SOCIETÀ

La politica? Un affare di famiglia

Sono appena andate in archivio le elezioni per il Congresso del 2014 e già la politica americana guarda alle ben più importanti elezioni presidenziali del 2016. Le candidature ufficiali sono ancora tutte da confermare ma pare molto probabile che Hillary Clinton sarà il politico da battere alle primarie democratiche, mentre in casa repubblicana è data per possibile la candidatura di Jeb Bush, già apprezzato governatore della Florida. In pratica, alle prossime elezioni potrebbero trovarsi di fronte la moglie di un ex presidente eletto nel 1992 e il figlio e fratello di due ex presidenti (il padre fu eletto nel 1989, dopo essere stato vicepresidente fin dal 1980). Lo scenario sarebbe paradossale: in una democrazia come quella americana che ha nell’uguaglianza e nell’elettività delle cariche pubbliche a ogni livello una delle sue caratteristiche fondative, si celebrerebbe il trionfo delle dinastie politiche che durano decenni. 

In realtà non si tratta di una novità: nella storia americana vi sono stati già due presidenti figli di presidenti (John Quincy Adams e George W. Bush) e la famiglia Kennedy ha ricoperto coi suoi membri numerosi ruoli istituzionali di alto profilo. Questa avrebbe inoltre probabilmente espresso più di un presidente se Robert Kennedy non fosse stato ucciso durante la sua campagna per le primarie e se Ted Kennedy non fosse incappato nel controverso incidente di Chappaquiddick che gli danneggiò ogni successiva chance presidenziale. Lo stesso John John Kennedy era indicato come possibile futuro candidato presidenziale prima di morire in un incidente aereo. Il padre dell’ex vicepresidente e candidato democratico Al Gore aveva rappresentato il Tennessee nel parlamento americano per oltre trenta anni e anche alle midterm della scorsa settimana era in lizza per un posto al Senato Michelle Nunn, il cui padre è stato senatore della Georgia per 25 anni. A livello locale questi fenomeni sono ancora più frequenti, basti pensare al dominio della famiglia Daley su Chicago. 

Si è a lungo pensato che le dinastie politiche fossero una caratteristica dei regimi non democratici e che gli Stati Uniti fossero un’eccezione in materia. Nei paesi autoritari il passaggio di potere da padre a figlio è infatti quasi la norma e secondo alcuni studi questa è addirittura una peculiarità definitoria degli stati illiberali. Dalla Corea del Nord di Kim Il-Sung e Kim Jong-Il, alla Siria di Hafez al Assad e suo figlio Bashar, fino a Fidel Castro che lascia la presidenza al fratello Raul sono numerosi gli esempi recenti. Meno note, perlomeno in occidente, sono forse le dinastie politiche presenti in numerosi paesi asiatici, alcuni dei quali da considerarsi come pienamente democratici. In Nepal, I tre fratelli Koirala sono stati tutti primi ministri; nello Sri Lanka sono stati primi ministri Solomon Bandranaike, quindi la vedova Sirimavo e poi per undici anni la loro figlia, Chandrika Kumaratunga, è stata presidente. Nelle Filippine la presidente Gloria Macapagal è a sua volta figlia di un ex presidente e nel paese vi sono state perfino proposte di legge per limitare l’alternarsi al potere di queste dinastie. Le elezioni in Bangladesh del 2008 videro fronteggiarsi il primo ministro uscente Sheikh Hasina, figlia dell’ex presidente Mujibur Rahman, e Khaleda Zia, vedova dell’ex presidente Ziaur Rahman. In Pakistan, Zulfikar Ali Bhutto fu primo ministro dal 1971 al 1977 e la figlia Benazir fu due volte primo ministro negli anni Novanta. La stessa leader birmana e Nobel per la pace Aung San Suu Kyi proviene da una famiglia da sempre impegnata in politica e lo stesso vale per Megawati Sukarnoputri in Indonesia. 

Infine l’India, la più grande democrazia del mondo, dove la famiglia Nehru ha espresso tre primi ministri che sono stati in carica 37 anni complessivamente e dove alcuni dei suoi membri sono tutt’ora impegnati in politica e controllano il Congress Party, per decenni il principale partito.

Allargando il discorso ad altri paesi si nota come in Giappone Makiko Tanaka sia stata ministro degli esteri e poi ministro dell’istruzione circa 25 anni dopo che suo padre fu primo ministro. In Argentina le gesta familiari dei Peron prima e dei Kirchner poi sono sempre state intrecciate con la storia nazionale. In Grecia il fenomeno è addirittura endemico con ben otto famiglie (Karamanlis, Kyriakos, Papandreu, Rallis, Theotokis, Trikoupis, Tsaldaris, Zaimis) che hanno espresso ciascuna almeno due primi ministri. In Libano, le istituzioni hanno visto alternarsi più volte al potere quattro grandi famiglie: i Gemayel, gli Hariri, i Jumblatt e i Moawad. In Bosnia-Erzegovina, Bakir Izetbegovic è uno dei tre presidenti della Repubblica, rappresentando la parte musulmana del paese, ma è anche figlio di Alija, primo presidente della Bosnia indipendente e leader bosgnacco durante la Guerra civile 1992-1995. Infine, pur non riguardando il ricoprire cariche istituzionali, la guida del Front National francese è passato da padre a figlia. Insomma, le dinastie politiche non sono caratteristica esclusiva dei regimi non democratici. Stephen Hess, che ha scritto il libro America's Political Dynasties, definisce il tratto comune di queste élites politiche come l’essere “populisti con carisma” e indurre l’elettore a dare ai figli di leader politici un bonus di rispettabilità dovuto ai risultati conseguiti a suo tempo dai padri. Un altro fattore rilevante è legato al fatto che gli appartenenti a queste famiglie politiche hanno ingenti risorse economiche e i contatti e le conoscenze necessarie per pianificare una propria nuova attività politica.

E in Italia? Nel nostro paese la situazione è più sfumata e, perlomeno per quel che riguarda le cariche elettive più importanti, è difficile individuare dinastie di peso politico simile a quelle menzionate negli altri paesi. Un esempio recente è certamente quello fornito dalla famiglia Letta, con Enrico presidente del Consiglio fino alla scorsa primavera. Qui, tuttavia, lo zio Gianni non ha mai ricoperto ufficialmente cariche di primo piano, pur essendo sempre stato considerato un uomo dalla grande influenza politica. La cosiddetta prima Repubblica fornisce un maggior numero di esempi, seppur con la costante di figli e generazioni successive che non sono mai riusciti a raggiungere il livello dei padri. Antonio Segni fu presidente della Repubblica, e il figlio Mariotto fu nei primi anni Novanta stella di prima grandezza della breve stagione referendaria. Ugo La Malfa, padre costituente, fu leader del Partito Repubblicano per decenni, più volte vicino alla Presidenza della Repubblica, e il partito venne poi guidato con alterne fortune dal figlio Giorgio. Enrico Berlinguer, storico segretario del Partito Comunista Italiano, proveniva da una famiglia attiva in politica in Sardegna già dalla fine del XIX secolo. Oltre a Enrico, sono entrati in Parlamento suo fratello Giovanni, e i suoi cugini Luigi – ministro dell’Istruzione dal 1996 al 2000 – e Sergio, che invece ha fatto parte del primo governo Berlusconi. Imparentata con i Berlinguer è anche la famiglia Cossiga. Il capostipite Francesco è stato più volte ministro poi primo ministro e presidente della Repubblica, suo figlio Giuseppe è stato più volte parlamentare del centrodestra. Infine, i Craxi. Se Bettino non ha bisogni di presentazioni, i suoi due figli Stefania e Bobo hanno cercato di portarne avanti l’eredità politica anche se su strade diverse. Più volte parlamentari, sono stati entrambi anche Sottosegretari agli Affari esteri.

Marco Morini

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