SCIENZA E RICERCA

Rigenerati dal blu

Il profumo dei fiori, il fruscio del vento tra i rami degli alberi e il canto degli uccelli. La quiete del giorno e, sopra le nostre teste, un cielo azzurrissimo. Quella di sentirci più felici a contatto con la natura è una sensazione diffusa, uno stato d’animo in cui è difficile non immedesimarsi. Ma c’è più di questo. L’associazione positiva tra la frequentazione di ambienti naturali e la salute mentale non è solo un’opinione comune, bensì un’evidenza scientifica supportata da decenni di studi sull’argomento.

In questo filone di ricerca si inserisce anche un recente lavoro condotto da alcuni ricercatori del King’s College di Londra, i quali hanno approfondito, in particolare, gli effetti positivi della vicinanza a fiumi e canali sul benessere psicologico. Secondo i loro risultati, tutte le persone, comprese quelle a cui è stato diagnosticato un disturbo mentale, possono trarre notevoli benefici dal tempo trascorso nei cosiddetti “spazi blu”.

Come spiegano gli autori dello studio, nella letteratura scientifica sull’argomento compaiono infatti due diverse espressioni per definire gli ambienti i cui effetti sulla salute mentale vengono approfonditi: gli “spazi verdi”, dove prevale la presenza di vegetazione (come parchi, giardini, boschi e foreste), e gli “spazi blu”, caratterizzati dalla presenza dell’acqua (come mare, laghi, fiumi, canali e torrenti).

“Le ricerche scientifiche che approfondiscono il legame tra ambienti naturali e benessere mentale sono numerose a partire dalla fine degli anni Ottanta e dall’inizio degli anni Novanta”, racconta la professoressa Francesca Pazzaglia, docente di psicologia ambientale all’università di Padova. “Tali evidenze fanno riferimento, fondamentalmente, a due costrutti teorici: il primo è quello della biofilia, un’ipotesi proposta dal biologo Edward O. Wilson, secondo il quale l’essere umano, essendosi evoluto in ambienti naturali, mantiene una funzionalità maggiore a livello sia fisiologico che psicologico quando si trova in questi luoghi. Il secondo approccio, più empirico, si snoda a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta con le teorie sugli ambienti rigenerativi proposte dagli psicologi Roger S. Ulrich e Stephen Kaplan. In questo caso, l’idea di fondo è che certi ambienti permettano la rigenerazione delle nostre risorse fisiologiche, psicologiche, affettive, e, come aggiunge Kaplan, anche cognitive – come la concentrazione, la memoria di lavoro e la capacità di risolvere compiti complessi – con un effetto positivo sul livello di benessere complessivo.

Sulla base di queste teorie sono stati svolti numerosi studi che dimostrano che negli ambienti naturali, rispetto a quelli “costruiti”, si sperimenta una migliore attivazione del sistema parasimpatico che comporta, ad esempio, la riduzione dello stress e l’aumento delle emozioni positive.

Ad esempio, il primo famosissimo studio di Ulrich sull’argomento, pubblicato nel 1984, riguardava gli ambienti ospedalieri. Lo psicologo dimostrò che i pazienti che durante il periodo di ricovero potevano godere di una vista su ambienti naturali vedevano ridurre la durata della loro degenza e tendevano a ridurre l’utilizzo di antidolorifici nel postoperatorio.

Negli anni successivi sono stati svolti studi simili in altri luoghi, come sale d’attesa, studi dentistici e ambienti scolastici. Questi ultimi suggeriscono che l’esposizione degli studenti agli ambienti naturali favorisca, sul lungo periodo, l’apprendimento. Un pedagogista americano chiamato Richard Louv ha persino riscontrato nei bambini che hanno meno opportunità di passare del tempo a contatto con la natura l’esistenza di un problema da lui definito nature deficit disorder. Si tratta di un disturbo che nascerebbe dalla scarsa frequentazione di ambienti naturali e che sembra impattare negativamente sullo sviluppo affettivo, cognitivo e relazionale”.

Eppure, nonostante siano state raccolte numerose prove scientifiche a supporto del legame positivo tra natura e benessere mentale, raramente le ricerche si concentrano sugli effetti benefici causati, in particolare, dal tempo trascorso negli spazi blu.

“Il filone di ricerca incentrato sugli spazi blu è più recente”, afferma la professoressa Pazzaglia. “Per quanto sia stato finora condotto un numero inferiore di studi rispetto a quelli svolti sugli spazi verdi, le evidenze scientifiche sembrano dimostrare che il contatto con gli spazi blu provochi un effetto rigenerativo pari a quello che sperimentiamo negli spazi verdi.

Anche in questo caso, si può ipotizzare una spiegazione che si avvicina alla biofilia: i milioni di anni in cui ci siamo evoluti ci hanno portati a sviluppare una preferenza per gli ambienti favorevoli alla vita, caratterizzati quindi dalla presenza di alberi, vegetazione e, naturalmente, dell’acqua. L’ipotesi, perciò, è che questa impronta evoluzionistica persista ancora, anche in una società come la nostra”.

Secondo lo studio condotto dai ricercatori del King’s college, gli effetti positivi suscitati dalla visita agli spazi blu potrebbero addirittura superare quelli solitamente sperimentati negli spazi verdi. I risultati di questo lavoro si basano sull’analisi dei dati di un’app per smartphone che permette agli utenti di valutare l’impatto psicologico dell’ambiente in cui si trovano in un determinato momento. L’app in questione, chiamata Urban Mind, è stata sviluppata grazie alla collaborazione tra il King’s College, lo studio di architettura paesaggistica J&L Gibbons e la fondazione artistica Nomad Projects con il preciso scopo di studiare la relazione tra ambiente e salute mentale e si basa sul campionamento delle esperienze degli utenti nei luoghi in cui si trovano, in tempo reale.

Tre volte al giorno, l’app chiedeva ai 299 volontari che hanno partecipato allo studio di valutare le caratteristiche dell’ambiente in cui si trovavano in quel momento scegliendo tra un elenco di possibili attributi (come “bello”, “brutto”, “pacifico”, “frenetico”, “stimolante”, “noioso”, ecc…) e di descrivere il loro stato d’animo attuale (chiedendo loro quanto si sentissero “felici”, “tristi”, “al sicuro”, “stressati”, ecc…). Ai partecipanti, inoltre, è stato chiesto di riferire se fosse mai stata diagnosticata loro una malattia mentale: 87 di loro hanno risposto positivamente a questa domanda.

Delle 6152 valutazioni completate in totale, 337 (provenienti da 96 partecipanti) sono state registrate in prossimità di un corso d’acqua, mentre 189 (provenienti da 79 partecipanti) sono state raccolte da chi si trovava in uno spazio verde senza la presenza di acqua.

Gli autori hanno riscontrato, innanzitutto, un’associazione tra le valutazioni riguardanti lo stato d’animo e i giudizi sui luoghi: solitamente, infatti, chi descriveva in maniera positiva il luogo in cui si trovava riferiva anche un buon livello di benessere psicologico e viceversa.

Le persone che si trovavano in prossimità di corsi d’acqua riferivano, in media, un più alto livello di benessere mentale. Il dato rilevante è che gli effetti benefici causati dalla vicinanza a corsi d’acqua erano significativamente più elevati di quelli associati al semplice trovarsi in spazi verdi, senza acqua.Gli aggettivi che utilizzavano per descrivere questi luoghi erano solitamente positivi: “bello”, “storico”, “pacifico” e “stimolante”. Raramente usavano termini negativi come “sporco”, “noioso” o “brutto”.

In particolare, gli autori hanno notato che gli effetti psicologici associati all’esposizione agli spazi blu riguardavano la sensazione di sentirsi al sicuro e inclusi nel contesto sociale. Tali effetti sembrano essere più significativi nelle persone giovani, mentre non è stata riscontrata una differenza degli effetti tra le persone senza problemi di salute mentale e quelle con un disturbo diagnosticato.

Inoltre, i dati raccolti dalle valutazioni effettuate tramite l’app mostrano anche che i partecipanti che si erano trovati in presenza di corsi d’acqua nelle 24 ore precedenti alla valutazione solevano riferire tassi di benessere mentale significativamente più elevati rispetto a quelli che non l’avevano fatto.

“Questo non è l’unico risultato rilevante raggiunto dal team di ricercatori del King’s College che ha svolto lo studio, guidato dal professor Andrea Mechelli”, commenta la professoressa Pazzaglia. “In alcuni lavori precedenti avevano dimostrato, ad esempio, che la possibilità di vedere il cielo azzurro faccia spesso la differenza nella quantità di benessere percepito. Ritengo sia ancora prematuro concludere con certezza che l’esposizione agli spazi blu abbia addirittura un effetto maggiore rispetto alla vicinanza agli spazi verdi (come viene affermato anche dagli autori stessi, ndr), ma aver rilevato questa relazione su un campione così elevato di soggetti rappresenta senza dubbio un risultato importante”.

L’indagine della relazione tra natura e benessere si presta, naturalmente, a molteplici applicazioni in ambito clinico. “È stato dimostrato che inserire delle visite ad ambienti naturali nel percorso terapeutico di un paziente con una diagnosi di disturbo mentale possa ottimizzare la sua aderenza alle cure e migliorare l’umore”, conferma la professoressa Pazzaglia. “In letteratura esiste addirittura il concetto di dose di verde, secondo il quale la visita agli ambienti naturali è considerata come una sorta di “farmaco”. In questo senso, sarebbe addirittura possibile individuare il livello di esposizione ottimale per uno specifico disturbo mentale. Un altro settore di ricerca interessante è quello relativo agli effetti dei giardini terapeutici e dell’orticultura, da cui possono trarre grande vantaggio le persone affette da demenza, anche allo stadio precoce”.

Le evidenze scientifiche che confermano gli effetti benefici sulla salute mentale degli spazi verdi e degli spazi blu possono infine rivelarsi particolarmente utili anche per il settore urbanistico. Infatti, come sottolinea la professoressa Pazzaglia: “evidenze scientifiche come quelle rilevate da Mechelli e coautori possono avere un’utilità importante anche nelle strategie di pianificazione urbana e nella definizione di interventi mirati a migliorare il livello di benessere mentale di cittadini e cittadine. Aumentare la quantità di verde nei quartieri dove essere scarseggia può migliorare sensibilmente la qualità della vita delle persone che ci abitano, specialmente degli individui fragili, in primo luogo gli anziani, i quali hanno solitamente minori possibilità di allontanarsi da casa”.

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