CULTURA

La Belle époque di Corcos

Paolina, bellissima e mesta, aristocratica ancora bambina. Di profilo, punta i suoi occhi neri e intensi su chi guarda. Ha undici anni Paolina, quando Vittorio Corcos la ritrae con i capelli neri e lucidi intrecciati a ghirlanda e con pennellate precise disegna il merletto verde appuntato sulla manica della sua camicetta, appoggiandole sulla spalla un nastro di velluto. È il 1909 e il pittore livornese si è stabilito a Firenze da più di dieci anni, di ritorno da un lungo soggiorno a Parigi (quasi 6 anni), metropoli che accoglieva i maggiori artisti e intellettuali del momento. Per immergersi nella vita moderna; per imparare, conoscere, e incontrare. Un’esperienza imprescindibile che gli aveva permesso di entrare in contatto anche con i grandi mercanti d’arte (firmò lì un contratto di quindici anni con Adolphe Goupil), di crescere artisticamente e, soprattutto, di codificare uno stile personale e poetico, e allo stesso tempo aderente al gusto del pubblico. “Vittorio Matteo partecipò al radicale mutamento del panorama artistico, nel momento in cui moriva l’accademia e fioriva invece il mercato” spiega Ilaria Taddei, una dei curatori della mostra che si è aperta pochi giorni fa a Padova, Corcos. I sogni della Belle Epoque.

Di questo passaggio Corcos fece pienamente parte, lui che si era formato all’Accademia di Belle Arti di Napoli, ma che ventunenne aveva poi bussato alla porta della casa parigina di Giuseppe De Nittis, artista affermato ma anche barlettano gioviale, a proprio agio nel bel mondo parigino. Così Vittorio Corcos diventò uno degli ospiti abituali del salotto di De Nittis, che accoglieva anche Manet, Degas, de Goncourt, Claretie, Hérédia, e Dumas figlio. Iniziò in questo modo il percorso che lo portò a diventare uno dei protagonisti del racconto della Belle époque, interprete dei sentimenti, delle abitudini, del pensiero, e dei costumi della modernità. Negli anni parigini, dal 1880 alla primavera dell’86, Corcos diventò uno dei pittori più conosciuti, inimitabile “peintre des jolies femmes”, ai cui ritratti dedicava una cura quasi fotografica, indugiando nei particolari dei tessuti, nell’accostamento delle cromie, nel ricamo dei decori, nel disegno di cappellini gonfi ed elaborati, di nastri fra i capelli, fasce drappeggiate a cingere i corpi esili, ombrellini sottili in cotone. La sua era “una pittura chiara, dolce, liscia, ben finita: la seta, seta, la paglia, paglia, il legno, legno, e le scarpine lucide di copale, lucide come le so fare soltanto io, diceva Corcos” (Cipriano Efisio Oppo, 1948). Ma è anche specchio per sguardi profondi, talvolta sfrontati, sognanti, severi o lascivi. “In un ritratto quel che conta sono gli occhi; se quelli riescono come voglio, con l’espressione giusta, il resto viene da sé”, soleva dire Corcos.

Vittorio Corcos, particolare di Sogni, 1896

Sono allora gli occhi di Elena, la protagonista di Sogni, dipinto icona fin-de-siècle. Uno sguardo intenso, triste, voluttuoso; occhi che sono quasi una sfida all’osservatore da parte della giovane donna, le cui gambe sono accavallate in una posa disinvolta, al limite della decenza. Secondo il curatore della mostra Fernando Mazzocca, Corcos crea qui, e in numerosi altri ritratti, “un immaginario moderno di femminilità spregiudicata, quasi aggressiva, anticipando le icone dello star system hollywoodiano”. Con enorme fortuna di pubblico, il pittore si specializzò dunque nel ritratto mondano. Vi raffigurava signore dell’alta borghesia, come la bellissima contessa veneziana Anna Rombo Morosini e la sofisticata Yole Biaggini Moschini, ma anche dive dello spettacolo, come il celebre soprano Lina Cavalieri o la divina Isadora Duncan, e vere teste coronate, come Margherita di Savoia e Maria Josè. E poi dipinse le figlie e gli amici, dalla piccola Memmi alla nipotina Coccolì, da Giosuè Carducci a Jack La Bolina, da Francesco Gioli al critico Yorick, cui dedicò una tela sorprendentemente sincera e allo stesso tempo ironica.

Dipinse i suoi luoghi: Parigi, Firenze, la montagna pistoiese, Forte dei Marmi. E poi l’amatissima Castiglioncello, sfondo anche del dipinto In lettura sul mare, straordinaria scena di vita in cui la figliastra Ada è seduta fra due figure maschili, fasciata in un elegante abito bianco, il libro sul grembo, le dita intrecciate, lo sguardo assorto. L’orizzonte azzurro di cielo e mare riempie di respiro lo spazio incorniciato. Così Corcos ci apre le porte del suo mondo, lo filtra con eleganza e ne restituisce un’immagine eterea; un mondo che di lì a pochi anni si sarebbe infranto nella guerra.

Chiara Mezzalira

Vittorio Corcos, In lettura sul mare, 1910 circa

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