SOCIETÀ

La città ritrovata

Sempre meno terra e sempre più capannoni vuoti. Il Veneto, dove a partire dagli anni Sessanta ogni comune ha voluto la propria zona industriale o artigianale, oggi mostra scatole vuote che vanno deperendo rapidamente perché uno stabile si comporta come un organismo vivente e abbandonato dall’uomo viene “recuperato” dalla natura. Ma il cemento, lo scheletro degli edifici abbandonati restano lì.

Sempre meno terra e sempre più strade, asfalto che “ruba” la terra all’agricoltura e genera nuovo traffico, in un ciclo apparentemente infinito. Sempre meno terra e sempre più case, almeno fino a un paio di anni fa, perché adesso la crisi ha dato una frenata al mercato immobiliare e molti progetti sono stati bloccati anche se continuiamo a subire le brutture di un territorio costruito senza soluzione di continuità.

Sempre meno terra e, finalmente, un “patto per un programma regionale di strategie e politiche di rigenerazione urbana sostenibile” per le città venete del futuro sottoscritto da diciotto soggetti diversi: atenei, associazioni imprenditoriali, professionisti, sindacati, costruttori, ambientalisti. Il documento, presentato in un recente convegno al Bo che ha visto la partecipazione e il confronto di tutti gli attori coinvolti, è caratterizzato da un approccio olistico che ha consentito di analizzare tutti gli aspetti del governo del territorio e di confrontare le idee sui nodi centrali: dalle leggi ai progetti al rinnovamento del sistema produttivo e amministrativo alla ricerca delle risorse.

Le conseguenze del consumo di suolo sono molteplici: si distrugge il paesaggio e la campagna, si aumenta il rischio idrogeologico, si riducono fortemente  la biodiversità e la capacità di contrastare le emissioni inquinanti, a partire dai "gas serra" come l'anidride carbonica (CO2). I numeri, tanto del terreno perso a favore del cemento che dei danni dovuti alla mancata cura del territorio di cui l'eccesso di edificazione è un fattore importante, sono tutt'altro che marginali. Nel Veneto le alluvioni del febbraio scorso hanno causato 500 milioni di danni e in vent’anni, dal 1990 al 2010, la superficie agricola totale è diminuita di 280.000 ettari, vale a dire del 21,5%: un’estensione superiore alla provincia di Vicenza. In soli tre anni, dal 2010 al 2013, sono stati abbandonati 1768 capannoni.

La crisi economica allora può diventare un’opportunità perché ha ridato centralità al dibattito sul valore delle città come motore di sviluppo e di coesione sociale: città come riferimento dell’identità culturale, sociale ed economica, in cui la dimensione umana torna ad essere il fulcro delle politiche di governo del territorio. Basti pensare alla stridente contraddizione tra l’enorme quantità di abitazioni invendute e il crescente fabbisogno abitativo di persone a basso reddito alle quali non viene data risposta: in Italia sono 650.000 le domande inevase di case pubbliche.

Anche i costruttori veneti sono coinvolti: il presidente dell’Ance Luigi Schiavo spiega che “il mercato è inesorabilmente orientato al recupero dell’esistente, ma manca una visione organica; associare l’attività edilizia a un progetto di smart city può innescare processi economici molto remunerativi oltre che incidere sul tessuto sociale in termini di qualità della vita e della capacità di attrarre imprese innovative e intelligenti”.

Città da guardare con sguardo nuovo per praticare una “rigenerazione urbana sostenibile”. “Se fino a qualche tempo fa il tema era: realizzare una città accogliente per le imprese, perché queste avrebbero portato nuovi cittadini, oggi l’approccio è stato invertito - recita il Patto - Si tratta di rendere le città accoglienti per l’uomo perché questo è il fattore che genera nuove economie”.

Una sorta di “umanesimo” delle città che deve tener conto del fatto che l’Italia è ormai un Paese di periferie. Bologna ha circa 384.000 abitanti, 600.000 se si considera anche l'hinterland, ma solo 53.600 vivono nel centro storico. Venezia ne ha 260.000, di cui soltanto 58.000 in centro. Roma ha 2.650.000 abitanti ma appena 132.000, il 5%, risiedono nel centro storico. Su scala nazionale solo il 10% dei cittadini abita in centro città. Se si vuole dare un contributo al miglioramento della qualità della vita, la prima cosa necessaria, come scrive Renzo Piano, è "rammendare le periferie". L’architetto, e ora senatore a vita, ci ricorda che "siamo un Paese straordinario e bellissimo, ma allo stesso tempo molto fragile. È fragile il paesaggio e sono fragili le città, in particolare le periferie dove nessuno ha speso tempo e denaro per far manutenzione. Ma sono proprio le periferie la città del futuro, quella dove si concentra l’energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli."

Un tema, questo, che – come è stato sottolineato - dovrebbe essere ben presente anche nell’affrontare quello di città metropolitana veneta che “non può essere la provincia di Venezia, ma la realtà viva della 'vecchia' Padova-Treviso-Venezia che oggi deve comprendere anche Vicenza”.

Il documento licenziato a Padova appare quasi un’utopia, se si guarda a quanto accaduto finora, e solo la realtà cruda della crisi che da anni non dà tregua gli consegna un fondamento che dovrà essere consolidato dalla politica e – necessariamente - da una legge nazionale di finanziamento e di programmazione.

È il rettore dello Iuav Amerigo Restucci che sintetizza al meglio il progetto: “Oggi diventa strategica una convergenza di intenti e azioni che siano funzionali a una pianificazione urbana sostenibile. È il momento di agire in una logica di rilettura del costruito che possa essere restaurato e reso compatibile con il paesaggio urbano circostante per mantenere una continuità storica fra segni del passato e segni del presente. Solo così un territorio può assumere quel coefficiente di bellezza e qualità che chiamiamo paesaggio. Il Veneto, che ha un significativo patrimonio paesaggistico storico e presenta numerosi segmenti di paesaggio urbano, può cogliere l’opportunità di questa proposta unitaria per riproporre la sua immagine territoriale”.

Donatella Gasperi

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