
L’inquinamento acustico è un problema da non trascurare, che comporta pericoli e rischi per la salute dell’uomo. Lo abbiamo spiegato in un recente articolo de Il Bo Live: il traffico o i rumori di attrezzi da lavoro, se persistenti, possono provocare danni di varia natura all’individuo.
Gli effetti negativi di questo fenomeno però possono ripercuotersi anche sugli animali, causando modifiche a comportamenti e abitudini. A causa dell’inquinamento sono costretti ad adottare diverse strategie per convivere con rumori di intensità variabile.
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Ne abbiamo parlato con la dottoressa Marta Picciulin, ricercatrice presso l’Istituto di scienze marine di Venezia, che è partita da un assunto fondamentale: suono e rumore non sono la stessa cosa, e, per comprendere i danni che quest’ultimo può causare, bisogna chiarire prima di tutto in cosa si differenziano.
“Il rumore – spiega Picciulin – è tutto ciò che non è naturale e modifica la capacità di percepire il paesaggio sonoro da parte degli animali. Sia il suono che il rumore possono essere descritti in termini di onde acustiche, ma il secondo produce effetti negativi”.
Le attività che creano più inquinamento acustico
Le tre grandi attività che provocano più rumore ad oggi sono il traffico terrestre, aereo e marino, la costruzione di edifici e le esplosioni. Queste fonti di inquinamento acustico, chiarisce Picciulin, producono rumori con caratteristiche differenti: a bassa frequenza e intensità ma continui e costanti, propri del traffico; intensi e di breve durata, tipici delle esplosioni.
“Il botto generato da un’esplosione – afferma ancora la ricercatrice – può causare la rottura di cellule sensoriali nell’orecchio, portando in alcuni casi ad una sordità momentanea o permanente. Un rumore troppo intenso, inoltre, può provocare persino la morte, specie in alcuni pesci, poiché una forte deflagrazione è in grado di causare la rottura della loro vescica natatoria e dunque il loro decesso”.
Un rumore poco intenso ma costante, invece, non determina effetti immediati né acuti: le sue conseguenze – incremento dello stress o modifica di alcuni comportamenti per attenuarne gli effetti negativi -, sono croniche e di lunga durata.
Le strategie degli animali
Per far fronte ai pericoli che l’inquinamento acustico può provocare, gli animali hanno adottato diverse strategie. “Questi metodi – afferma Picciulin – sono di due tipi: acustici e comportamentali. I primi sono modifiche delle capacità o possibilità degli animali di emettere suoni o percepirli; le strategie comportamentali, invece, prevedono l’allontanamento dalle fonti di rumore; ciò determina cambiamenti delle rotte migratorie o delle aree riproduttive. Queste variazioni si ripercuotono negativamente sugli organismi: se per esempio ci si allontana da fonti di cibo, si può incorrere in problemi di scarsa alimentazione o nutrizione. Non si tratta di effetti immediati, ma di conseguenze che impattano sul lungo termine”.
Gli animali che sono capaci di modificare le proprie possibilità di percepire suoni, invece, utilizzano strategie differenti tra loro: alcuni spostano le frequenze di emissione più in alto o più in basso rispetto a quelle del rumore, così da farsi sentire; altri, invece, incrementano l’intensità del suono o producono un segnale rumoroso ripetuto, in modo che le possibilità di essere uditi siano più alte.
Alcuni animali, inoltre, utilizzano canali di percezione del suono peculiari e insoliti: è il caso, per esempio, dei ragni, che avvertono gli stimoli uditivi tramite le vibrazioni della loro ragnatela.
“Queste vibrazioni – afferma Picciulin - vengono percepite dalle cellule sensoriali del ragno; le ragnatele, quindi, sono vere e proprie orecchie per gli aracnidi. Tuttavia, in presenza di rumore, le caratteristiche della ragnatela si modificano, in modo che il ragno senta al massimo le vibrazioni che gli servono per cacciare la preda. In questo caso non si ha una modifica dell’emissione del suono per farsi udire, ma una variazione nelle possibilità e nelle capacità della sua percezione”.
Lo studio sui ragni
Uno studio sui ragni a imbuto della Pennsylvania spiega appunto la natura di questi cambiamenti. Le differenze sono evidenti soprattutto tra le ragnatele costruite nelle aree urbane e quelle di ragni che vivono in zone rurali: le prime emettono vibrazioni all’interno di un range di frequenze più ampio – fino a mille hertz -, così da non essere coperte dal rumore del traffico o di tutto ciò che può compromettere il segnale sonoro; le altre, invece, emettono vibrazioni in un raggio di frequenze più stretto – 600 hertz -, e con maggiore intensità.
“In città – afferma Picciulin – il range di frequenze è più esteso, così che il ragno possa spostarsi da rumori che non gli servono e lo sovrastimolano. La ragnatela vibra in risposta al rumore per consentirgli di reagire in presenza di una preda, ma, se quest’ultimo è continuamente presente, vibrerà assiduamente, anche in presenza di stimoli non funzionali. Per questo il ragno si allontana dalle zone a traffico più elevato”.
Un caso differente, invece, è costituito dagli uccelli, che hanno adattato l’intensità e le modalità di emissione del loro canto in base al maggiore o minore livello di inquinamento acustico.
“Il canto – spiega Picciulin – ha grande importanza per gli uccelli: ha un ruolo essenziale nel corteggiamento, in quanto serve a richiamare le femmine e a selezionare i maschi migliori, ed è un modo per difendere il territorio senza l’uso di forza fisica”.
Il canto avvisa possibili competitori della presenza di altri uccelli in una determinata area; ciò comporta un minore dispendio di energie, in quanto si evitano aggressioni fisiche che potrebbero causare anche la morte. Se però questo segnale acustico non si recepisce a causa, per esempio, di altri rumori, il messaggio di non avvicinamento non viene compreso, e le aggressioni fisiche diventano più frequenti.
Lo studio sugli usignoli
Uno studio svolto sugli usignoli di alcune isole delle Galapagos, per esempio, ha rilevato che gli uccelli più vicini alla strada – e quindi al rumore del traffico -, tendono ad essere più aggressivi, perché il canto viene percepito con maggiori difficoltà. La ricercatrice spiega che, in questo caso, il segnale viene mascherato, modificato, generando un fenomeno che si chiama masking. Per farsi sentire, gli uccelli possono anche incrementare l’intensità dei loro canti o allungarne la durata.
Per concludere, cosa si può fare per mitigare gli effetti dell’inquinamento acustico, così da favorire anche il benessere degli animali? Picciulin afferma che ci sono due tipi di mutamenti che bisogna perseguire: le modifiche strutturali, come l’utilizzo di motori elettrici che emettono molto meno rumore, e specifici comportamenti, come cercare di non produrre rumori troppo intensi in aree protette o durante i periodi di accoppiamento.
“Il primo passo – dichiara la ricercatrice – è la conoscenza. È importante sapere che le proprie azioni hanno un impatto sull’ecosistema, ed essere informati di un problema – come quello degli effetti dell’inquinamento acustico sugli animali -, che ha assunto centralità da poco tempo”.
È certo che prestare attenzione ai propri gesti, anche piccoli e semplici, può essere un contributo decisivo verso un mondo più vivibile, per tutti coloro che lo abitano.