SOCIETÀ

Le grandi opere all'assalto di Venezia

“A che ora chiude Venezia?” si chiedeva una bimba, in gita sulla Laguna, offrendo così il titolo a un mini-saggio in cui Enrico Tantucci si interroga sulla fine della città dei Dogi come nucleo urbano reale, fatto di residenti, attività e servizi. Oggi la Serenissima sembra condannata a una dimensione surreale, oscillando tra due paradossi: un centro storico mummificato, parco a tema di massa per folle di crocieristi e pullmanisti a caccia di souvenir; e la grandiosità disneyana di alcuni progetti con cui le lobby che governano Venezia completano la sua trasformazione in città-videogame, in cui il futuro paesaggio urbano del Canal Grande vedrà, fianco a fianco, palazzi del Quattrocento e installazioni pubblicitare di pari ampiezza, altane in legno e maxiterrazze panoramiche, per godersi un Martini in santa pace occhieggiando dall’alto i gruppi low cost. Quello che sembra perduto è l’equilibrio, la capacità di mediare tra la pura conservazione di una futura città fantasma e l’innesto di forme e volumi del tutto incompatibili con la sua storia. Prendiamo l’ultima polemica, il dibattito sul Palais Lumière. Pierre Cardin propone un investimento di oltre un miliardo e mezzo di euro per creare a Marghera un nuovo polo della moda, simboleggiato da una torre alta 250 metri visibile da Venezia. Al di là delle prevedibili reazioni dei “no a prescindere”, ciò che stupisce è il gigantismo del progetto, che suscita comprensibili interrogativi (di natura idrogeologica, di viabilità, di sicurezza aerea); e questo rischia di vanificare la straordinaria occasione di rilancio di un’area in declino e che, esteticamente, ha ben poco da perdere. Venezia non può essere un’icona intoccabile, e innestarvi elementi di architettura contemporanea non è un sacrilegio (perché lo è da noi e non nelle grandi città d’arte d’Europa?), ma gli interventi proposti, spesso, alimentano il rifiuto come reazione d’impulso. Si prenda la vicenda del nuovo Palazzo del Cinema, di cui si è “scoperto” la necessità di una bonifica costosissima al terreno dopo avere impiegato nel progetto somme molto forti; o la mannaia con cui l’archistar Rem Koolhaas intende agire sul Fontego dei Tedeschi, acquisito dal gruppo Benetton per trasformarlo in centro commerciale: rimozione del tetto e sua sostituzione con una terrazza panoramica con maxivetrate sul Canal Grande, inserimento nell’antica corte di scale mobili color rosso fuoco sovrapposte, a collegare i diversi ordini di portici interni.  Accelerazioni coerenti, in una Venezia che non è più, da tempo, spazio urbano organizzato per una popolazione stabile, che ci vive e lavora ogni giorno. I suoi luoghi storici e naturalistici più significativi vengono, inesorabilmente, privatizzati e consegnati alle griffe, unici soggetti in grado di sostenerne i costi; e si è concluso da tempo lo scontro mortale botteghe/boutique, con la clandestinità mal tollerata cui ormai soggiacciono le poche macellerie, i panifici superstiti, i negozi di casalinghi, i ferramenta, spazzati via da calzature di lusso, ristobar, paccottiglia ricordo in finto vetro di Murano. Ma se è inevitabile rassegnarsi a una Venezia ormai in vendita (e talora in svendita), pezzo dopo pezzo, ai colossi della moda (da Pinault a Prada), non è possibile non distinguere. C’è chi promuove il “ritorno alla vita” di spazi strategici (vedi Punta della Dogana) senza violarne l’identità storica e la coerenza estetica; e c’è chi ha interesse a lasciare il suo segno indelebile in Laguna senza alcun rispetto per l’esistente. E i progetti faraonici non aiutano certo coloro che sognano una città di nuovo vitale, che nel cambiamento trova la via per non scomparire: si pensi al Lido di Venezia e alla conversione in appartamenti dello storico Hotel Des Bains e a quella (piuttosto travagliata) dell’ex Ospedale al Mare pianificate da Est Capital, per favorire l’afflusso di massa dei nouveaux riches delle nazioni emergenti. All’immobilismo degli ultimi quarant’anni, quindi, rischia di sostituirsi una nuova linea d’azione che Koolhaas ha sintetizzato senza tanti giri di parole: al diavolo il contesto.

 

Martino Periti

 

I dettagli del progetto sul sito ufficiale di Palais Lumiere

L'intervento di Salvatore Settis sul sito della sezione veneziana di Italia Nostra

 

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