SOCIETÀ
L’anima delle cose
“So che almeno metà del denaro che spendo in pubblicità è sprecato. Il problema è che non so quale sia.”Queste parole di Frank Winfield Woolworth, un proprietario di grandi magazzini di inizio Novecento, divenute celebri negli anni, riassumono efficacemente la difficoltà in cui ancora oggi si imbatte chi studia gli effetti che l’azione pubblicitaria ha nella storia recente, sulle società e sulla loro evoluzione. La domanda sull’efficacia è imprescindibile tanto per il venditore quanto per lo storico, in questo campo.
Prova a fare il punto sulla questione, analizzando la storia della pubblicità americana nel Novecento, Ferdinando Fasce, docente di storia contemporanea presso l’Università di Genova. I suoi studi, volti a mettere in luce le relazioni che intercorrono tra la pubblicità come sistema industriale e lo sviluppo delle culture di massa delle società avanzate, sono raccolti nel libro Le anime del commercio. Pubblicità e consumi nel secolo americano, edito da Carocci nel 2012.
Partendo da P. T. Barnum, imprenditore (e imbonitore) statunitense famoso per il suo American Museum e per l’altrettanto celebre Circo, ricordato per la sua capacità di attirare spettatori mediante l’utilizzo di manifesti e volantini promozionali in bilico fra autenticità proclamata e inganno evidente già a metà Ottocento, e passando per le tre agenzie pubblicitarie che si contendevano la scena agli albori del XX secolo (N.W.Ayer & Son a Philadelphia, Lord Thomas (L&T) a Chicago, J. Walter Thompson (JWT) a New York), Fasce riflette sulla duplice natura, economica e culturale, dei processi che regolano l’attività del settore.
Fin dal principio interessi commerciali, elementi organizzativi delle aziende e stimoli provenienti dalla società si fondono inestricabilmente in uno strumento che, nato per i circhi, le esibizioni e gli spettacoli e influenzato dalla nascita della propaganda moderna nella Prima guerra mondiale, è diventato rapidamente una dei luoghi più importanti per la costruzione dell’immaginario e delle aspettative delle nostre società. Momento di passaggio essenziale, il 1929.
Dopo la grande depressione, la pubblicità in America ha radicalmente mutato sembianze: da un sistema di propaganda semiartigianale si è passati a un’organizzazione industriale che, dagli anni Cinquanta del Novecento, si è imposta come leader mondiale del settore, divenendo il modello di riferimento per tutte le altre nazioni e veicolo privilegiato per l’estensione a tutti i paesi occidentali dell’American Way of Life.
Così Madison Avenue, già a partire dagli anni Venti la strada di New York in cui hanno sede tutte le più importanti agenzie pubblicitarie americane, è divenuta sinonimo di pubblicità: una tecnica inizialmente mossa dallo spirito di “animare le merci”, rendendole uniche agli occhi del consumatore, e oggi invece volta a conquistare la sensibilità collettiva, a fare delle merci degli oggetti carichi di emozioni, capaci di evocare mondi: “Lo sforzo della pubblicità è caricare gli oggetti di un senso che non è più loro intrinseco. Bisogna fissare nelle menti di cui la pubblicità compra l’attenzione, un’equivalenza tra le cose e i valori simbolici”.
Fasce pone l’accento sul periodo d’oro della pubblicità americana, che ha inizio nel secondo dopoguerra e si estende fino agli anni Sessanta. Anni segnati dalla grande ripresa economica avvenuta soprattutto grazie al denaro derivante dalle forniture belliche, in un lungo periodo di pressoché piena occupazione, che portò le banche americane alla concessione di mutui agevolati per gli acquirenti di case, al baby boom e all’aumento dei consumi legati alla sfera domestica: elettrodomestici, complementi d’arredo, automobili. Tutte cose che oggi sembrano qui da sempre, ma che prima degli anni ’40 non c’erano per nulla, come consumi di massa e come necessità collettive. La pubblicità in questi anni divenne capace di dare un’anima agli oggetti, fece dei nuovi consumi il veicolo di sogni e status grazie a radio e televisori, divenuti in poco tempo beni di largo consumo.
Un ulteriore salto di qualità si ebbe con l’apporto delle teorie dello psicoanalista viennese Ernest Dichter che, fondando l’Institute for Motivational Research, individuò come essenziale la relazione tra gli argomenti delle campagne pubblicitarie di punta, quelle capaci di diventare temi di discussione di massa, e l’inconscio della società americana, investita da ansie e timori nella Guerra Fredda.
Negli ultimi anni il settore della pubblicità è radicalmente cambiato, e proprio nell’analisi di questo mutamento è racchiusa, secondo Fasce, la prospettiva futura della pubblicità. Le grandi multinazionali non parlano più di pubblicità in senso stretto, ovvero come insieme di tecniche e attività comunicative e persuasive di natura commerciale, a pagamento, volte a promuovere i consumi. Si parla di marketing e relazioni pubbliche, contenitori più grandi che tentano di essere attivi ed efficaci in un mercato per molti versi globale servendosi dei nuovi mezzi di comunicazione. I confini spaziali destinati alle campagne pubblicitarie andranno ridefiniti al pari delle logiche adottate in passato, che non risultano più compatibili con le nuove tecniche introdotte nel sistema della comunicazione e si distaccano dalle necessità dei consumatori di oggi, più capaci di interpretare i media di ogni altra generazione precedente. Occorre fare i conti con un pubblico che, cresciuto con la società dei media, nella comunicazione è ogni giorno meno spettatore. In attesa che la ricerca chiarisca ulteriormente i rapporti tra le pratiche di consumo e gli utenti, non ci resta che attendere i vincitori di questo nuovo match nel secolare braccio di ferro tra universo mediatico e gente comune.
Gioia Baggio
Michele Ravagnolo