis Stevenson le isole fantastiche come modelli di società in cui si disprezza l'ingiustizia e dove l'industria societaria della pirateria richiama quella capitalista. Da David Foster Wallace (e dalla sua metafora del giovane pesce che dà l'acqua per scontata) a Giacomo Leopardi l'inutilità (che il giovane favoloso di Recanati ritiene più apprezzata dalle donne che dagli uomini. Ma non addentriamoci in discorsi da liste rosa…) acquista corpo e sostanza come una valanga e tocca anche temi molto civici: la difesa delle biblioteche e quella delle lingue classiche.
Paventa, Ordine, la scomparsa degli insegnamenti di latino e greco e con essi quella di filologi, paleografi, archeologici; in una parola della Dea Mnemosyne e del desiderio umano di interrogare il passato per comprendere il presente e immaginare il futuro.
Il saggio anomalo di Nuccio Ordine ne richiama un altro di tutt'altro genere ma profonda consonanza, uscito anche questo pochi mesi fa. Si tratta di Trash europeo – quattordici modi per ricordare mio padre di Ulf Peter Hallberg (Iperborea, 2013), e mutua il titolo da una conversazione vera udita dall'autore svedese in viaggio a New York. A parlare è una donna elegante, a Central park.
“Quanto adoro l’Europa, l’antica Grecia, Socrate, Platone, wow, e i romani, così sensuali, Catullo, l’Italia, Dante a Firenze, meraviglioso, il Rinascimento, l’Inghilterra, Shakespeare! Tutti quei personaggi che si guardano dentro, e Dickens, ah, Dickens, il vecchio adorabile Pickwick, e Parigi, Baudelaire, il poeta solo nella folla elettrizzato dai passanti, e i russi, Tolstoj, Dostoevskij, tutta quella miseria, Čechov, con la sua eterna malinconia del troppo tardi. Gli irlandesi poi! Quel Leopold Bloom che vaga per Dublino in un solo giorno come una specie di Ulisse – tutto è sempre legato all’antichità!”. L’uomo sulla panchina fissa il suo iPhone. La donna continua: “A proposito, c’è una super mostra di impressionisti francesi al MoMA, ti va?”. L’uomo alza lo sguardo: “Lo sai che non sopporto il trash europeo”. Il trash in questo caso è il finto ciarpame caro alla musa dell'amato padre dell'autore, che si interessava di Blade Runner, neorealismo italiano, Greta Garbo e vocazione turistica di Venezia, ritagliando, archiviando, collezionando e incarnando la prova che un'alternativa al "modello di stato sociale fondato su un consumismo privo di ogni legame con la cultura" c'è, e che da essa e "dalla cura e dalla responsabilità paterne" (dei padri in senso lato, volendo considerare tali anche quelli che ci governano) dipende la nostra salvezza. Silvia Veroli