UNIVERSITÀ E SCUOLA

Indebitati fino alla settima generazione

Che gli studenti americani siano costretti a prendere in prestito dal governo e dalle banche enormi quantità di soldi per finanziare i propri studi universitari è fatto ormai ben noto. Complessivamente, il debito studentesco negli Stati Uniti ha già largamente superato i mille miliardi di dollari ed è secondo solo ai mutui casa come fonte di indebitamento per i cittadini di questo paese. Secondo dati elaborati da Experian, una società di ricerca e consulenza, 40 milioni di americani si trovano oggi a dover ripagare almeno un prestito da studio, per una media di quasi 30.000 dollari a testa. Ma questo è solo un aspetto di un sistema oggi quanto mai iniquo giacché, a fronte di tasse di iscrizione al college in continuo aumento e di un mercato del lavoro ancora carente, obbliga un numero sempre maggiore di giovani a contrarre debiti proprio in un momento in cui è per loro particolarmente difficile guadagnare abbastanza, una volta laureati, per saldarli. 

Al contrario di altre categorie di obblighi finanziari, ad esempio, il debito studentesco non viene generalmente cancellato in caso di bancarotta, regolata negli Stati Uniti da una cornice normativa considerata altrimenti molto generosa nei confronti dei debitori. “Anche se non è impossibile, è molto difficile liberarsi di questo tipo di passivi – dice Barbara O'Neill, che insegna Gestione delle Risorse Finanziarie a Rutgers, The State University of New Jersey – Bisogna provare ai giudici di versare in condizioni economiche davvero precarie, in pratica bisogna essere disoccupati, oppure malati terminali.” Spiega O’Neill, ad esempio, che un laureato che trovi solo un impiego mal pagato a Starbucks, insufficiente a sdebitarsi realmente, deve comunque continuare a versare le proprie rate, anche se magari gli è concesso uno sconto di qualche genere.

Inoltre, il debito studentesco, in particolare quello contratto con istituti di credito privati, non sparisce nemmeno in caso di morte del debitore, con i cofirmatari del prestito originale (solitamente i genitori) che lo ereditano spesso nella sua interezza. In estate, i media americani hanno riportato la storia di Steve e Darnelle Mason, una coppia californiana la cui figlia ventisettenne Lisa è morta prematuramente qualche anno fa a causa di una malattia al fegato. Oltre a farsi carico dei tre nipotini rimasti orfani, i Mason, il cui reddito dipende dai 75.000 dollari l’anno guadagnati da Steven come reverendo e dal modesto salario di Darnelle, che è direttrice della medesima chiesa, si sono dovuti sobbarcare anche i 100.000 dollari di debito privato fatto da Lisa per studiare da infermiera. Cifra che è rapidamente raddoppiata a causa di interessi fino al 12% e di una serie di penali imposte sui Mason, ai quali mancavano i mezzi finanziari per far fronte alle rate mensili in maniera tempestiva.

“Sono situazioni rare, ma che capitano. È successo anche a me di avere uno studente che è deceduto qualche mese dopo aver seguito il mio corso, era un ragazzo giovane ma malato di cancro – dice O'Neill – Ragion per cui forse è il caso anche per gli studenti di avere un’assicurazione sulla vita, cosa a cui normalmente non verrebbe da pensare, ma se ci sono altre persone responsabili per i tuoi debiti, può valerne la pena”. 

Secondo O'Neill, sono due i fattori principali che hanno dato vita a questo meccanismo così inflessibile: la paura che si diffonda l’“azzardo morale”, ovvero l’idea che ci si possa liberare facilmente dei debiti contratti per studiare, e il fatto che, al contrario di un mutuo per l’acquisto di una casa o di una macchina, un prestito a uno studente non implica alcun bene materiale di cui una banca può impossessarsi in caso di insolvenza. 

L’aumento del debito studentesco avvenuto negli ultimi anni, sommato alla rigidità del sistema, fanno sì che oggi 7 milioni di americani siano inadempienti su pagamenti per circa 100 miliardi di dollari (dati del Consumer Financial Protection Bureau – CFPB). Questo fenomeno, inoltre, causa distorsioni sul mercato del lavoro anche per quanto riguarda chi è in pari con i pagamenti. La necessità dei laureati più indebitati di guadagnare salari sufficientemente alti a saldare i propri conti, li spinge automaticamente verso le professioni più remunerative, privando quindi altre occupazioni, di maggior impatto sociale ma con stipendi inferiori, dei migliori talenti. Tra chi completa il lungo percorso di studi in medicina (con un debito medio di 170.000 dollari), la tentazione di specializzarsi negli ambiti meglio pagati, come ad esempio la chirurgia ortopedica, la cardiologia e la gastroenterologia, piuttosto che finire a fare il medico di base, di cui gli Stati Uniti in realtà avrebbero molto più bisogno, è molto forte. Lo stesso vale per i neo-avvocati, che spesso seguono un percorso quasi obbligato verso i grandi studi che rappresentano i finanzieri di Wall Street e le multinazionali perchè non possono permettersi di lavorare nel settore pubblico o non-profit. 

Va detto che l’Amministrazione Obama si è mostrata molto attenta al problema e, negli ultimi anni, ha attuato una serie di misure volte a mitigarne gli aspetti più estremi. Il piano “Pay As You Earn”, ad esempio, fu lanciato nel pieno della crisi nel 2010, per aiutare gli studenti che si erano indebitati con il governo tra il 2007 e il 2011. PAYE, come è conosciuta l’iniziativa, prevede che tali prestiti (ma ovviamente non quelli ottenuti privatamente) siano ripagati dopo la laurea con rate mensili che non superino il 10% dello stipendio del debitore e che qualsiasi ammontare ancora inevaso dopo venti anni sia cancellato per intero. Quest’estate, PAYE è stato esteso a tutti i cittadini cui il governo ha fatto credito per permettere loro di studiare.  “Di recente leggevo che la percentuale di debitori morosi è in calo – conclude O'Neill – Il che significa che queste nuove opzioni create negli ultimi tre, quattro anni, stanno cominciando a funzionare”. Gli ultimi dati del dipartimento dell’Istruzione rilevano infatti un calo annuale del tasso di insolvenza dell’1%, per quanto, al 13,7% di tutti i prestiti effettuati nel 2011, si tratti di un livello ancora molto elevato. 

Più di recente, la Casa Bianca ha inoltre applicato nuove restrizioni all’erogazione di fondi federali a quei college, soprattutto di genere for-profit, i cui laureati pagano più del 20% del proprio reddito complessivo per saldare i propri debiti (che per questa categoria di studenti si aggirano sui 40 mila dollari, decisamente più alti della media nazionale – non a caso i laureati delle università for-profit finiscono anche più frequentemente per essere insolventi). 

L’intervento della Casa Bianca per tamponare l’emergenza debito studentesco è tanto più opportuno se si considera che, ad oggi, il governo federale ci guadagna sopra. In aprile, il Congressional Budget Office ha stimato che Washington genererà profitti per 127 miliardi di dollari nel corso dei prossimi dieci anni, grazie al fatto che gli interessi su questi prestiti sono superiori al costo in cui incorre il governo per finanziarli. 

Tant’è che c’è chi, nel frattempo, prova a risolvere il problema con mezzi più drastici. Rolling Jubilee, un gruppo di attivisti incontratisi al picco delle manifestazioni di Occupy Wall Street, ha annunciato a settembre di aver acquistato sul mercato l’equivalente di circa quattro milioni di dollari di debiti (a un prezzo scontato al 70%) contratti da un paio di migliaia di studenti di Everest College, un istituto for-profit oggi sotto inchiesta da parte del governo federale per le pratiche dubbie con cui convince i propri iscritti a indebitarsi fino al collo in cambio della promessa di guadagni futuri difficilmente realizzabili. E, anziché cercare di farsi ripagare come avrebbero fatto altri creditori, Rolling Jubilee ha invece abbuonato in un sol colpo tutto il denaro ancora dovuto.  

Valentina Pasquali

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