SCIENZA E RICERCA

L'invasione degli ultracorpi

Arrivano nel nostro paese a bordo di aerei o di navi, stipate in container oppure nelle scatole acquistate tramite commercio on line. Sono le specie viventi estranee al nostro ambiente, alcune delle quali negli ultimi anni si sono rivelate infestanti o addirittura pericolose per l’ecosistema.

“Attualmente ci stiamo occupando ad esempio del Pityophthorus juglandis: un piccolo coleottero arrivato dall’America che vive sui noci”, racconta Massimo Faccoli, entomologo e ricercatore all’università di Padova. “Per il momento sono stati individuati sei focolai in provincia di Vicenza: il pericolo non viene direttamente dall’insetto, quanto dal fungo (Geosmithia morbida) che esso porta con sé, che provoca un vero e proprio cancro delle cortecce che poco a poco uccide gli alberi colpiti”. Proprio di specie animali invasive e dei rischi ad esse connesse Faccoli si è occupato nel manuale Lineamenti di zoologia forestale, pubblicato nel 2013 dalla Padova University Press

Per quanto riguarda il Pityophthorus, i ricercatori padovani stanno collaborando con il servizio fitosanitario regionale per individuare e studiare i nuovi pericoli causati da questa recente introduzione. Nei noceti e nelle campagne del Veneto vengono disposte delle trappole (funnel traps) fatte di imbuti sovrapposti, attivate con specifiche sostanze volatili attrattive (feromoni di aggregazione). Gli insetti entrano, convinti di trovare loro simili, e invece vengono convogliati in un barattolo di raccolta. “Vogliamo studiarli: capire quanti sono e dove sono, quanti trasportano effettivamente le spore del fungo patogeno, la frequenza delle generazioni e la velocità con cui si spostano e si sviluppano. Se il problema cresce valuteremo con gli enti territoriali cosa fare”. 

Non si tratta dell’unico caso di specie infestante proveniente da un altro ecosistema (alloctona) e nemmeno del più grave. “Il Dryocosmus kuriphilus ad esempio è una piccola vespa che da anni fa disastri nei castagneti. Arrivata in provincia di Cuneo dalla Cina nel 2002, probabilmente attraverso il commercio di materiale vivaistico (talee), si è progressivamente diffusa in tutta Italia, oltre che in Spagna, Croazia e recentemente anche in Turchia e Portogallo”. La specie non causa la morte delle piante se non in rari casi: l’insetto determina una deformazione di foglie e germogli, che si trasformano in strutture legnose chiamate galle. In questo modo la pianta, invece di crescere, fiorire e fruttificare, impegna le sue energie per proteggere e nutrire le larve. “Si sono registrate perdite anche dell’80% nella produzione di castagne, con un forte danno non solo all’economia, ma all’intero ecosistema forestale”, spiega il ricercatore.

Come è possibile contrastare questi fenomeni? “Innanzitutto con i controlli, cercando di impedire l’ingresso di specie esterne al nostro territorio. Nel caso della vespa galligena del castagno è stato poi deciso di rilasciare nell’ambiente un suo nemico naturale, proveniente anch’esso dalla Cina. Si tratta del Torymus sinensis, un’altra piccola vespa le cui larve si cibano di quelle del Dryocosmus. E i risultati sono stati incoraggianti, visto che in alcuni punti la produzione di castagne sta riprendendo”. Non è però pericoloso introdurre nell’ambiente un’altra specie ‘straniera’, che potrebbe a sua volta provocare danni imprevisti? “È possibile, infatti queste opzioni vengono prima studiate molto attentamente. Ad esempio si scelgono specie monofaghe, che cioè attaccano esclusivamente l’insetto infestante. Per questo tipo di lotta biologica è inoltre necessaria l’autorizzazione del ministero dell’Ambiente, che si avvale di una commissione di esperti. No quindi al ‘fai da te’, anche se a volte purtroppo accade”.

Qualsiasi specie esotica rischia comunque di fare danni nel nuovo ambiente. Un esempio lampante è dato dalle nutrie che, originarie del Sud America, nel nostro ambiente si riproducono in fretta e, con le loro tane, indeboliscono anche gli argini dei fiumi. “Il problema non è solo economico – conferma Faccoli – ma anche e soprattutto ecologico. Questi animali sottraggono cibo alle altre specie, e ad elevate densità, possono creare disturbo alla fauna locale e ridurre drasticamente la presenza di piante acquatiche lungo le sponde: ambienti delicati che forniscono riparo e siti di nidificazione per molte specie di uccelli acquatici. Un loro contenimento è quindi auspicabile”. Anche tramite la caccia? “Anche quello può essere uno strumento, che però deve essere pianificato e gestito”.

Molte delle specie arrivano in Italia come animali di compagnia: “È il caso di pesci, rettili, pappagalli o piccoli mammiferi. Spesso sono anche acquistati su internet, poi scappano o vengono liberati nell’ambiente, provocando disastri. Come lo scoiattolo grigio americano, che dove presente sta soppiantando il nostro scoiattolo rosso”. In molti casi gruppi ambientalisti difendono le specie allogene (recentemente però il WWF Emilia-Romagna si è espresso a favore del contenimento delle nutrie). Si tratta di una scelta razionale? “Capisco la difficoltà e la ritrosia di alcuni quando si parla di fucili e di trappole. Ci vuole però anche la razionalità. La biodiversità è un bene che va tutelato”.

Non ci sono però anche specie alloctone che con il tempo si sono adattate al nostro ambiente, divenendone anzi parte integrante? È il caso delle carpe, introdotte già dai romani, del daino, dell’istrice... “Di fatto nella maggioranza dei casi di introduzione di specie esotiche non possiamo già più intervenire. La natura alla fine trova un suo equilibrio, sempre però a scapito di qualcuno, con conseguenze difficili da prevedere”. Perché la biodiversità è un bene? “Perché favorisce la stabilità dinamica degli ecosistemi. Più specie ci sono, più sono in equilibrio, più l’ecosistema è complesso, maggiore è la sua stabilità. Se c’è una sola specie aggressiva che si accaparra tutto, prima o poi le risorse finiscono. E poi?”.

La biocomplessità non è solo in gioco quando si parla di linci, aquile o orsi: “la maggioranza delle specie animali sono praticamente invisibili per il cittadino comune. Parlo degli invertebrati, che compongono la maggior parte della biomassa e che sono ugualmente o addirittura più importanti delle altre specie, perché trasformano la sostanza organica e sono alla base delle catene alimentari degli altri animali”. Cavallette, bruchi e farfalle insomma sono fondamentali: “Esatto, e anche molte di queste specie di invertebrati sono in pericolo, ad esempio in montagna dove stanno scomparendo i prati per l’abbandono delle attività alpicolturali”. Ma come: il riforestamento può essere un pericolo per l’ecosistema? “Più boschi non sono necessariamente un beneficio, anzi. In montagna senza le radure scompaiono due terzi delle specie di animali che vivono negli spazi aperti o negli ambienti di margine. La conservazione di comunità ricche e diversificate di artropodi delle praterie montane a rischio di imboschimento è altrettanto importante della ricomparsa della lince nelle foreste alpine. Logico poi che faccia più scena l’arrivo dei lupi in Lessinia, ma per l’ambiente sono più importanti gli insetti”.

Daniele Mont D’Arpizio

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